A quanto pare, e' obbligatorio parlarne.
Ma onestamente, a me di Garlasco non frega nulla. Cosi' parlero' di Garlasco per parlare del rapporto tra inchieste e giornalismo. Perche' c'e' una cosa che mi lascia molto perplesso. Ovvero il fatto che le inchieste su crimini che vengono molto seguire dalla stampa, apparentemente vanno sempre a farfalle.
Sia chiaro: non c'ero. Quindi non si di preciso chi abbia ucciso quella povera ragazza. Cosi' come non c'ero in casa Scazzi. E via dicendo, per tutte le vicende criminali che la stampa ha reso famose.
Ma diciamo pure che io dubiti, a questo punto. Se una teoria accusatoria non consente di ritrovare l'arma del delitto e una teoria diversa porta al ritrovamento, e ripeto “se”, allora siamo in una situazione imbarazzante. E ci siamo comunque, anche se la vecchia sentenza di colpevolezza non cambiasse: non puo' essere che, per diciotto anni, se qualcuno avesse chiesto agli investigatori “ma avete controllato quel canale”, la risposta sarebbe “ehm, no, ma perche', cosa doveva esserci?”.
Qui pero' bisogna essere razionali: la giustizia italiana, per quanto malmessa, non puo' essere tutta cosi'. Non puo' essere che ogni indagine lasci punti aperti, sciatteria investigativa, questioni aperte e sentenze ambigue e illogiche. Se cosi' fosse nessuno pagherebbe un avvocato, nessuno se ne fiderebbe, nessuno chiamerebbe la polizia di fronte ad un reato.
Quindi, anche se fossimo nel caso vergognoso di uno Stasi innocente , o che a Bibbiano non sia mai successo nulla, o che lo zio contadino non sia il colpevole, il problema e' questo: almeno in media la giustizia italiana deve funzionare, altrimenti non esisterebbe piu'.
Ma se partiamo da quest'ipotesi, come mai sui giornali e sui media vediamo i grandi processi venire riaperti,e. a volte con dei dubbi ragionevoli?
La mia risposta e' , ovviamente, un'ipotesi:
la pressione dei mass media interferisce con la serenita' e l'obiettivita' delle indagini e dei processi, al punto da inficiarne il funzionamento – nella grande maggioranza dei casi.
Quale sarebbe, di preciso, il meccanismo? Cosa succede ad un'inchiesta che finisce sotto le luci della stampa? Beh, innanzitutto notiamo la comparsa tardiva di testimoni. Come la spiego? Immaginate di arrivare in piena tempesta stampa. Il paesino dove abitate e' diviso in colpevolisti e innocentisti, tutti assatanati dal clamore della stampa, e voi arrivate e fate pendere la bilancia in una direzione che non piace al 50% del paese. Verrete linciati, sottoposti a pettegolezzi sulle possibili cause occulte della vostra testimonianza, eccetera. Siete sicuri che testimoniereste, sapendo che diventerete l' “infame” per meta' del paese del delitto Scazzi?
E ancora peggio, pensate quel caso di omicidio nel quale fu sottoposto allo scan del DNA una popolazione intera. Dopo una mossa del genere, c'e' il rischio che trovarsi invischiati in quella vicenda significhi trovarsi con una scansione generazionale che andra' a controllare chi e' figlio di chi nella vostra famiglia. Siamo certi che sia questo che un testimone vuole? E' ovvio che una scansione del genere abbia gettato una pesantissima coltre di omerta' sul posto. Chi vuole davvero che qualcuno vada a verificare tutte le nascite della sua famiglia? In diretta TV?
Qui il problema non e' semplicemente che gli inquirenti si trovano spinti dall'opinione pubblica a trovare un colpevole qualsiasi. Qui il problema e' che l'ambiente circostante viene perturbato dalla presenza del giornalismo, e tutti – dai testimoni ai sospetti – devono cominciare a comportarsi in maniera differente dal solito. Non male.
Qui dobbiamo rispondere ad una domanda che ha senso statistico: le inchieste di grande rilievo giornalistico sono un buon campione statistico casuale , oppure no? Perche' se lo sono, allora la giustizia italiana e' cosi' inutile che converebbe non interpellarla nemmeno. Oppure, se non lo sono, occorre che in qualche modo il rilievo giornalistico stia perturbando – in peggio – l'andamento delle inchieste.
E' dai tempi di Mani Pulite che sono molto perplesso verso quelle “ratline” che consentono, sistematicamente, al segreto istruttorio di sfuggire dalle procure e finire sui giornali. La mia argomentazione e' che se un magistrato non puo' nemmeno sperare che le sue carte rimangano sulla sua scrivania, e non puo' sapere in quali mani finiranno (solo giornalisti? giornalisti e altri? solo altri?) il magistrato stesso non e' nelle condizioni di lavorare. Anche senza citare il giudice Livatino, ucciso quando la mafia venne a sapere – rompendo il segreto istruttorio, cioe' – su cosa intendeva indagare, vorrei capire con quale oggettivita' abbiano potuto operare i magistrati di Mani Pulite, dal momento che la popolazione si aspettava di vedere la pelle di un paio di cinghialoni al giorno.
Non per nulla fu un disastro, nel senso che delle cifre “rubate” non si recupero' quasi nulla, e che ci furono centinaia e centinaia di innocenti che finirono in carcere senza motivo.
A mio avviso, cioe', ho molte ragioni di sospettare che il solo intervento massiccio della stampa e dei mass media sia sufficiente a mandare in merda quasi tutte le inchieste, che invece si sarebbero concluse meglio se gli investigatori fossero stati lasciati lavorare in pace.
E questa, onestamente, e' la sola cosa che mi viene da dire sul caso Garlasco.
E su tutti gli altri, anche.
Uriel Fanelli
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