E' uscita la “Trilogia dell'Edelweiss”.

Colgo l'occasione per elevarmi momentaneamente da questa valle di lacrime – fatta di dazi insidiosi, politica grottesca e birra irresistibilmente speziata – per annunciare l’uscita della Trilogia dell’Edelweiss. Come suggerisce il nome, si tratta di un’opera in tre volumi, nata da un’intuizione che inizialmente pareva persino folle, ma che ho poi coltivato con tenacia, lasciandola espandere in direzioni inattese. Quello che era un semplice germoglio si è trasformato in un labirinto narrativo, dove ogni svolta rivela nuovi strati di significato.

Insomma, un’avventura divertente che non mi ero mai concesso. Progettare una storia a misura di trilogia – col suo bravo inizio, il suo bel mezzo e il suo “e mo’ come chiudo?” – non è esattamente come ordinare un caffè.

Dovevi fare i conti con la matematica spietata delle puntate: “Questo colpo di scena va nel primo? O lo tengo per il secondo? E se poi nel terzo mi accorgo che manca il pezzo forte?” Una partita a scacchi contro te stesso, dove l’unica mossa consentita è non sbagliare.

Ma alla fine... ha funzionato. Come quelle torte che sembrano storte mentre le inforni, eppure escono perfette. Con tanto di ciliegina sopravvissuta al disastro. In realtà, ho lasciato che la storia parlasse da sé, evitando didascalismi su come l’Europa sia precipitata in questa ucronia. All’inizio avevo scritto una prefazione per spiegarlo, poi l’ho strappata. Non serve. Quella che troverete è semplicemente la realtà del continente, e basta.

Gli indizi ci sono, sparsi tra le righe come semi al vento: città paralizzate da coprifuochi anti-calura, piogge monsoniche sulle pianure della Ruhr, le SS riciclate in esercito europeo, un’aristocrazia eugenetica che si crede depositaria del sangue blu, e una borghesia composta da profughi americani in fuga da una guerra civile che ha sbriciolato gli Stati Uniti.

Al centro di tutto, un’idea tossica: la produzione industriale di cloni femminili. Attorno, ho costruito l’unica società che poteva germogliare da un simile abominio – e, naturalmente, chi ha provato a ribellarsi. Perché nessun sistema è così perfetto da non lasciare crepe.


DISCLAIMER NECESSARIO

A quanto pare, persino la rappresentazione più cruda dell'orrore nazista può essere fraintesa.

Let me spell it out: questa trilogia è una condanna senza appello del nazismo, delle SS e di ogni forma di totalitarismo. Se descrivo meticolosamente le loro atrocità – i forni, il sadismo istituzionalizzato, la perversione di ideali – non è per glorificarli, ma per screditare chi ancora sogna di riportare indietro l'orologio della storia. Un tizio che considera un atto d'amore uccidere tua madre senza una vera ragione, a me sembrava un considerevole “stronzo”, per dirla in termini edulcorati.

Mi stupisce doverlo specificare, ma i tempi lo richiedono: quando mostro un ufficiale SS che premia la crudeltà dei suoi sottoposti, non lo sto facendo per renderlo “affascinante”. Quando racconto di donne che traggono piacere dal dolore altrui, non è un'apologia ma una radiografia del male.

Il fatto che l' Edelweiss sembra un mondo felice di gente che vive la propria vita non è che una rappresentazione della normalità del male. Tema che non ho certo inventato io.


La Trilogia dell'Edelweiss

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Questa trilogia aderisce al programma “Dissetami” – perché ogni libro acquistato non è solo una storia, ma anche una birra che mi verserò in vostro onore. E poi un'altra. E un'altra ancora.

Un ciclo virtuoso (o vizioso, dipende dai punti di vista) in cui voi leggete, io brindo, e la letteratura avanza tra un sorso e l'altro.

Grazie per sostenere non solo la mia scrittura, ma anche la mia idratazione a base di luppolo.


La Trilogia dell'EdelweissI fantasmi della storia

Scrivere questa opera è stato come ripercorrere un labirinto di specchi deformanti, dove persino la luce ha un retrogusto di menzogna. Volevo un protagonista cresciuto in una famiglia hippy ante litteram, e così scoprii la Lebensreform – quel movimento anni '20 che mescolava nudismo, vegetarianesimo e misticismo da cartolina illustrata.

La mia sorpresa maggiore? Scoprire che il regime nazista aveva un rapporto ambiguo con questi “eretici della natura”. Li tollerava, in alcuni casi li celebrava. Come con Leni Riefenstahl, la regista-fotografa feticcio di Hitler, che immortalava corpi nudi e scolpiti come incarnazioni del mito ariano. Ma c'era anche Hans Surén, il profeta del nudismo nordico, le cui teorie sul “ritorno alla natura” vennero adottate (e distorte) dalle SS.

Il secondo libro scava proprio in questo paradosso: come un'utopia di purezza possa trasformarsi in un manuale del terrore. Le mie ricerche mi hanno portato in fabbriche abbandonate al confine ceco, dove ancora oggi i muri sembrano urlare. Molte cose del secondo capitolo sono successe davvero, in una vecchia fabbrica dotata di forni industriali, ed e' vero ed ufficiale che le SS premiavano il sadismo. Quanto a personaggi femminili che sembravano provar piacere nell'orrore, il nomi sono dozzine e dozzine.

L'Edelweiss nel titolo non è un fiore innocente: è stato simbolo di resistenza e di complicità, nome di un libro celebre e di un movimento che sognava (invano) un nazismo “umano”.

Queste contraddizioni sopravvivono, come il LebensReform con le sue idee “Steineriane”, nelle Reformhaus moderne (che si trovano ancora ovunque, in Germania), nei nostri dibattiti su bio ed eugenetica, persino in certe palestre dove il culto del corpo perfetto riecheggia vecchi incubi.


La Trilogia dell'Edelweiss – Il secondo capitolo – quando la storia supera l'orrore

Scrivere il secondo capitolo è stato come camminare su un crinale tra storia e incubo. Quello scantinato delle SS, coi suoi forni industriali? Esisteva davvero, al confine tra Germania e attuale Repubblica Ceca. Era una ex fabbrica di cristalli adibita a sala “interrogatori”. I documenti parlano chiaro: le SS trasformarono la crudeltà in metodo, il sadismo in merito d'ufficio.

E le donne? Le cronache processuali elencano dozzine di nomi – guardiane, ausiliarie, complici – che non solo obbedivano, ma spesso superavano in ferocia i loro colleghi maschi. C'è qualcosa di profondamente inquietante nel leggere i verbali dove il piacere nell'orrore viene descritto con precisione burocratica.

Ho scelto di non edulcorare. Non potevo. Perché quando la realtà ha già toccato questi abissi, qualsiasi finzione sarebbe stata quasi irrispettosa. Il personaggio femminile più disturbante della storia ha radici in quelle carte d'archivio che ho trovato in giro per Internet.

D'altro canto, il secondo capitolo potrebbe risultare disturbante.


Per il resto, come ho detto, spero che il libro vi piaccia.

Buon divertimento.

Uriel Fanelli


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