Sulla Svezia, ovvero l' Hate Garden contro gli uomini.

Sta facendo un grande scalpore la nuova legge svedese che vieterà l’uso dei servizi di OnlyFans. E no, non sto scherzando: Stoccolma ha deciso di infilare il naso anche nei contenuti digitali a pagamento, con una legge che, a partire dal 2026, metterà al bando l’accesso a piattaforme di questo tipo per i cittadini svedesi. Prima di andare avanti, svelo il mio bias: OnlyFans andrebbe nuclearizzato. E dopo l’atomica, un bel mezzo metro di sale. E poi un pizzico di marmo, tabacco e pipa (cit.). E dopo aver detto questo, per tutto il resto dell’articolo, mi chiederete come mai io sia contrario a questa legge.

Perché, diciamocelo, la Svezia non è nuova a queste crociate femministe. Dal 1999, con l’introduzione del cosiddetto “modello nordico” sulla prostituzione, il paese ha deciso che il modo migliore per combattere il sesso a pagamento è punire i clienti, lasciando le lavoratrici del settore intoccate. Un’idea geniale, no? Punisci chi paga, non chi offre, e il problema sparisce. O forse no. I dati, infatti, raccontano un’altra storia: secondo un rapporto del 2010 del governo svedese, la prostituzione di strada è diminuita, ma quella online e al chiuso è fiorita come un prato a primavera. E ora, a quanto pare, il modello nordico si evolve: non solo i clienti delle prostitute, ma anche gli abbonati a OnlyFans sono nel mirino. Perché, si sa, un governo che ti dice come spendere i tuoi soldi è sempre una gran cosa.

Abituati a pensare alla Svezia come il paradiso perduto dove moralismo e puritanesimo si erano estinti, sepolti sotto un cumulo di design minimalista e tazze di caffè equosolidale, la prima cosa che dobbiamo chiederci è: come diavolo è possibile che Stoccolma sia diventata il gendarme della virtù? La risposta, in fondo, è che la nostra percezione non era sbagliata. Moralismo e puritanesimo sono davvero estinti, ridotti a polvere come i vinili di un gruppo folk svedese dimenticato. Ma al loro posto è cresciuto un cancro ben più insidioso, più codardo, più opportunista: il femminismo. Non quello delle suffragette, intendiamoci, ma quella versione turbofemminista che si è insinuata come muffa nei corridoi del potere svedese, pronta a giustificare ogni follia legislativa in nome della protezione della “donna”.

Sì, perché questa nuova crociata contro OnlyFans, come il modello nordico del 1999 che punisce i clienti della prostituzione, non è altro che l’ennesimo capitolo di una saga intitolata “Salviamo le donne da loro stesse”. La logica è semplice: una donna che sceglie di vendere contenuti su OnlyFans non è una persona adulta e consenziente che fa ciò che vuole con il proprio corpo. No, è una vittima. Sempre. E lo Stato svedese, con la sua infinita saggezza, deve proteggerla da se stessa e dai perfidi abbonati che osano pagarla. È un copione così stantio che potrebbe essere stato scritto da un burocrate di Stoccolma durante una pausa pranzo a base di polpette e salsa ai mirtilli.

E non è una novità. Basta guardare il caso di Julian Assange, che ho gia' tirato in ballo. Nel 2010, la Svezia ha deciso che il fondatore di WikiLeaks, colpevole di aver fatto tremare i potenti con le sue rivelazioni, meritava di essere trascinato in un’odissea giudiziaria per accuse di violenza sessuale che, a voler essere gentili, erano fragili come un bicchiere di cristallo in mano a un ubriaco. Due donne, un incontro consensuale, e poi una serie di accuse che si sono sgonfiate nel 2017, quando la procura svedese ha chiuso il caso per mancanza di prove concrete.

Ma nel frattempo, Assange è stato di fatto rinchiuso, prima in un’ambasciata e poi in una prigione, mentre la Svezia si pavoneggiava per il suo zelo femminista. Nessun svedese, o quasi, ha battuto ciglio: il turbofemminismo è così radicato che l’idea di sacrificare un uomo sull’altare della “protezione della donna” sembra perfettamente normale.

E ora, con OnlyFans, il copione si ripete. La legge, che dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2026, non è solo un attacco ai clienti (di nuovo, colpevoli di spendere i loro soldi come vogliono), ma un’ennesima dimostrazione di quanto la Svezia ami dipingere le donne come fragili creature incapaci di decidere per sé.


E la logica del “colpiamo il cliente per scoraggiarlo”? È più patetica che ridicola, un capolavoro di ipocrisia che potrebbe essere esposto al Moderna Museet di Stoccolma come esempio di arte burocratica del XXI secolo. Immaginate se questa brillante strategia fosse applicata, che so, allo spaccio di droga. Mettiamo che la Svezia decida di sbattere in cella non lo spacciatore, ma il tizio che si compra una canna per rilassarsi dopo una giornata di lavoro. Cosa succederebbe? Si alzerebbe un polverone, con editoriali indignati sul Dagens Nyheter che gridano: “Non ha senso incarcerare un povero ragazzo colpevole solo di aver comprato uno spinello!”. I talk show svedesi, tra un sorso di caffè biologico e un discorso sull’uguaglianza, si riempirebbero di esperti pronti a difendere il diritto del consumatore di fare scelte sbagliate in pace.

Ora, spostiamo la stessa logica a OnlyFans. Ecco che il nostro eroe, il cliente, diventa un tizio qualunque che sgancia 7,50 dollari (o 70 corone svedesi, per restare locali) per un video che, diciamocelo, promette una serata un po’ più interessante del solito. E cosa fa la Svezia? Lo marchia come criminale, un pericolo pubblico, un complice dello “sfruttamento digitale”. Perché, ovviamente, pagare per una foto osé è un crimine contro l’umanità, mentre spendere 200 corone per una birra Raffo in un bar di Södermalm è solo un segno di buongusto. Vi sembra sensato? No, perché non lo è. È il tipo di nonsense che fiorisce solo nel giardino dei fanatici, dove l’assurdità viene spacciata per virtù e l’ideologia si traveste da logica.

Questo approccio del “colpisci il cliente” non è solo un fallimento pratico – come dimostra il modello nordico, che dal 1999 ha solo spostato la prostituzione dalle strade di Stoccolma ai siti web e agli appartamenti privati – ma è anche un insulto all’intelligenza. Se l’obiettivo è proteggere le donne, perché non andare a caccia dei veri sfruttatori, quelli che magari gestiscono reti di traffico o piattaforme opache? No, troppo complicato.

Meglio prendersela con Sven, 35 anni, impiegato di banca, che vuole spendere i suoi soldi per un brivido digitale. E il bello è che questa legge, che dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2026, non fermerà OnlyFans, che continuerà a prosperare su server lontani dai fiordi svedesi. L’unico risultato sarà una nuova ondata di moralismo, con la polizia di Stoccolma impegnata a controllare gli estratti conto dei cittadini per scovare abbonamenti sospetti. Benvenuti nel futuro, dove la libertà individuale è un optional e il fanatismo ha un accento scandinavo.


Ma per capire meglio il contesto, bisogna fare un passo indietro e tornare alla vicenda di Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks che, tra il 2012 e il 2019, ha passato sette anni rinchiuso nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra come un topo in trappola, inseguito dalla Svezia per accuse di stupro che, a dirla tutta, si sono rivelate più fragili di una promessa elettorale. E perché?

Per capire dove sta andando la Svezia: dritta verso un’ossessione per criminalizzare il piacere maschile.

Se è stato possibile trascinare Assange in quel circo giudiziario, è perché le leggi svedesi sullo stupro, riformate nel 2018 per enfatizzare il concetto di “consenso esplicito”, sono un campo minato progettato per punire il maschio, sempre e comunque. In Svezia, andare a letto con una donna che non sia una prostituta è un po’ come giocare alla roulette russa con cinque proiettili su cinque in canna.

La legge, sulla carta, sembra civile: richiede un consenso esplicito e, udite udite, continuo. Esplicito, va bene, chi non sogna un preliminare con un notaio che timbra un contratto di consenso? È il massimo del romanticismo svedese, no? Limonare col notaio per conquistar la pulzella, e' l'eterna lotta tra l'uomo e la natura, no?

Ma il problema è quel “continuo”. Perché, diciamocelo, nessuno si aspetta che una donna reciti “consento! consento!” come un mantra tantrico per tutta la durata dell’atto. Spero. E, sorpresa, la legge non specifica ogni quanto questo consenso debba essere rinnovato. Ogni cinque minuti? Ogni cambio di posizione? Nessuno lo sa. Va a discrezione del giudice, secondo quel buonsenso svedese per il quale un preservativo che si sfila accidentalmente e' la stessa cosa di uno stupro. Il risultato?

Un’ambiguità così ben congegnata che qualsiasi donna, in qualsiasi momento, può denunciarti per “stupro” – che tu abbia fatto qualcosa o no. È come se la Svezia avesse trasformato ogni camera da letto in un’aula di tribunale, con il maschio perennemente sul banco degli imputati.

E qui torna il caso Assange. Nel 2010, due donne accusano Julian di reati sessuali per incontri che, inizialmente, erano stati descritti come consensuali. Le accuse? Una ha detto che lui non aveva usato il preservativo – in realta' si era sfilato, l’altra che il consenso era stato “vago” in un momento successivo. Risultato: anni di persecuzione legale, con la Svezia che chiedeva l’estradizione fino al 2017, quando la procura ha mollato il colpo per mancanza di prove.

Ma il danno era fatto. Assange, intrappolato, è diventato il poster boy di un sistema che considera il maschio colpevole per default. E ora, con la legge su OnlyFans in arrivo nel 2026, la Svezia sembra pronta a estendere lo stesso principio:

il piacere maschile, che sia in camera da letto o davanti a uno schermo, è sospetto. Sempre. E va punito.

E sappiamo bene chi c'e' dietro questo modo di pensare.


Ovviamente, sappiamo tutti come finirà questo ennesimo tentativo svedese di vietare la sega digitale: con un’esplosione di abbonamenti a servizi VPN che farà sembrare Stoccolma il paradiso dei nerd informatici. Perché, diciamocelo, se non sei svedese, chissenefrega delle crociate moraliste di un governo che vuole controllare cosa fai con il tuo Wi-Fi. Basta un clic per mascherare il tuo IP, e via, sei libero di navigare su OnlyFans da un server alle Barbados mentre sorseggi un caffè a Gamla Stan.

Non ci vuole un genio per capire cosa sta per succedere: la legge, prevista per il 1° gennaio 2026, sarà aggirata più velocemente di un divieto di sosta a Stoccolma durante l’ora di punta. Già nel 2023, secondo un rapporto di NordVPN, la Svezia era tra i paesi con il più alto tasso di utilizzo di VPN in Europa, con un aumento del 30% rispetto al 2020. E indovinate un po’? Le restrizioni digitali, come quelle contro i siti pirata, hanno solo fatto salire la domanda. Preparate i popcorn, perché il 2026 sarà l’anno d’oro delle VPN.

Chi difende queste leggi, con la solita aria da salvatore del mondo, giura che servono a combattere lo “sfruttamento delle donne”. E, intendiamoci, l’idea di proteggere le donne potrebbe anche starci, se non fosse che l’intero castello di carte crolla sotto il peso della sua stessa assurdità. Colpire i clienti? Ahaha, ma sul serio? È come combattere il traffico di droga arrestando chi compra una canna. Che ne dite, per una volta, di provare qualcosa di nuovo, tipo – tenetevi forte – colpire lo sfruttamento delle donne, attraverso l'azione rivoluzionaria di... punire chi sfrutta le donne?

Che idea rivoluzionaria, vero? Immaginate: invece di inseguire Sven, 35 anni, colpevole di aver speso 7,50 dollari per un video, si potrebbe dare la caccia a chi gestisce reti di sfruttamento o piattaforme opache che trattengono percentuali da usura. Pazzesco, eh? Ma guarda che roba mi viene in mente! È quasi come se il buon senso fosse un’opzione, se solo la Svezia non fosse troppo occupata a lucidare la sua corona di paladina della morale.


Ma perché quest’ossessione per il piacere maschile, a parte il sadismo congenito delle Karen svedesi, sempre pronte a chiamare il manager della moralità pubblica con la stessa foga con cui ordinano un latte di avena a Södermalm? Non è solo una crociata femminista mascherata da virtù, ma un attacco mirato al desiderio maschile, come se fosse la radice di ogni male. Prima che vi precipitiate a denunciare il sottoscritto al tribunale del politicamente corretto, provate a dare un’occhiata a tre statistiche svedesi che parlano più chiaro di un editoriale del Dagens Nyheter:

Questi dati ci dicono una cosa sola, e non serve un dottorato in sociologia per capirla: se sei una donna in Svezia e sogni il tuo futuro, scordati il principe azzurro e inizia a cercare la foto di sette gatti su un divano IKEA. Quello, signore, è il vostro destino. I maschi svedesi, infatti, si avvicinano alle relazioni come un condannato a morte trascinato dal boia verso la ghigliottina: recalcitranti, per usare un eufemismo. Non è solo che non vogliono impegnarsi; è che sembrano considerare ogni appuntamento un’imboscata, ogni flirt un rischio calcolato, come se firmare per una cena a due fosse un contratto con clausole scritte in caratteri minuscoli.

E come biasimarli? Con un tasso di fertilità tra i nativi che è sceso a 1,45 nel 2023, un calo del 7% dal 2020, e matrimoni tra svedesi nativi che si aggirano sui 35.000-40.000 all’anno, in discesa del 10% nello stesso periodo, la Svezia sembra un paese dove l’amore romantico è stato sostituito da un’algida transazione burocratica. E poi c’è la Gen-Z maschile: il 42% dei ragazzi nativi tra i 18 e i 24 anni, secondo stime recenti, non ha avuto una relazione stabile entro i 20 anni, un aumento del 5% rispetto al 2019. Perché impegnarsi quando il sistema ti guarda come un potenziale criminale, pronto a essere denunciato per un consenso non abbastanza “continuo”? Meglio rifugiarsi in una VPN e in un abbonamento a OnlyFans, che almeno non ti chiede di firmare un modulo notarile prima di un bacio. La Svezia, con il suo zelo femminista, sta trasformando i maschi in monaci digitali, mentre le donne accumulano croccantini per gatti e si chiedono dove sia finito il vichingo dei loro sogni. Spoiler: è su un server offshore, a guardare video.


Ma qui stiamo solo sfiorando la superficie del problema, come se stessimo cercando di svuotare il Mar Baltico con un cucchiaino. Ricordiamoci di Julian Assange, accusato di “qualcosa” – un vago reato sessuale che, nel 2010, ha fatto scattare un mandato di arresto internazionale degno di un boss mafioso, senza uno straccio di prova, indizio o nemmeno una Polaroid sgranata a supporto. Zero, nada, niente. Eppure, la Svezia, con la sua solita grazia burocratica, ha deciso che un’accusa basta per trasformare un uomo in un paria globale. Un consiglio: se incontrate una svedese in spiaggia, tenetevi a distanza di sicurezza, a meno che non vogliate finire su un manifesto di “ricercato” per averle offerto un gelato.

Quando fai notare l’assurdità di tutto questo, ti rispondono con un sorrisetto: “Ma in fondo, le condanne sono poche!”. Ed è vero. La Svezia, dopotutto, si vanta di essere uno Stato di diritto, e a un certo punto deve almeno fingere di essere civile. Le condanne senza prove, senza indizi, senza un briciolo di razionalità ricordano un po’ troppo i processi farsa di Sacco e Vanzetti, e persino Stoccolma sa che non può spingersi così lontano senza sembrare una repubblica delle banane con l’accento nordico. Ma il punto non è la condanna.

Il punto è l’inchiesta. Nel caso Assange, l’indagine è iniziata nell’agosto 2010, con due donne che hanno accusato il fondatore di WikiLeaks di reati sessuali per incontri inizialmente descritti come consensuali. Nessuna prova solida, solo ambiguità su un preservativo non usato e un consenso “non abbastanza continuo”. Risultato? Un mandato di estradizione internazionale emesso a novembre 2010, prima ancora di un rinvio a giudizio. Le accuse sono state archiviate nel 2017, anche perché una delle denuncianti ha ritirato la denuncia – niente di sospetto, ovviamente, come un thriller di serie B dove il colpo di scena è che non c’è nessun crimine.

Il vero problema della Svezia, quindi, non è la condanna: è l’inchiesta che ti uccide. Pensateci: un’accusa di stupro, anche senza prove, ti spazza via amici, carriera, vita sociale, come un uragano su una baracca. Assange, agli occhi delle femministe globali, era già uno “stupratore” prima ancora di capire di cosa fosse accusato. E di cosa era accusato, esattamente? Di nulla, in pratica. Il reato di stupro in Svezia è diventato quantistico: se vi si sfila il profilattico, l'accusa non e', che so io, qualcosa con un nome decente. No, si chiama sempre “stupro”. In modo che non ci sia differenza tra aver riempito di botte una sconosciuta per violentarla, e aver avuto la sfiga di un preservativo che si sfila per un problema idraulico.

La legge svedese sul consenso, riformata nel 2018 per richiedere un consenso “esplicito e continuo”, è un’arma a doppio taglio: protegge, certo, ma trasforma ogni interazione in un campo minato dove il maschio è sempre un passo dal baratro.


Ma non vi preoccupate, perché se in Svezia l’impianto giuridico sullo “stupro” è un’aberrazione degna di un romanzo distopico, quello sulle “molestie” è un disastro di proporzioni tali che fareste meglio a non contraddire mai una donna, nemmeno sul gusto del caffè. Anzi, già che ci siete, evitate di trovarvi da soli con una collega in un ufficio, in un ascensore o anche solo in coda per un kanelbulle. Perché? Perché in Svezia, “molestia” è un termine così vago che potrebbe includere un complimento mal calibrato, un sorriso frainteso o un’occhiata durata mezzo secondo di troppo. E sì, in tribunale probabilmente verrete assolti per insufficienza di prove – dopotutto, la Svezia ama fingersi uno Stato di diritto – ma nel frattempo la vostra vita sarà ridotta in cenere. Amici, famiglia, carriera: tutto sparito, perché durante l’inchiesta, la parola della denunciante è vangelo, e il maschio è colpevole fino a prova contraria.

Le statistiche parlano chiaro. Secondo il Consiglio Nazionale Svedese per la Prevenzione del Crimine (Brå), nel 2023 sono state registrate circa 9.200 denunce per molestie sessuali, un aumento del 15% rispetto al 2020 (circa 8.000). Di queste, solo il 10-12% si traduce in condanne, perché, come nel caso dello stupro, le prove concrete sono spesso inesistenti.

Ma il numero di denunce è una valanga: nel 2022, un rapporto di Brå ha evidenziato che il 60% delle donne svedesi tra i 16 e i 24 anni ha dichiarato di aver subito qualche forma di “molestia” almeno una volta, un termine che può spaziare da un commento inappropriato a un contatto fisico non richiesto. E qui sta il trucco: la vaghezza della legge, combinata con una cultura che incoraggia le denunce senza filtri, trasforma ogni interazione in un potenziale campo minato.

Cioè, nel 2023, ben 9.200 Sven – sì, il nostro Sven, 35 anni, impiegato di banca con la sfortuna di aver detto “buongiorno” con troppo entusiasmo – sono stati trasformati in mostri da un’inchiesta per molestie sessuali, secondo i dati del Consiglio Nazionale Svedese per la Prevenzione del Crimine (Brå). Ufficialmente, le condanne sono state una frazione: il 10-12%, quindi tra i 920 e i 1.100 casi, una cifra che permette ai burocrati di Stoccolma di lavarsene le mani con la grazia di un cameriere che serve polpette al Nobel Banquet. “Poche condanne, siamo civili!”, dicono, mentre si asciugano il sudore con un fazzoletto di lino biologico. Ma dimenticano un dettaglio: la sola inchiesta ha effetti sociali che fanno sembrare una condanna penale una passeggiata nel parco di Djurgården.

E qui arriva il paradosso che farebbe ridere, se non fosse tragico: in Svezia, nelle carceri, hai più diritti al piacere sessuale di quanti ne abbia Sven fuori. Sì, perché il sistema penitenziario svedese, famoso per le sue celle che sembrano monolocali IKEA, garantisce ai detenuti accesso a materiale pornografico e persino a visite di partner sessuali, secondo le linee guida del Servizio Penitenziario Svedese (Kriminalvården) aggiornate al 2020.

Ma fuori, nella terra dei laghi e del moralismo, il nostro Sven deve guardarsi le spalle se osa abbonarsi a OnlyFans o sorridere a una collega. È come se la Svezia avesse deciso che il piacere maschile è un crimine, ma solo finché non sei dietro le sbarre. Fuori, un’accusa senza prove può trasformarti in un paria; dentro, invece, ti danno una rivista per adulti e una pacca sulla spalla. Kafka approverebbe, probabilmente con un ghigno.


Vorrei quindi chiarire le cose, perché qui si rischia di perdersi nei fiordi della retorica: l’intero “modello nordico”, introdotto in Svezia nel 1999 per combattere la prostituzione punendo i clienti, non è altro che un’aberrazione legale partorita dalle seguaci di un femminismo estremo, quello che si abbevera allo “SCUM Manifesto” di Valerie Solanas – un testo del 1967 che, con la grazia di un carrarmato, teorizza lo sterminio degli uomini come soluzione a tutti i mali. Non stiamo parlando di uguaglianza, ma di una crociata per criminalizzare il piacere sessuale maschile, come se fosse la radice di ogni peccato.

In Svezia, se qualcosa dà soddisfazione a un maschio, è automaticamente sospetta. Auto di grossa cilindrata? Probabilmente le vieteranno presto, con la scusa che il rombo del motore è “oppressivo”. Il fai-da-te? Sopravvive solo perché IKEA è intoccabile, un totem nazionale più sacro di un alce. E uscire con gli amici? Non illudetevi: un brindisi di troppo tra maschi potrebbe presto diventare “comportamento sessista” o, peggio, “concorso in molestia”.

D’altronde, se la Svezia considera un abbonamento a OnlyFans un crimine contro l’umanità, previsto per il bando nel 2026, perché non criminalizzare anche una birra con i compagni?

Che dire, quindi, se sognate una vacanza con un pizzico di flirt estivo? STATE ALLA LARGA DALLA SVEZIA. Non è solo una questione di buon senso; è una questione di sopravvivenza. E se pensate di essere al sicuro incontrando una svedese altrove, ripensateci.

Ricordate il mandato di cattura internazionale contro Julian Assange, emesso nel novembre 2010 per accuse di stupro che si sono sgonfiate nel 2017 senza prove concrete. La Svezia non scherza: un appuntamento finito male a Ibiza potrebbe trasformarsi in un avviso di ricerca globale, con il malcapitato che si ritrova braccato come un criminale di guerra per aver offerto un cocktail.

Cosa potete fare?

La tradizione rumena ci viene in aiuto.

No, non potete impalarla – la polizia, inspiegabilmente, ha qualche pregiudizio verso questo genere di cose.

Ma potete ricorrere all’aglio. Tanto, tantissimo aglio. Quando il vostro alito sarà in grado di far scappare un drago o un’intera convention di vampiri, sarete al sicuro.

La donna svedese, sentendo l’odore, fuggirà più veloce di un renna a Rovaniemi. Sempre che mangiare aglio non venga presto classificato come “stupro” o “molestia olfattiva” – perché, in Svezia, non si sa mai.

Con la legge sul consenso “esplicito e continuo” del 2018, persino masticare una ciabatta all’aglio potrebbe diventare un crimine contro la sensibilità femminile nordica.

vlad

Uriel Fanelli


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