Ancora su Incel e ipergamia.

Un paio di post fa, ho discusso di come gli incel denuncino un fenomeno molto presente sulle app di incontri: l’ipergamia femminile, ovvero la tendenza attribuita alle donne di selezionare partner percepiti come superiori in termini di status, attrattiva o risorse.

Questa dinamica trova effettivamente riscontro nei dati forniti dalle stesse piattaforme: ad esempio, uno studio del 2019 su Tinder ha rilevato che gli uomini mettono “mi piace” alla maggior parte dei profili femminili, mentre le donne selezionano solo una stretta minoranza degli uomini; inoltre, le donne di “bellezza media” ricevono fino a 15 volte più “mi piace” rispetto agli uomini mediamente attraenti (Wikimedia, “Incel”; vedi anche General Social Survey, citato dal The Washington Post)

Questi dati confermano, almeno in parte, la percezione degli incel riguardo a una forte asimmetria nella selezione dei partner sulle app.

Tuttavia, va sottolineato che nella realtà storica questa dinamica è stata molto meno diffusa. Per gran parte della storia occidentale, il matrimonio e la formazione delle coppie erano regolati da norme sociali, economiche e culturali piuttosto rigide, che limitavano la libertà di scelta individuale e, di conseguenza, la possibilità di comportamenti ipergamici così marcati (Kalmijn, “Intermarriage and Homogamy: Causes, Patterns, Trends”, 1998; Coontz, “Marriage, a History: How Love Conquered Marriage”, 2005). Quando si parla di un periodo in cui l’ipergamia era assente o marginale, ci si riferisce dunque a una fase storica relativamente breve e recente, coincidente con l’affermazione dell’individualismo e la diffusione delle piattaforme digitali.


Quando si affronta il tema dell’ipergamia legata allo status, e agli status symbol che popolano i profili delle app di dating, spesso si ricorre a modelli interpretativi che fanno riferimento alla cosiddetta “psicologia evolutiva”. Questo approccio, tuttavia, è oggetto di numerose critiche: la psicologia evolutiva, infatti, non può essere considerata una scienza esatta e le sue teorie, applicate in modo semplicistico ai comportamenti contemporanei, rischiano di risultare riduttive e poco fondate (Buller, “Adapting Minds: Evolutionary Psychology and the Persistent Quest for Human Nature”, 2005).

Vorrei però proporre un percorso opposto: invece di addentrarmi nella controversa discussione sulle cause dell’ipergamia, preferisco volgere lo sguardo al passato per indagare le ragioni per cui questo fenomeno era molto meno evidente nelle società precedenti. Analizzando i fattori storici, sociali ed economici che limitavano la libertà di scelta individuale, potremo forse, per negazione, arrivare a comprendere perché oggi l’ipergamia appaia così accentuata (Coontz, “Marriage, a History: How Love Conquered Marriage”, 2005).

Per procedere con metodo, è utile innanzitutto esaminare quali barriere impedivano, nelle società tradizionali, che una donna comune potesse unirsi in matrimonio con un uomo appartenente all’élite sociale – il “Chad” ante litteram: bello, ricco, giovane e in ottima forma fisica.

La prima evidenza è che le società pre-moderne erano rigidamente strutturate in classi: nobili, borghesi e popolani. In questo contesto, l’ipergamia – intesa come ascesa sociale tramite il matrimonio con un uomo di rango superiore – era di fatto quasi impossibile. L’1% della popolazione che deteneva ricchezza, salute e privilegi era rappresentato dalla nobiltà, e l’accesso a questo gruppo era fortemente limitato da norme e consuetudini.

Un esempio emblematico è il matrimonio morganatico: un’istituzione che, dall’età feudale fino all’epoca moderna, regolava le unioni tra uomini di sangue reale o nobiliare e donne di rango inferiore. In questi casi, la moglie e i figli nati dall’unione non potevano accedere ai titoli, ai privilegi e ai diritti ereditari del marito, restando così esclusi dalla trasmissione del patrimonio e della posizione sociale (Treccani, “Matrimonio morganatico” ; Wikipedia, “Matrimonio morganatico”; Una parola al giorno, “Morganatico”).

Questa prassi non solo scoraggiava, ma di fatto impediva la possibilità di una vera ascesa sociale tramite il matrimonio, preservando la “purezza” della linea dinastica e la stabilità degli assetti di potere.

Non a caso, il matrimonio con un principe era considerato un evento quasi mitologico: “sposare il principe” rappresentava la massima fortuna per una donna del popolo, tanto da essere celebrato e mitizzato nelle fiabe popolari come Cenerentola e molte altre (Bettelheim, “The Uses of Enchantment”, 1976). Questa narrazione fiabesca riflette l’eccezionalità – e la quasi impossibilità – di un’ascesa sociale attraverso il matrimonio nelle società tradizionali.

In sintesi, le barriere sociali ed ereditarie rendevano l’ipergamia strutturalmente impraticabile nel passato, a differenza di quanto avviene nel mondo contemporaneo, dove l’ideale dell’“amore romantico” ha progressivamente prevalso come criterio di scelta del partner (Coontz, “Marriage, a History: How Love Conquered Marriage”, 2005).

Anche sposare un borghese , per una donna del popolo – ovvero sposare un uomo ricco ma non nobile – era estremamente difficile. Innanzitutto, le occasioni di incontro erano rare, poiché le diverse classi sociali conducevano vite separate e frequentavano ambienti distinti. Inoltre, la cultura del tempo educava gli uomini della borghesia a evitare legami matrimoniali con donne di ceto inferiore, se non per motivi ricreativi o sessuali (Stone, “The Family, Sex and Marriage in England 1500–1800”, 1977).

I borghesi, infatti, tendevano a sposarsi all’interno del proprio gruppo sociale, preservando così il patrimonio e la rispettabilità familiare. Per una popolana, “avere alti standard” nella scelta del partner era semplicemente fuori discussione: nessun uomo di rango superiore l’avrebbe presa in moglie, anche se era relativamente frequente che venisse accettata come amante, spesso sostenuta da regali e favori economici, ma sempre esclusa dalla legittimità e dalla sicurezza del matrimonio (Stone, 1977).

Per le donne del popolo, la possibilità di confondersi tra le classi sociali più elevate era praticamente nulla. Le mani segnate dal lavoro e la pelle abbronzata dal sole rappresentavano segni inconfondibili della loro condizione. In un contesto aristocratico, la carnagione scura di una popolana sarebbe immediatamente spiccata tra le dame dalla pelle candida, considerata all’epoca simbolo di nobiltà e delicatezza (Vigarello, “La pelle e la storia”, 2004). Allo stesso modo, durante il rituale del baciamano, il contatto con una mano ruvida e callosa avrebbe immediatamente rivelato le umili origini della donna.

Non a caso, il gesto del baciamano nasce e si diffonde proprio nelle corti europee come raffinato segnale di distinzione sociale: la morbidezza della pelle e la cura delle mani diventano veri e propri marcatori di status, in un’epoca in cui il lavoro manuale era prerogativa esclusiva delle classi subalterne (Elias, “Il processo di civilizzazione”, 1939). Così, anche i più piccoli dettagli del corpo e del comportamento contribuivano a rendere quasi invalicabile la barriera tra le classi.


A questo punto, diventa evidente il meccanismo che regolava i rapporti tra le classi sociali: a impedire l’accoppiamento interclasse non era certo la mancanza di strumenti tecnologici, ma la rigidità della struttura sociale. Anche se fosse esistito qualcosa di simile a Tinder, probabilmente avremmo avuto tre piattaforme distinte: una per i nobili, una per i borghesi e una per i popolani. La società stessa, con le sue regole e i suoi confini ben definiti, impediva concretamente che si verificassero unioni ipergamiche (Stone, “The Family, Sex and Marriage in England 1500–1800”, 1977).

Non è dunque la tecnologia ad aver creato la possibilità dell’ipergamia, ma piuttosto il mutamento dei valori e delle norme sociali che, nel tempo, hanno reso accettabile – e persino desiderabile – il matrimonio o l’unione tra individui di diverso status economico. Le app di dating non hanno fatto altro che rendere visibile e accessibile questa possibilità, già latente nella società contemporanea (Coontz, “Marriage, a History: How Love Conquered Marriage”, 2005).

Se, come suggeriscono alcune correnti del femminismo statunitense, anche gli uomini iniziassero ad adottare criteri di selezione basati sullo status economico, rifiutando di sposare donne di classe sociale inferiore, la dinamica ipergamica verrebbe drasticamente ridimensionata, a prescindere dall’esistenza o meno delle app di incontri (Hakim, “Erotic Capital: The Power of Attraction in the Boardroom and the Bedroom”, 2011).


La mia conclusione, dunque, è che sì: i dati e gli studi confermano che le app di dating favoriscono dinamiche ipergamiche, soprattutto attraverso algoritmi che selezionano e filtrano i partner potenziali in base a criteri spesso legati a status e attrattiva

Tuttavia, questa realtà è resa possibile perché la società contemporanea la tollera e la legittima: non è la tecnologia in sé a creare l’ipergamia, ma il contesto sociale che accetta, e anzi normalizza, unioni in cui il partner maschile accoglie una donna di rango economico inferiore.

Negli Stati Uniti – dove la cultura incel si è sviluppata e trova maggiore eco – questa tolleranza sociale è tutt’altro che scontata o “morbida” come in Europa. Fino agli anni Sessanta, infatti, esistevano leggi che vietavano il matrimonio interrazziale, e il primo bacio interrazziale trasmesso in televisione – quello tra il Capitano Kirk e Uhura in Star Trek, nel 1968 – suscitò scandalo e accese dibattiti sui giornali dell’epoca. Questo dimostra come, storicamente, le barriere sociali e razziali negli Stati Uniti siano state forti e persistenti, e solo di recente la società abbia iniziato ad accettare forme di accoppiamento che superano i confini di classe e razza (Coontz, “Marriage, a History: How Love Conquered Marriage”, 2005)

In sintesi, le app di dating hanno semplicemente reso visibile e accessibile una possibilità che la società, oggi, è disposta ad accettare. Ma se domani cambiasse il clima sociale – ad esempio, se anche gli uomini adottassero criteri di selezione basati sullo status economico e rifiutassero unioni ipergamiche – la tecnologia, da sola, non basterebbe a mantenere queste dinamiche


Gli incel lamentano la presenza dell’ipergamia sulle app di dating, fenomeno che i dati confermano: sulle principali piattaforme come Tinder, una netta minoranza di uomini riceve la maggior parte dell’attenzione femminile, mentre la maggioranza degli utenti maschili resta esclusa dai match più desiderati

. Tuttavia, spesso si tende a generalizzare questa dinamica come se riguardasse tutte le forme di interazione tra i sessi, quando in realtà la sua diffusione è strettamente legata al contesto sociale e culturale in cui le app operano.

Le app di dating, infatti, non sono nate in un vuoto sociale: sono il prodotto di una società che accetta e normalizza l’ipergamia femminile su base economica e simbolica

In altre parole, il funzionamento ipergamico di queste piattaforme è possibile solo perché la società contemporanea lo tollera e lo legittima. In contesti storici o culturali diversi, dove le barriere di classe o di razza erano (e in alcuni casi sono ancora) rigidissime, app di questo tipo non avrebbero potuto esistere o funzionare allo stesso modo. Negli Stati Uniti, ad esempio, la tolleranza sociale verso unioni “miste” è un fenomeno relativamente recente: fino agli anni Sessanta esistevano leggi che proibivano i matrimoni interrazziali, e persino rappresentazioni simboliche come il primo bacio interrazziale in Star Trek suscitarono scandalo e dibattito pubblico.

In sintesi, le app di dating hanno semplicemente reso visibile e accessibile una possibilità che la società contemporanea è disposta ad accettare. In altre culture o epoche, dove la mobilità sociale e l’ipergamia erano ostacolate da norme e barriere rigide, piattaforme simili non avrebbero avuto spazio né successo.

Non possiamo, quindi, fare davvero un distinguo tra “cosa succede nelle app” e “cosa succede nella societa' “. Semmai le app sono uno strumento di misura.


E' un fenomeno visibile in termini numerici nei rapporti annuali delle app, ma e' presente e accettato nella societa'.

Uriel Fanelli


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