Sul mito degli Incel.

Pare che, per denunciare un problema già noto nelle relazioni di genere – con ripercussioni ancor più gravi sulle nuove generazioni, già in difficoltà nel gestire i rapporti interpersonali, figuriamoci se a complicarli ci si mettono le pasionarie – serva ormai una serie Netflix. La verità, oggi, deve passare dallo streaming. E quando accade, ecco pronti tutti i “giornalisti che credono di essere blogger”: quelli che ricostruiscono la realtà scorrendo Google, per poi “informare” gli adulti di ciò che avrebbero saputo da tempo, se solo avessero ascoltato i propri figli.

Sia chiaro: l’intera serie Adolescence su Netflix potrebbe essere sintetizzata in una frase:

“Se parlassero con i figli, scoprirebbero cose interessanti su di loro.”

Non so quanto sia costato produrla, ma avrei potuto risparmiarvi la spesa e dirvelo io. Gratis.

A quanto pare, la rivelazione più sconvolgente della serie è che gli adolescenti hanno un gergo. Inimmaginabile, vero? Ci sono voluti solo sessant’anni per accorgersene? No, a ben vedere, è almeno dai tempi della prima contestazione giovanile – il mitico ’68 – che i ragazzi comunicano in una lingua cifrata.

Ma il vero scandalo è un altro: l’allarme sollevato dalla serie (“i genitori non provano nemmeno a parlare con i propri figli”) viene seppellito sotto una montagna di retorica, al punto da lasciare sgomenti.


La retorica dominante si regge su tre pilastri, tutti ugualmente fragili:

È ora di smontare questa mitologia.


La prima osservazione cruciale sugli incel è questa: non siamo di fronte a un gruppo ideologico, ma a una reazione empirica a fenomeni osservati.

Cosa significa esattamente? Secondo la loro convinzione, le donne praticherebbero sistematicamente l'ipergamia, selezionando sempre lo stesso ristretto pool di uomini che soddisfano parametri sociali precisi. Negli USA, questo modello prende il nome di 3-tier-6:

Potete chiamarla “ideologia”, ma è innegabile che un uomo che rientri in questi criteri vivrà immerso in un costante interesse femminile. Le obiezioni a questa tesi sono deboli: nessuno sostiene che solo questi uomini vengano scelti, ma gli incel affermano che l'80% delle donne si concentra su quell'1% di maschi “top-tier”, mentre il restante 20% si “accontenta” – o, come dicono loro, abbassa lo standard.

Risultato? Gli incel si percepiscono come esclusi dal mercato sessuale e sentimentale, poiché la maggioranza di loro non soddisfa il 3-tier-6. E qui, banalizzare la loro convinzione come “ideologia tossica della manosphere” è non solo inefficace, ma controproducente. Non convincerete nessuno.

Emerge così un tema più profondo:

L'arretratezza sociale non è un problema solo maschile. È un circolo vizioso che coinvolge entrambi i generi.

Esiste un'arretratezza femminile che completa, alimenta e sostiene quella maschile.

Ora, provate a dire a questi uomini che l'ipergamia femminile è un mito, o che il potere di selezione delle donne non si concentri su una frazione microscopica di maschi. Poi, però, spuntano articoli come questo:

E poi andrete a spiegare agli adolescenti che l'ipergamia non esiste. Che è solo una “tossica ideologia della manosphere”. E se qualche benpensante volesse liquidare il tutto come “satira”, permettetemi di osservare una cosa. Prendiamo i cosiddetti giornali femminili – quelli che trovate ovunque, nelle sale d'aspetto, dai parrucchieri, accanto ai rotocalchi di gossip.

Ora, è vero che esistono riviste specializzate per ogni hobby. Quelle di armi si chiamano semplicemente “Armi”, quelle sportive “Gazzetta dello Sport”, quelle equestri “Cavalli” o simili.

Se applicassimo la stessa logica di trasparenza, i giornali femminili e di gossip dovrebbero chiamarsi:

Iniziamo da “Cosmo” e poi giù (o su, dipende dai punti di vista) nella scala della qualità.

E no, non sto dicendo che il problema siano questi giornali. Sto dimostrando che rappresentano perfettamente ciò che intendo quando affermo che l'arretratezza sociale è sistemica: a un'immaturità maschile corrisponde un'immaturità femminile perfettamente speculare. Ed eccovi servita l'immagine “pop” di questo circolo vizioso.

arretratezza femminile

Poi c'e' un'arretratezza un pochino piu' “glam”, anche se entrambe rientrano nella mia definizione di “superficiale pettegola succhiacazzi”.

arretratezza femminile, ma col fashion

E poi, perche' cercare altri maschi, quando puoi tornare con l' ex?

stupidita

Ora, potrete obiettare che “non tutte le donne li leggono”, e via discorrendo. Ma il punto cruciale rimane: l'adolescente medio li identifica come “giornali per donne”, e questo gli basta. Ciò che queste pubblicazioni mostrano – senza alcun filtro – è la spaventosa arretratezza culturale del mondo femminile. Se nutrite ancora dubbi, provate ad aprire Tinder e testare personalmente qualche centinaio di “mariti altrui”. (LOL!)

Sfatiamo il mito dell'ideologia incel

Non si tratta di un'ideologia. È l'inevitabile conclusione a cui qualsiasi giovane ragionevole giunge osservando il mondo circostante:

Si vedono circondati da un esercito di superficiali pettegole succhiacazzi che praticano l'ipergamia timosessuale come se fosse uno sport olimpico.


Il secondo mito da sfatare: l'educazione sessuale (o “affettiva”) come soluzione magica

Vivo in un paese dove l'educazione sessuale scolastica esiste, e mia figlia l'ha seguita. Quando la scuola ha inviato una mail per illustrare il programma ai genitori – incontro chiaramente concepito per “superare le arretratezze” di famiglie islamiche o sud-europee – inizialmente ho rifiutato di partecipare. Trovavo offensivo che noi italiani fossimo implicitamente equiparati a chi ha bisogno di lezioni basilari. Poi, su insistenza della preside, ci sono andato. E ho visto gli altri genitori italiani presenti.

Ok, forse quell'incontro serviva davvero.

Ma resta il punto: l'approccio paternalistico era intrinsecamente offensivo.

L'illusione della bacchetta magica educativa

L'educazione sessuale è utile, ma nel dibattito politico odierno le vengono attribuite proprietà salvifiche:
– Diventa la cura miracolosa per il femminicidio
– Si trasforma in “educazione affettiva” quando qualcuno fa notare che no, forse non risolverà la violenza di genere
– Si scarica il problema su docenti che, spesso, sono esattamente altrettanto culturalmente arretrati degli altri adulti

Basta aggiungere la parola “affettiva” ed ecco che:
– Il programma (inesistente altrove nel mondo) diventa la soluzione
– La responsabilità genitoriale svanisce
Puf! Problema risolto!

E quando un Turetta qualunque, dopo aver frequentato il corso, ammazza ugualmente la fidanzata? Lo si boccia retroattivamente in Educazione Affettiva?

La cruda realtà

Credere che un corso scolastico possa:
1. Eliminare l'arretratezza culturale nei rapporti di genere
2. Sostituirsi al dialogo familiare

È come pretendere che l'ora di Educazione Civica sconfigga la mafia.

Potete illudervi, ma poi io riderò di voi.

Il ritorno alla serie Netflix

Tutto questo ci riporta al punto di partenza:
“Parlate con i vostri figli, scoprirete cose interessanti”
– Ma invece di farlo, deleghiamo alla scuola (“educazione affettiva”)
– Così facendo, troviamo un alibi per non parlare
– Risultato? Non scopriremo mai nulla.


Il mito del linguaggio giovanile: quando gli “esperti” inventano un problema inesistente

Il gergo adolescenziale nasce per colmare un vuoto: esprime concetti che il linguaggio comune non mappa adeguatamente. Ed ecco pronti gli “esperti di adolescenti”, armati di glossari per tradurci parole come “cringe” come se fossimo davanti a un dialetto esotico.

La verità scomoda:

  1. Non servono traduttori: i ragazzi padroneggiano perfettamente sia il loro codice generazionale che la lingua standard
  2. Sanno adattarsi: con un adulto che non comprende il gergo, passano immediatamente alla comunicazione convenzionale
  3. Esempio concreto: mia figlia mi chiamava “nerd” (riferimento al mio lavoro nelle tecnologie), ma con chi non conosceva il termine usava un linguaggio perfettamente tradizionale

Il business degli eterni sessantottini

Stiamo assistendo alla nascita di una casta permanente: – Oggi hanno 60 anni e “spiegano” i 14enni – Domani ne avranno 90 e continueranno a pontificare sull'adolescenza – Il paradosso: più gli adulti evitano di parlare con i giovani, più questi “mediatori linguistici” diventano indispensabili (e ben pagati)

L'amara ironia

La serie Netflix si riassumerebbe in “Parla con i ragazzi e scoprirai cose interessanti su di loro”, ma questa genia di pseudo-linguisti: 1. Si frappone come filtro artificiale 2. Cristallizza l'idea che giovani e adulti non possano comunicare direttamente 3. Di fatto impedisce proprio quel dialogo che dovrebbe essere naturale

Il risultato? Una profezia che si autoavvera: delegando agli “esperti”, gli adulti perdono definitivamente la capacità di comprendere (e farsi comprendere da) chiunque abbia meno di 20 anni.


L'ultima mitologia: il giornalista che “spiega” Internet

Si tratta della versione professionalizzata del “cugino smanettone” di famiglia – quel parente che tutti consultano quando il computer non funziona, ma che in realtà sa solo riavviare il router.

La genesi del fenomeno

Quando Internet esplose negli anni '90, i giornali non poterono più liquidarlo come “roba da hacker, pedofili e satanisti”. Si trovarono quindi di fronte a un dilemma:
Dove trovare competenze? (Non le avevano)
Come evitarle? (Temevano che redattori realmente esperti scalassero troppo in fretta la gerarchia)

La soluzione fu tragica: reclutare:
1. Il “cugino che ne capisce” (il collega che una volta installò Word)
2. La “ragazza col laptop” (la stagista che usava Facebook)

Il risultato? Un esercito di blogger travestiti da giornalisti

Esempio lampante: gli incel.
Cosa farebbe un vero giornalista?
Si infiltrerebbe nei loro forum
Parlerebbe con loro direttamente
Analizzerebbe il fenomeno dall'interno
Cosa fanno invece?
Cercano “manosfera + maschilismo tossico” su Google
Riciclano quattro luoghi comuni
Spediscono l'articolo in redazione

Il paradosso finale

Questi stessi giornalisti che:
1. Non capiscono Internet
2. Non parlano con le loro fonti
3. Riciclano cliché

...poi osano definire “imbevuti dell'ideologia del maschilismo tossico della manosfera” chiunque non rientri nel loro worldview. In breve, superficiali pettegole succhiacazzi, appunto.

Ironia della sorte: sono loro i veri “superficiali” del pezzo.


In definitiva, la serie ha rivelato una verità lapalissiana:

“Parla con gli adolescenti e scoprirai cose interessanti.”

Ma ecco il paradosso

Appena enunciata questa semplice verità, è comparsa un'intera casta di intermediari professionali:
– Gli “esperti di linguaggio giovanile” (che traducono parole come “cringe”)
– I “docenti di educazione affettiva” (che sostituiscono i genitori assenti)
– I “giornalisti-traduttori del web” (che spiegano Internet senza conoscerlo)

Tutti pronti a monetizzare un'attività che, secondo la serie stessa, dovremmo fare personalmente.

L'amara verità sui media

La “media” in “mass media” non sta per “mediatrice della verità”, ma per:
Mediatrice (si frappone)
Mediocre (banalizza)
Merdaccia (corrompe il processo conoscitivo)

Funzionano come un filtro opaco:
1. Prendono una realtà semplice
2. La rendono “complessa” (artificialmente)
3. Si propongono come indispensabili interpreti


Il circolo vizioso

  1. Gli adulti non parlano con i giovani → “Servono esperti!”
  2. Gli esperti si interpongono → Gli adulti parlano ancora meno
  3. Il problema peggiora → Servono ancora più esperti

Risultato finale: una società dove:
– I genitori non conoscono i figli
– I giornalisti non comprendono le loro fonti
– Tutti pagano mediatori per nascondere la propria incapacità di comunicare

E la serie Netflix? Diventa solo l'ultimo pretesto per non cambiare nulla.

Uriel Fanelli


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