Sulla sopravvalutazione dell'educazione.

Girando per la rete, e in particolare per certi forum, mi capita spesso di imbattermi in una curiosa fissazione: l’idea di istituire dei campi di rieducazione per i maschi, naturalmente in modo “gentile”, magari con tanto di macchinetta del caffè in corridoio, come se bastasse un espresso a rendere gradevole un regime di condizionamento sociale.
È un’idea che non sorprende affascini i comunisti di vecchio stampo e, ancor più, i comunisti cinesi contemporanei, notoriamente taccagni quando si tratta di distribuire macchinette del caffè.
Ora, a questa idea che definire balorda è già un complimento, ho soltanto due obiezioni, entrambe di ordine strettamente quantitativo.
Prendiamo ad esempio il sito Phiga.eu, che vantava — almeno stando alle loro dichiarazioni — circa seicentomila iscritti. Personalmente dubito della cifra, ma supponiamo per un istante che sia corretta. In tal caso stiamo parlando, più o meno, del 2% della popolazione maschile italiana.
Perché un sistema educativo possa dirsi efficace, deve infatti produrre risultati su scala ampia e non limitarsi a un pugno di casi. In questo scenario, significherebbe che il fantomatico programma di “rieducazione” dovrebbe raggiungere un tasso di successo superiore al 98%. Una percentuale semplicemente irrealistica: non c’è mai stato al mondo un sistema educativo in grado di sfiorare simili vette. Persino la rinomata scuola finlandese, celebrata a ogni occasione, oppure i modelli sudcoreano e singaporiano, che vivono di statistiche da Olimpiadi didattiche, riescono sì a portare tra il 70 e il 90% degli studenti agli standard minimi, ma solo una minoranza raggiunge l’eccellenza. Al 98% non ci è arrivato, e non ci arriverà, nessuno.
Conclusione: no, l’educazione forzata, fosse anche servita su un vassoio con il caffè offerto, non potrà mai risolvere la questione. Semplicemente perche' nessuno al mondo sa di preciso come costruire un simile sistema educativo.
La seconda obiezione, sempre di ordine quantitativo, riguarda il tempo. Se davvero si volesse intercettare quel 2%, bisognerebbe sottoporre al programma tutti i maschi italiani. Poniamo di iscriverne l’1% all’anno, cioè circa 295.000 individui: servirebbero così cento anni per ‘ripulire’ l’intero campione. Un secolo intero speso a raddrizzare uomini come se fossero chiodi storti: un piano più da romanzo distopico che da società reale.
Per ridurre i tempi a una scala ‘umana’, bisognerebbe allora rieducare cinque o sei milioni di uomini ogni anno. Una cifra mostruosa, che pone un problema immediato: chi lavora, nel frattempo? Perché sottrarre milioni di individui dal mercato del lavoro significherebbe dare una mazzata colossale al PIL, con buona pace dei sostenitori della crescita economica e del benessere sociale.
Possiamo dunque considerare scontata l’infattibilità di questa proposta, almeno se ragioniamo in termini concreti. L’unica misura sensata resta, semmai, l’educazione sessuale come viene praticata in alcuni paesi più lungimiranti, ben sapendo che gli effetti di simili politiche richiedono decenni per manifestarsi. Ci vorranno almeno ottant’anni prima che la società assimili davvero certi cambiamenti.
E non finisce qui: le prime a opporsi, paradossalmente, sarebbero proprio molte donne. Perché i corsi di educazione affettiva e sessuale non riguardano solo i maschi: coinvolgono anche le ragazze, che hanno a loro volta molto da imparare. Una notizia che non farebbe certo piacere a certe femministe, convinte che il problema stia unicamente da una parte della barricata, quella maschile. Le ragazze sanno tutto, secondo loro, dalla nascita. La realtà è più complessa, e le scorciatoie ideologiche non hanno mai risolto nulla.
A questo punto mi sorge una domanda, tanto semplice quanto devastante: da quando in qua il volante della cultura popolare è saldamente stretto tra le mani della scuola?
Davvero crediamo che l’uomo medio sia il prodotto di ciò che la scuola ha voluto insegnargli? Che la cultura italiana di massa sia plasmata da insegnanti e programmi ministeriali?
La verità, se solo si ha l’onestà di guardarla in faccia, è che la scuola non governa un bel niente. Il volante della cultura popolare non è nel suo cruscotto arrugginito: a guidare sono altri. Un blocco compatto, fatto di mass media in senso lato — dalla televisione ai giornali, dai social network al cinema, fino agli intellettuali da salotto e agli influencer di professione. Sono loro a decidere la direzione del traffico culturale, non certo l’istituto tecnico sotto casa.
E qui viene il punto interessante: le persone che più spesso finiscono nel mirino di siti come Phiga.net non sono il fruttivendolo o l’operaio di turno. No, la lista è un’altra:
— donne in politica
— donne nel giornalismo
— donne nello spettacolo
— donne scrittrici
— donne intellettuali
— donne attrici
— donne influencer
Insomma, proprio quelle figure che hanno realmente in mano il volante della cultura popolare. Quelle che, con una frase detta in TV o un post virale, possono orientare gusti, linguaggi e sensibilità collettive molto più di quanto non possa fare un’intera riforma scolastica. A differenza della scuola, che da decenni arranca, loro hanno un potere immediato e quotidiano. Eppure, sono proprio queste figure ad apparire tra le più esposte agli attacchi e alle aggressioni online.
E sono loro a gridare ai campi di rieducazione.
E allora forse, prima di invocare campi di rieducazione, servirebbe un piccolo esame di coscienza.
Leggo, per esempio, la Parietti che rilascia dichiarazioni indignate. (non so dove, me lo hanno detto ad essere onesto) .La Parietti? Proprio lei? Questa qui?

Il problema, in realtà, non è come sia vestita (o meno), né la scenografia di un programma o la disposizione dei divanetti. Il problema è il perché. E quel perché lo conosciamo benissimo: fare audience, spremere share sfruttando il medesimo voyeurismo che poi, inevitabilmente, ristagna e ribolle in forme come Phiga.eu.
Quando si organizza un festival del cinema “intellettuale” e, puntualmente, ogni quotidiano dedica intere pagine alle giornalistE che si divertono a dare i voti agli abiti delle VIP, la domanda sorge spontanea. E bisognerebbe rivolgerla proprio a quelle madrine, a quelle giornaliste, a quelle commentatrici: siete sicure di aver portato la società nella direzione “giusta”?
Perché il volante della cultura popolare era ed è nelle vostre mani, non in quelle della scuola. E allora la domanda è inevitabile: come avete guidato, signore, questa società? E soprattutto: dove l’avete condotta?
Ora che vi scoprite bersaglio di Phiga.eu, vi rendete conto che quel sito aveva, in fondo, lo stesso identico revenue model della trasmissione televisiva di cui eravate protagoniste? L’unica differenza è che uno lo chiamavate “intrattenimento”, l’altro “misoginia”. Ma entrambi campavano sul medesimo carburante: voyeurismo.
lo stesso voyeurismo che portava e porta share a certe trasmissioni TV, a seconda di come siete vestite. Lo stesso che porta letture sui giornali dove scrivete, perche' mentre date il voto alle attrici seminude, ovviamente ci mettete una fotografia.
Ma quando porta soldi a voi va bene, giusto?
Adesso, naturalmente, qualcuno mi darà del bigotto. Ma guardate bene la fotografia che ho usato come incipit di questo testo: accettereste che le lezioni di “rispetto” o di “educazione affettiva” destinate agli uomini fossero tenute da una professoressa presentata in quel modo?
E se la risposta è “no, quel dress code non spingerebbe la mentalità nella direzione giusta”, allora chiediamoci: accettereste che nelle scuole, quelle di vostro figlio(a) , a fare "educazione affettiva", le insegnanti si sedessero su uno sgabello come quello della Parietti, con lo stesso look, la stessa regia, la stessa scenografia?
Domanda interessante, vero? Eppure, in quella trasmissione cui sopra, Alba Parietti era piu' potente, nel formare la cultura popolare, di qualsiasi maestra di scuola. Si rendeva conto di avere QUEL potere?
La cosa paradossale e' che tra le vittime di Phiga.eu ricorrono soprattutto queste categorie:
— donne in politica
— donne nel giornalismo
— donne nello spettacolo
— donne scrittrici
— donne intellettuali
— donne attrici
— donne influencer
e persino donne che semplicemente “si trovavano in un luogo pubblico” vestite in un certo modo.
E allora la domanda si fa inevitabile: care signore, accettereste davvero che a tenere i corsi di educazione affettiva fossero donne vestite come spesso siete vestite voi, nelle passerelle, nei programmi, nei servizi fotografici, nei talk show?
Non si tratta di un giudizio puritano sull’abbigliamento — non è questo il punto. Il punto è che il meccanismo che porta traffico a Phiga.eu è lo stesso che porta audience alle trasmissioni televisive, visibilità a certi articoli di giornale, vendite a certi libri, incassi a certi spettacoli, voti a certa politica e follower a certe influencer che sembrano incapaci di presentarsi vestite.
È voyeurismo. Né più né meno.
E allora la provocazione è semplice: vi andrebbe bene se la professoressa di “educazione affettiva” entrasse in classe con lo stesso nude look che voi applaudite con un “8” alla passerella di Cannes o di Venezia? O con lo stesso outfit che celebrate in televisione come “audace” e “di tendenza”? Se queste sotto fossero le maestre dei vostri figli , mentre fanno lezione, lo accettereste? No.
Eppure, queste donne sono MOLTO piu' potenti, nel condizionare la cultura popolare, di altrettante normali maestre. OPS.



Sapete benissimo perché sono vestite così, e non c’entra il clima: serve a fare audience.
Perché? Perché funziona sempre la stessa leva: il voyeurismo.
Ed è lo stesso meccanismo che spinge siti come Phiga.eu. Avete alimentato lo stesso identico voyeurismo che oggi vi ruba queste stesse foto. Solo che, quando il voyeurismo vi porta denaro, va tutto bene; quando invece vi sfugge di mano... allora diventa “violenza”.
Basta porsi questa domanda e la facciata crolla: la vostra coerenza evapora, la vostra credibilità si scioglie come neve al sole. Il voyeurismo va bene solo se il cliente paga.
Eppure, le categorie più colpite sono proprio quelle donne che, per la loro posizione privilegiata nei media, hanno in mano il volante della cultura popolare. Non è un dettaglio, è il nodo centrale della questione.
L’abbigliamento — o, se preferite, il fashion — non è mai stato soltanto un fatto estetico. È uno strumento di comunicazione tra i più potenti che esistano. Le divise militari, per esempio, non servono solo a distinguere un corpo dall’altro, ma a trasmettere autorità, disciplina, appartenenza. Lo stesso vale per la toga di un giudice, la veste di un avvocato, il camice bianco di un medico o di un’infermiera: non sono meri indumenti, sono simboli codificati che parlano prima ancora che la persona apra bocca.
La sociologia e l’antropologia culturale ci ricordano che ogni società, dall’antica Roma alle metropoli contemporanee, ha usato l’abbigliamento come linguaggio: segnali di status, di ruolo, di identità. Roland Barthes, non a caso, definiva la moda un “sistema semiotico”, un codice che comunica senso. E Pierre Bourdieu ci spiegava come i segni esteriori — tra cui i vestiti — siano strumenti di distinzione sociale, marcatori che collocano un individuo in un campo simbolico ben preciso.
Questo significa che un abito non è mai neutro. Ogni scelta di abbigliamento porta con sé un messaggio: di potere, di seduzione, di ribellione, di appartenenza a un gruppo. Una divisa scolastica, un tailleur politico, una toga accademica, un vestito da sera — tutto comunica, tutto plasma l’immaginario collettivo.
E allora diventa legittimo chiedersi: quando figure pubbliche che guidano la cultura di massa scelgono consapevolmente look provocatori, audaci o studiati per il voyeurismo, quale messaggio stanno lanciando? Quale direzione stanno indicando al volante che tengono in mano?
La mia impressione, ogni volta che sento parlare di “rieducazione”, è che a invocarla siano quasi sempre quelle stesse élite che, molto più della scuola, hanno tenuto saldamente il volante della cultura popolare. Eppure, queste stesse élite sembrano rifiutare qualunque responsabilità per la direzione in cui la società è stata condotta finora — direzione, va detto, presa insieme ai colleghi maschi.
— Donne in politica: siete sicure, sicurissime, di non aver mai lanciato messaggi sbagliati? È davvero indispensabile mostrare il seno per veicolare un messaggio politico?
— Donne nel giornalismo: siete certe di aver sempre scelto le battaglie giuste? È proprio necessario pubblicare rubriche sul “voto ai vestiti delle attrici”, o peggio ancora celebrare il “primo topless dell’anno”?
— Donne nello spettacolo: davvero potete dire che trasmissioni come quella immortalata nella foto della Parietti, o come Non è la Rai, non abbiano contribuito a spingere la società in una certa direzione?
— Donne scrittrici: era davvero inevitabile inserire quella scena di sesso gratuita per far contento l’editore o il produttore?
— Donne intellettuali: siete assolutamente convinte che certe provocazioni fossero indispensabili, e soprattutto che abbiano portato la società verso la strada giusta?
— Donne attrici: siamo proprio sicuri che la misura del reggiseno sia un criterio artistico accettabile per interpretare una carabiniera o un magistrato sullo schermo?
— Donne influencer: devo davvero spiegarlo?
Ecco perché prima di affidare alla scuola un ruolo educativo che non le compete — e nella quale, con simili precedenti, molte di voi sarebbero inadatte perfino a salire in cattedra — sarebbe forse il caso di fare un onesto esame di coscienza.
Vi rendete conto che quasi tutte voi, per come usate il corpo (o per come lo avete usato nel vostro lavoro) , sareste INADATTE ad essere insegnanti nelle scuole "rieducative" che proponete? E che voi stesse, se le maestre dei vostri figli si vestissero come fate talvolta voi, andreste dalla preside a protestare?
Perché se l’Italia si trova oggi in questa situazione, non è certo per colpa della scuola. Il volante ce lo avevate (anche) voi, e lo tenevate ben stretto. Anzi, siete state infinitamente più potenti della scuola nell’indirizzare i codici, i modelli e i linguaggi della cultura popolare.
E allora la domanda rimane: se oggi la cultura popolare si traduce in Phiga.eu, siete davvero sicure di avere la coscienza a posto?
Se quello che cercate e' un colpevole, non avete che fa guardarvi allo specchio.(cit.)