Sui fighettismi, ovvero le finte competenze.

Sui fighettismi, ovvero le finte competenze.
Photo by Artem R. / Unsplash

Lo dico da cliente. Il mondo del commercio oggi e' rovinato dai fighettismi, cioe' da quelle finte competenze che il cliente deve mostrare quando e' in negozio, o in un ristorante, al fine di soddisfare le altrettanto finte competenze del venditore. E quando dico "finte" intendo dire "finte".

Succede ovunque, per cui posso fare gli esempi piu' comuni. Tempo fa volevo comprare una bicicletta. Entrato in un negozio, mi sono trovato di fronte il fighettismo delle biciclette "profi", che in tedesco e' un'abbreviazione che significa "professionale", ma anche un diminuitivo, cioe' professionale, ma non davvero professionale, ma professionale.

Il dialogo e' stato cosi'.

  • Che bicicletta?
  • Una coi pedali e le ruote.
  • Per farci cosa?
  • Per andarci in giro.
  • Di che lega la vuole?
  • Preferibilmente metallica, e allo stato solido, secondo me le biciclette liquide non vanno bene.
  • Che tipo di cambio?
  • Il tipo affascinante, misterioso ma romantico.

Ora, voi direte che io stavo deliberatamente mettendo in difficolta' il commesso, ma la cosa e' esattamente opposta. Per quale motivo mai io avrei dovuto sapere tutte quelle cose PRIMA di entrare in un negozio? Ma specialmente, il commesso SAPEVA davvero cosa fare di quelle informazioni?

Supponete che alla prima domanda io avessi risposto, che so io,

Sto cercando una cargo bike long-tail con trasmissione a cinghia Gates, mozzo a variazione continua Enviolo Cargo, doppi cavalletti industriali e freni idraulici Magura MT5, però con la piattaforma modulare posteriore predisposta per cassoni gastronorm 1/1 perché devo trasportare materiale sensibile alla temperatura. Idealmente il telaio dovrebbe essere omologato EN 15194 classe S-Pedelec 45 km/h, ma senza batteria integrata nel tubo obliquo (preferisco le dual battery esterne con BMS indipendente, come fanno quelli di via Ravennate a Cesena — sì, proprio loro).
Se possibile, vorrei anche l’adattatore per traino del carrellino a standard Weber E, perché non tutti rispettano la compatibilità ISO, e il manubrio touring Joseph Kuosac 460 mm, quello asimmetrico con flare da cicloturismo urbano, non quella roba mainstream che vendono nei negozi per ciclisti della domenica.

Secondo voi, quali erano le probabilita' che il commesso sapesse di cosa stavo parlando, e ce l'aveva in negozio?


Non è una domanda capziosa. Tempo fa mi serviva uno switch da homelabber e, invece di ordinarlo su Amazon, ho pensato di fare prima andando in un negozio di PC e assemblati che ho vicino a casa. Mi serviva una cosa semplice: porte fibra e una ventiquattrina di porte rame. Sono un homelabber, non mi serve granche', ma con gli anni ho imparato che spendere bene significa spesso spendere di più.

Fin qui tutto ok.

Il tipo arriva, con quell’aria da “professionista del settore”, e mi chiede DI PRECISO cosa voglio dal mio switch. Gli è esploso il cervello — 32GB di core dump insanguinati sul pavimento — quando ho iniziato a parlare di control plane e crossbar.

Perché?


Perché il suo tecno-fighettismo era, come tutti i fighettismi, finta competenza. Voleva farmi capire che lui “ne sa di switch”, ma dal mio punto di vista non ci capiva un cazzo.

E allora perché mi fai domande da “pro” e poi mi proponi uno switch che definisci semiprofessionale, quando non sai nemmeno la differenza tra uno switch da spine e uno da service edge?

La risposta facile è: “sì, ma tu sei il pro degli switch, lui è solo un commesso”.


Ok, ma c’è un punto più interessante: una vendita è una situazione in cui domanda e offerta coincidono a un certo prezzo. È un gioco di Nash, complessità PPAD. Più riempi il problema di parametri, più diventa difficile il match — a meno che io non chiami un vero venditore di switch professionali e gli dica: “mi serve un Juniper, o un Cisco, o quello che vuoi, che faccia questo e quello”. E al primo mezzo accenno lui ha già capito cosa cerco.

La vendita NON è una situazione in cui il venditore è più competente, e nemmeno una situazione in cui lo è il cliente. Una vendita funziona solo quando entrambi stanno sullo stesso livello di competenza, almeno per l’ambito della conversazione. Se uno dei due prova a mettersi in cattedra, il processo si inceppa.

Si chiama — per usare il termine tecnico — level playing field. È la situazione in cui si gioca su un terreno equo sia nelle regole sia nelle informazioni. Se manca l’equità, il gioco si rompe: o il venditore non vuole prendersi il rischio di rifilare una sola, oppure il cliente decide che non ne capisce abbastanza per mettere soldi sul tavolo. In entrambi i casi, la vendita muore prima ancora di iniziare.


Ed è quello che vedevo nei negozi di biciclette. Nei più rinomati, con gli spazi enormi e le bici da 15.000 euro, la scena era sempre la stessa: gente che entra, guarda, e se ne va. Nessun acquisto, zero match tra domanda e offerta.

Poi sono entrato in un piccolo negozio a Hochdahl. Lì vedevi tutt’altro: persone che arrivavano in coppia, compravano tutto quello che serviva — bici, casco, lucchetti — e poi si mettevano in fila davanti all’officina. Un addetto regolava la bici sul momento, con tutta la sequenza di brugole e bussole, e alla fine uno dei due tornava a casa in bici e l’altro in auto. Tutto naturale, tutto fluido.

E ho capito perché.


Nel negozio dominato dal bicifighettismo "profi" era impossibile trovare un level playing field con i commessi. Lì ero io a non sapere esattamente quale stato peritettico volessi per la lega del telaio.
Nel caso degli switch, invece, era il commesso a non sapere cosa fosse un VRF su VXLAN. Risultato identico: si rinuncia. Oppure, chi ha più competenza si accorge di star tirando troppo e cerca un terreno comune.

Io lo faccio spesso: so che do per scontate cose che non lo sono, quindi parto con un semplice «mi fa vedere che switch ha?» — ed è incredibile quanto questa frase faciliti l’incrocio tra domanda e offerta. Niente gare di ego, solo comunicazione efficace.


Un altro esempio è il gastrofighettismo, che sta raggiungendo livelli parossistici, soprattutto quando ci si aggiunge la variante romagnafighettismo o emiliafighettismo. Lo noto pesantemente ogni volta che torno a trovare i miei.
Sono cresciuto nella bassa ferrarese. Ho geni emiliano-romagnoli fino all’ultimo nucleotide. Mia nonna in cucina era una specie di Shaolin dell’Emilia-Romagna: quelle che fanno gnocchi e ragù come se fosse respirare. E sono cresciuto in campagna, tra orti, uova vere e piadine che sapevano di farina, non di marketing.

Quando tornavo tardi dal liceo e mia madre era già uscita per lavoro, arrivavo a casa e mi facevo la pasta più semplice del mondo. Semplice e banale. Una carbonara.
Padella, pancetta a fette, uova, parmigiano, pepe. Dieci minuti, fine.
E veniva fuori una carbonara più che buona.

Il guanciale va prima sulle mie palle pelose. Potete usare tranquillamente della pancetta arrotolata.

E c’è una cosa dell’Emilia che non capite.


Molte famiglie, in campagna, avevano il maiale. Quando si scolava la pasta, l’acqua bollente non finiva nel lavandino: si dava al maiale. Il pastone nel truogolo, soprattutto d’inverno, era freddo. L’acqua della pasta serviva a scaldarlo, renderlo più digeribile e suino-commestibile, e aggiungere amidi. O meglio: non sprecare amidi.

Ora immaginate la scena: se, con mia nonna presente, non scolavi bene la pasta e ti finiva acqua di scolatura nel piatto, lei ti fulminava e diceva:

Quella roba la dai al maiale. La pasta si scola, busgat.

Perché l’acqua della pasta non si mangia.
Si dà al maiale. Punto.
Non frega un cazzo se la chiamate “mantecatura”. Qui siamo in Emilia-Romagna: l’acqua della scolatura va al maiale, non nel piatto del cristiano. È un dogma. Non si discute. Non e' roba "da stian".

Quindi, davvero, prendete il vostro cazzo di accento pugliese e smettete di recitare la vostra Emilia-Romagna immaginaria con aria saputa. Il meglio che mangiate, io lo davo al maiale. Neanche - notate bene - al cane.

Oggi, se entro in un ristorante gastrofighetto in emilia e ordino una carbonara — cosa che non farò mai, è come pagare uno chef stellato per farti un toast con le sottilette; la carbonara non è cucina,non è manicaretto prelibato, è sopravvivenza quotidiana, NESSVN GVERRIERO SE NE NVTRE, per citare Evola — me la servono “mantecata”. Traduzione: la assaggio e sa di amido della scolatura.

E no, non è “cremosità”: è acqua di pasta. È roba da maiali.

Se avete fatto la "mantecatura" usando l'acqua di bollitura della pasta, il vostro piatto LO DATE AL PORCO. Puo' darsi che nel villaggio del merdistan da dove venite, sia uso mangiare il pastone del porco al ristorante. "Da noialtri", no.

O meglio: puoi anche mangiarla… dopo aver nutrito il maiale con quella roba, averlo ammazzato, macellato e trasformato in salame.

Non me ne frega un cazzo della vostra Emilia-Romagna immaginaria: io sono cresciuto in quella vera.
In quella dove l’acqua della pasta si dà AL PORCO.
La mia famiglia, all’inizio, non era certo benestante. Due amidi in più potevano fare la differenza. Ma la regola era scolpita nella pietra:

acqua di bollitura → PORCO.

Oppure, se volete essere tecnici: al verr.
Fine.

E a proposito di “verro”: una lontana parente siciliana che si chiamava Vera dovette smettere di farsi chiamare così. In Romagna, “Vera” non è un nome: è il maschio del maiale. Passò a “Venera”. E da noi nessuno si meraviglia per "Venera", abbiamo nomi anche peggiori : è normale. Ma non chiamate “Vera” una donna. Mai. Quello diventa un problema.

Quando la cugina si presento' a mia nonna, ricordo il suo sguardo perplesso verso mio padre. Bastarono dieci minuti di spiegazione, e optammo per Venera. Per mia nonna, fu sempre "Venera".

Ah, giusto, se mescolate gli ingredienti in ordine, la cremina vi viene comunque, anche senza acqua del porco. Pasta fumante, uovo, mescolare finche' non fa la crema, pancetta, formaggio, pepe. Mescolare dopo ogni ingrediente. Se volete sapere perche' funziona, chiedete a Bressanini.


Ma dicevo, questo *-fighettismo si sta diffondendo ormai ovunque, in una maniera che giudico insopportabile, e che onestamente mi impedisce di comprare cose.

Il fighettismo, infatti, fa due cose:

  • ti convince di essere incompetente
  • ti propone di scegliere al buio, sulla base di parametri che non capisci.
  • hai comunque la sensazione che i parametri siano usati un tanto al chilo.

Stavo chiedendo - ad esiti alterni - un consiglio per comprare una moto. Avendo avuto solo un Moto Morini Excalibur 350 - moto con cui mi sono divertito e che NON ha MAI avuto UN problema che uno al motore , ma sembra essere un insulto al motociclismo motofighetto - allora volevo sapere cosa se ne pensasse di una certa moto attuale.

La risposta che mi aspettavo poteva essere di due tipi":

  • lascia perdere, la gente ci muore ogni giorno, esplodono senza ragione, si spaccano subito, diventi rovigotto dopo 300 Km di utilizzo, la qualita' fa cosi' schifo che l'asfalto si riempie di lacrime e risate, e' una fregatura, non te la consiglio.
  • non ci sono problemoni noti, vai a provarla e vedi se ti piace.

La discussione che ne e' uscita, invece, mi ha convinto di tre cose

  • che non ne so abbastanza di motociclette - verissimo.
  • che e' rischiosissimo spenderci soldi perche' la fregatura e' dietro l'angolo. - a quanto pare, vero.
  • che tutto sta in alcuni dettagli di cui non so abbastanza . Ma nemmeno , in fondo, il mio interlocutore.

Non ho visto nessun tentativo, nemmeno di striscio, di cercare un level playing field.

La discussione e' finita a discutere di frenata. E li' ho cominciato ad avere dei dubbi.

Cos'e' , alla fine , una frenata?

E' un moto di Poinsot. Questo.

Voi direte che tutto questo è “un po’ troppo”. Ma una moto non è nemmeno un corpo rigido: sterza, flette, trasferisce carico. Per essere davvero precisi, ci sarebbe da aggiungere ancora più matematica.

Ma allora: chi decide qual è il level playing field?


Chi ha stabilito che “sapere cos’è una frenata” significhi due nozioni vaghe sull’attrito e zero idea della cinematica di un corpo che frena? Chi ha tracciato quella linea?

Siamo di nuovo nel fighettismo: qualcuno parla come se fosse un esperto, ma se lo metti davanti a una simulazione al computer, non è in grado di calcolare la frenata della sua moto. Zero. Fuffa.

Quindi qual è il vero level playing field?

Quando entro in un negozio a comprare uno switch — e non è un fornitore da 20.000 euro a pezzo — mi limito a dire:

Mi fa vedere che switch ha?

Lo faccio per evitare di essere io quello che alza troppo l’asticella e mette l’altro fuori gioco. Perché la competenza non si dimostra minimizzando l’interlocutore: si dimostra sapendo scegliere il terreno comune. Oppure nel fare da soli.


C’è però un pattern che noto ovunque.
Le motociclette nascono in un contesto agonistico, e quindi domina la mentalità da gara: superare gli altri, arrivare primi, essere l’alfa della situazione.

Lo stesso sta succedendo con la bicicletta.
In Emilia — almeno in pianura — è un mezzo di trasporto quotidiano. Si usa per andare da A a B. Punto. Altrove, invece, è diventata un’arena competitiva: devi avere la bici “giusta”, l’outfit “giusto”, e ovviamente un’opinione definitiva su tutto.

Poi la TV ha fatto il resto: Masterchef, format a eliminazione, trofei, giudici, lacrime. Risultato: anche cucinare è diventato un campionato mondiale. Gente che vuole sentirsi elemento alfa… della carbonara.

A questo punto il collegamento è chiaro:


il “profi” e il fighettismo non nascono dalla competenza, ma dalla mentalità della competizione. Sono figli di ambienti dove l’obiettivo non è capire, ma vincere.

Se invece vai in bici per spostarti, usi la moto per viaggiare, o cucini per mangiare — il fighettismo ti appare per quello che è:

ridicolo.

E pure antipatico.

E ho deciso di comprare uno scooter. Senza marce. Per la stessa ragione per cui non entro nei ristoranti stellati in Emilia, e per lo stesso motivo per cui ho una bicicletta olandese da passeggio.

Perche' non e' tutto, sempre, una gara ad essere l'elemento alfa di qualcosa.