Sulle manifestazioni pro-pal.

Sulle manifestazioni pro-pal.

Sta andando in scena — gentilmente offerta dai sindacati e dal Partito Democratico — una delle più solenni prese per il culo della ragione pubblica che la storia recente possa ricordare: le manifestazioni per la cosiddetta Flottilla e per gli arresti israeliani. Un capolavoro di ipocrisia bipartisan, condito da lacrime umanitarie a giorni alterni.

Prima di procedere, dichiaro il mio bias con la franchezza che manca a molti:


Israele ha commesso crimini di guerra (Convenzione di Ginevra IV, art. 147) bombardando Gaza a tappeto e affamando deliberatamente la popolazione civile — un atto che rientra pienamente tra le violazioni gravi del diritto umanitario (Protocollo Addizionale I, art. 54).


E non basta: Israele ha commesso crimini contro l’umanità (Statuto di Roma, art. 7), poiché durante quei bombardamenti indiscriminati sono morte oltre settantamila persone, la maggior parte civili, colpite senza distinzione e senza giustificazione militare.

E per i soliti che muggiscono il mantra del “ma il sette ottobre!”, risparmiate fiato:


Ci sono abbastanza celle nei tribunali internazionali per contenere sia i criminali di guerra israeliani sia i capi di Hamas (Statuto di Roma, art. 25, responsabilità individuale).


Il diritto non è un buffet da cui si scelgono solo i piatti graditi.

Quanto alla Flottilla, l’arresto dei naviganti è illegale. Israele, in base al diritto del mare (Convenzione di Montego Bay, art. 87 e 90), può solo ispezionare un’imbarcazione sospetta per verificare l’eventuale trasporto di armi — ma non può impedire il passaggio di aiuti umanitari (Convenzione di Ginevra IV, art. 23).

Il cibo, le medicine e i volontari, in quanto parte di una missione umanitaria riconosciuta, devono essere lasciati passare — blocco navale o meno. Pretendere il contrario significa ammettere, con elegante brutalità, che la fame è divenuta un’arma (Convenzione di Ginevra IV, art. 23).

Stabilito dunque che non sono un difensore di Israele, aggiungo anzi che personalmente considero le IDF equivalenti alle SS — e non per provocazione, ma per coerenza storica con quanto scritto. I nazisti furono condannati a Norimberga proprio per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e cospirazione per commetterli (Statuto del Tribunale di Norimberga, art. 6).


All’epoca, il termine “cospirazione” designava ciò che oggi, nel codice penale italiano, chiameremmo associazione a delinquere.


Mutatis mutandis, l’attuale dirigenza militare israeliana rientra appieno nella stessa tipologia giuridica — solo con migliore ufficio stampa. E di questo non sarei nemmeno sicuro.


Ma torniamo alla “presa per il culo” nazionale: le manifestazioni di questi giorni.


Per comprenderle, occorre partire da un principio semplice quanto imbarazzante: in Italia c’è molta rabbia, e non per colpa dei notiziari, ma delle tasche vuote.
Le condizioni economiche non sono “difficili”: sono catastrofiche. La cosiddetta “crescita” coincide esattamente con i soldi del PNRR, cioè denaro europeo contabilizzato come progresso.


E mentre l’economia arranca, l’ISTAT — oggi più servile che statistico — diffonde con tono trionfante il dato dell’inflazione mensile, evitando accuratamente di ricordare che un modesto +1,7% al mese equivale, in termini reali, a oltre il 22% annuo.

Ecco dunque il dolore che sentite, là in basso, proprio dove piace a Valentina Nappi. Ops.

Siete diventati poveri.

Con un capitale di rabbia così vasto, è quasi sorprendente che le piazze non brucino ogni settimana.


La voglia di scendere in strada e spaccare tutto c’è, eccome — e sarebbe persino fisiologica.


Soprattutto tra i giovani, che non intravedono altro destino se non una servitù a tempo indeterminato, travestita da flessibilità.


Un’intera generazione sterilizzata non da carenze biologiche, ma da impossibilità progettuale: non si può generare futuro quando ogni prospettiva scade a fine mese. Gli industriali vi prendono per i fondelli quando piagnucolano perché “non nascono abbastanza bambini” e “non si trovano più dipendenti”.


La realtà, ben più prosaica, è che la prima domanda che rivolgono a una donna durante un colloquio di lavoro è: “Ha intenzione di avere figli?”
E se la risposta è sì, il colloquio finisce lì.

Poi gli stessi signori si stupiscono che le culle restino vuote e le fabbriche pure. Karma is a bitch, isn't it?

E i vari “bonus maternità”, nella loro patetica natura di elemosine una tantum, non risolvono nulla: un figlio, dopotutto, è un progetto a lungo termine, non un contributo a fondo perduto.

Dicevo, di rabbia ce n’è molta.


Eppure, se osserviamo quali sono state le manifestazioni più imponenti in Italia negli ultimi tempi, il quadro diventa grottesco:
da un lato, il Gay Pride, con circa un milione di partecipanti; dall’altro, la marcia pro-Flottilla, che ne ha radunati più o meno due milioni.

Sembra dunque che la sinistra — quella di piazza, di megafono e bandiera — sappia ancora organizzare masse imponenti.

Quando vuole.


Il problema, semmai, è su cosa le organizza.

E qui sorge la domanda cruciale, tanto semplice quanto imbarazzante:
perché la gente scende in piazza per Gaza, ma non per cambiare il contratto di lavoro o la politica economica del proprio Paese?


La risposta è banale.


Perché se domani in piazza scendessero due milioni di persone — arrabbiate, determinate, pronte a rompere tutto, per protestare contro la condizione economica del paese — il governo Meloni collasserebbe in poche ore.

La narrativa di Palazzo è semplice e patinata: tutto va bene, anzi meglio, l’economia sorride, i bollettini festeggiano, e il paese è un romanzo di animali fantastici e dove trovarli.


Ma la verità ha una peculiarità scomoda: regge finché non le si mette davanti la realtà.


Due milioni di manifestanti che gridano contro povertà, disoccupazione, stipendi da fame e precariato non sono opinioni su un tweet: sono una prova empirica che demolisce la narrazione ufficiale.


E quando la messa in scena si rompe, la menzogna non regge più: la facciata si sgretola, la propaganda inciampa, e il castello di carte crolla — in modo non elegante, e del tutto meritato.Ed è proprio per questo che la cosiddetta opposizione — fedele alla sua missione storica — corre in soccorso del governo ogni volta che questo rischia davvero di trovarsi nei guai.
Come lo fa?

Semplice: devia il malcontento.

Il disagio sociale c’è, palpabile, e la gente disposta a scendere in piazza anche.
Ma il malcontento è, per natura, una forza cieca: nasce individuale, personale, quasi viscerale.

Poi arriva la leadership politica, con la sua raffinata arte della distrazione, e ridirige l’energia collettiva verso bersagli innocui.

La sinistra potrebbe — se solo volesse — organizzare manifestazioni oceaniche contro povertà, disoccupazione e precarietà, cioè contro le vere cause del disagio che devasta il Paese.


Ma non lo fa.

Perché una simile mobilitazione, se davvero avesse successo, farebbe cadere il governo.

E, orrore degli orrori, obbligherebbe poi qualcuno a governare davvero.

Molto più comodo, invece, canalizzare quella stessa rabbia su Gaza: un tema moralmente sicuro, lontano, inoffensivo sul piano interno.


Una manifestazione catartica, dove si può urlare contro l’ingiustizia universale senza disturbare troppo l’ingiustizia nazionale.


In questo modo, la rabbia trova sfogo, la coscienza si lava — e il governo ringrazia sentitamente. Niente di che.


Sì, vi stanno prendendo per il culo.


I sindacati e il Partito Democratico sono perfettamente capaci di organizzare un Gay Pride da un milione di persone, o una manifestazione pro-Flottilla da due milioni, con tanto di cori, slogan e selfie solidali.


Ma se pensate, anche solo per un istante, di poter partecipare a una manifestazione per le vostre condizioni economiche reali — per le bollette astronomiche, il costo del cibo alle stelle, gli stipendi miserabili o il precariato infinito — beh, rassegnatevi: vi state preparando a un inverno lungo e freddo.

La prossima grande manifestazione sarà, con ogni probabilità, “per la pace” — l’evergreen dei buoni sentimenti.


Poi, chissà, ne organizzeranno una contro l’entropia, seguita da una marcia per l’abrogazione delle leggi di Maxwell.


Scenderanno in piazza contro l’ananas sulla pizza e contro le tette rifatte, magari con patrocinio del Ministero della Coerenza Immaginaria.

Ma per ciò che davvero conta — per voi, per la vita reale, per il lavoro che non c’è e per il carrello della spesa che svuota i conti — non manifesteranno mai.

Perché farlo significherebbe mettere in crisi l’equilibrio perfetto del sistema:
un governo che governa male, un’opposizione che finge di opporsi, e un popolo a cui basta cambiare argomento per sentirsi libero.

Sto forse dicendo che sindacati e PD sono complici, solidali e organizzati nel sostenere il governo — o almeno nel salvarlo dal malcontento?

Si. Sto dicendo questo.


Vi stanno prendendo per il culo.
E, a quanto pare, siete così intenti a giocare agli Opliti del Bene nella vicenda di Gaza — posizione rispettabilissima, sia chiaro — da non accorgervene nemmeno.

E se invece ve ne accorgete, allora viene voglia di ricordarvi che quando Valentina Nappi parla con disarmante sincerità delle proprie preferenze in fatto di prenderlo nel culo, non sta enunciando un programma politico.

Voi, tuttavia, non siete Valentina Nappi.

Eppure vi lasciate penetrare — seppur politicamente — con una docilità che definire “consapevole” sarebbe un atto di ottimismo.

Ma, in fondo, de gustibus non est disputandum: ognuno sceglie da chi farsi inculare, e con quale grado di entusiasmo.

E a voi, a quanto pare, PIACE.