Rivogliamo il pompino.
Ogni estate, la stampa italiana si trasforma in un gigantesco giornale di gossip. La scusa è sempre la stessa: “la gente vuole leggerezza sotto l’ombrellone”. Ma, sinceramente, non mi è chiaro il nesso. L’ombrellone rende stupidi i lettori, o sono già stupidi quelli che lo scelgono? Ad ogni modo, ho deciso di adeguarmi anch’io. Oggi parlerò di un tema frivolo: la scomparsa del pompino nel porno.
Chiunque segua, anche solo per studio sociologico — perché qui ci si finge tutti intellettuali — il meraviglioso circo del porno, avrà notato una mutazione non proprio irrilevante.
Il caro, vecchio pompino, pratica millenaria e, diciamolo, patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna (e io su queste cose ho un senso di appartenenza quasi folkloristico), è stato sostituito da un nuovo rituale. Una cosa che, con un certo aplomb clinico, mi sento di definire “intubazione”.
Sì, esatto: proprio come in terapia intensiva. Quando il paziente ha difficoltà respiratorie, si infila un bel tubo in gola fino alla trachea, precisamente all’altezza della glottide, per facilitare la respirazione e, teoricamente, salvargli la vita.
Nel porno contemporaneo, però, di salvare qualcuno non sembra fregare niente a nessuno.
È ovvio, il mio interesse per l’argomento è palese. Del resto, poiché NESSUNO — tranne il sottoscritto, naturalmente — ammette di guardare porno, è evidente che sono io l’unico a farlo.
Ne consegue, con impeccabile logica aristotelica, che io non sono semplicemente uno che guarda porno: sono quello che guarda TUTTO il porno del mondo. Da solo. In silenzio. Con spirito di sacrificio e un bloc-notes per le statistiche.
D’altronde, la mia è una vera missione d'osservazione antropologica.
Non come voi, che fate finta di scandalizzarvi e poi, con fare casto e vagamente bavoso, vi eccitate guardando repliche sgranate dell'ispettore Derrick, fingendo di apprezzarne la trama.
Ma torniamo a bomba. Anzi, a pompa. Il pompino, un tempo, era un’arte raffinata, un vero e proprio balletto orale che coinvolgeva ogni angolo della bocca. Non parliamo solo di suggerla meccanica, ma di una sinfonia di movimenti: labbra morbide e lingua agile, che danzavano in un’intimità calibrata. Certo, l’atto di suggere c’era, ma non era tutto. Anzi, non era nemmeno la parte più importante.
Oggi, invece, il porno contemporaneo ha deciso di trasformare tutto questo in un’operazione chirurgica degna di un reparto di terapia intensiva. L’obiettivo? La trivellazione della gola dell’attrice, un gesto che, osservato dall’esterno, ha lo stesso fascino estetico e delicato di un’intubazione su un malato terminale.
In sostanza, il pompino come lo conoscevamo è scomparso: rimpiazzato da una stravagante pratica pseudo-clinica, che non ha più nulla di erotico ma pare più una dimostrazione tecnica di resistenza faringea.
Le cause di questa trasformazione sono soprattutto storiche e culturali. Il pompino come arte si lega a due elementi fondamentali: l’igiene personale e la fantasia, entrambi strettamente connessi all’uso del bidet. Nei paesi dove l’igiene intima scarseggia, la fantasia latita e il bidet viene considerato poco più di un ornamento da bagno, la pratica era quasi sconosciuta nel mondo anglosassone fino agli anni ’60.
Non a caso, il termine “blowjob” significa letteralmente “soffiata” sul membro maschile. Se capite che l’americano medio dell’epoca, privo del bidet, ospitasse in realtà una coltivazione spontanea di funghi — è il caso di dirlo — capirete perché “soffiarci sopra” fosse la soluzione preferita dalle prostitute: non amavano i funghi, giustamente.
A complicare ulteriormente la situazione, c’era anche il quadro giuridico repressivo. Negli Stati Uniti, fino alla svolta degli ultimi decenni, molte leggi statali classificavano come “sodomia” qualsiasi rapporto sessuale non finalizzato alla riproduzione, inclusi il sesso orale e quello anale. Questo derivava da codici penali risalenti all’era vittoriana, come il “Buggery Act” inglese del 1533, da cui gli Stati Uniti avevano ereditato le leggi.
Per esempio, il Texas — che solo nel 2003 con la sentenza Lawrence v. Texas della Corte Suprema USA ha definitivamente abolito le leggi anti-sodomia — fino a quel momento considerava il sesso orale un crimine punibile. La stessa sorte toccava ad altri stati come Alabama e Florida, dove tali leggi sono state dichiarate incostituzionali solo con quella storica sentenza.
La Lawrence v. Texas è stata infatti un punto di svolta: la Corte Suprema ha sancito che le leggi anti-sodomia violavano il diritto alla privacy e alla libertà personale, invalidando così norme obsolete e moralistiche che ancora criminalizzavano comportamenti privati consensuali.
Su tutto questo si è abbattuto un evento catastrofico, degno di un film apocalittico, che molti hanno osannato come una “svolta culturale”, ma che in realtà si è rivelata la Chernobyl dell’educazione sessuale americana.
Sto parlando di Gola Profonda (Deep Throat), il celebre film porno del 1972, interpretato da Linda Lovelace e John Holmes, che ha fatto epoca — per motivi che vanno ben oltre il semplice intrattenimento. In questo capolavoro, qualcuno evidentemente digiuno di anatomia femminile ha immaginato che il famigerato punto G non si trovasse nel clitoride — come sarebbe almeno ragionevole, sebbene non del tutto esatto — bensì nell’ugola, quella piccola protuberanza che pende alla base della gola.
Di conseguenza, per raggiungere il piacere, l’attrice deve ingoiare tubi lunghi e rigidi fino a strofinare proprio lì, in fondo alla gola, come se fosse la zona erogena per eccellenza. Una rappresentazione che ha mandato in fumo qualsiasi idea di realtà anatomica, trasformando un atto intimo in una specie di esercizio da anestesista.
Critici e medici hanno ampiamente deriso questa visione distorta: la sessuologa estrosa e provocatoria Dr. Ruth Westheimer l’ha definita “una caricatura grottesca che confonde le giovani generazioni più di quanto le istruisca”, mentre il professor Vincenzo Puppo, urologo e sessuologo italiano, ha sottolineato piu' volte come il punto G non abbia nulla a che fare con la gola, che anzi è una zona altamente sensibile ma del tutto estranea al piacere sessuale diretto.
In poche parole, Gola Profonda non ha insegnato nulla, ma ha costruito un mito falso e duraturo, contribuendo a quella “educazione sessuale” da fumetto che ancora oggi, purtroppo, continua a circolare.
Ah, il famigerato gag reflex, quel meccanismo naturale che dovrebbe impedirci di soffocare, è diventato invece la nuova frontiera per gli specialisti del porno moderno — o meglio, per chi vuole sfoggiare la propria “madame le bitch” attitude con effetti speciali liquidi.
Negli ultimi tempi, spopolano sui social meme come “Hawk Tuah” — un nome che suona più come un maestro di arti marziali male interpretato che come una pratica sessuale — che celebrano questa nuova tendenza: sputare direttamente sul membro durante il pompino. Una performance che, a quanto pare, serve a dimostrare quanto sei hardcore, pronta a sfidare il riflesso della tua gola e a trasformare un gesto intimo in una scena degna di un film splatter.
Peccato che questa moda sia il perfetto connubio tra fastidio e poco igienico, una specie di “acquaticità” forzata che non fa altro che far scappare il vero piacere a gambe levate. Il riflesso faringeo, infatti, non si elimina così facilmente: la povera ragazza finisce per sputare aria, saliva o, peggio, quel che capita, con risultati spesso tragicomici. Sputare in faccia o, ancor peggio, a terra, diventa la nuova “mossa sexy”, lasciando tutti con la sensazione che la scena erotica sia stata diretta da un clown.
Insomma, questa moda “Hawk Tuah” è la perfetta metafora del porno contemporaneo: più esibizione estrema e acrobatica che vera arte del piacere, più show da circo che intimità condivisa. Madama le bitch, applaude — ma solo dietro un velo di sarcastico stupore.
Tutto molto bello e sofisticato, peccato che questo “Hawk Tuah” e tutte le sue esibizioni liquido-acrobatiche non abbiano nulla a che fare col pompino come lo intendiamo noi. Potete essere pure americanidi quanto vi pare, ma se una tizia vi fa un pompino in auto — sì, proprio lì, in quel minuscolo spazio senza lusso né pulizie industriali — non volete di certo ritrovarvi vomitati addosso o sommersi da quantità industriali di saliva da Gaviscon.
E qui sta il punto: oltre all’immenso disagio di dover passare mezz’ora a ripulirsi, che sarebbe pure il caso migliore, non è esattamente quello che definireste “una cosa che farei volentieri in auto”. Magari sognate di diventare star di TikTok con le vostre acrobazie Hawk Tuah, ma la realtà — quella sporca, appiccicosa e poco instagrammabile — dice altro. La verità è che certe mode porno-social sono come le ciliegie: belle da lontano, ma se provi ad assaggiarle ti ritrovi con un sapore amaro e qualche macchia da rimuovere.
Con l’avvento del porno interracial, la situazione ha raggiunto un nuovo livello di assurdità: il tubo è diventato decisamente troppo grande. Così ci ritroviamo a guardare maschi che, per quanto possano vantare un palo alto da far invidia, non riescono ad andare oltre la sola cappella — il famigerato “just the tip” che ormai è più cliché che tecnica. Dall’altra parte, ci sono tizie che effettivamente hanno la capacità di ingoiare tutto, ma che non sembrano per niente felici quando vengono costrette a mandare giù tutta quella roba come se fossero aspirapolveri umani.
Eppure, nonostante questa escalation titanica, lo ribadisco: tutto questo non ha davvero nulla a che vedere col pompino.
È, semmai, una pratica medica che definirei più propriamente “intubazione”. Solo che, contrariamente a quanto accade nei reparti di terapia intensiva, la povera ragazza non ha alcun problema a respirare, e l’attore non è certo lì per aiutarla a farlo. Anzi, l’unico scopo sembra essere quello di infilare il tubo più a fondo possibile, come se stessimo assistendo a una procedura d’emergenza piuttosto che a un atto di piacere condiviso.
E lo dimostra il fatto che, dopo pochi miseri secondi di questa tortura orofaringea, quando la poveretta non riesce più a respirare e deve tirare fuori quel tubo infernale, il risultato è un rigurgito nauseabondo che sembrerebbe uscito direttamente dalla cucina di Marilyn Manson. Sì, proprio quella roba lì: un miscuglio di schifezze liquefatte, acide e indecifrabili, a base di Gaviscon, che trasforma la ragazza — di solito abbastanza piacente — in una comparsa di un film horror a basso budget. Nel frattempo, l’attore sfoggia un sorriso da coccodrillo soddisfatto, come se avesse appena vinto il reality show “Hawk Tuah vs Kung Fu”.
Questa è la ragione per cui, approfittando della stagione estiva, lancio un appello accorato: fate tornare il pompino nel porno. Quello vero, quello autentico, come si vedeva negli anni ’80 e ’90, quando il pompino nel porno italiano — e spesso in quello francese — veniva eseguito con competenza da chi ne aveva visto uno vero prima, e soprattutto per chi ne aveva davvero voglia.
Non me ne può fregare di meno se gli americani — e quei popoli barbari che ancora non hanno il bidet in casa (in Italia il bidet è obbligatorio per legge dal Decreto Ministeriale n. 5 del 5 gennaio 1975, che stabilisce i requisiti igienico-sanitari degli edifici; requisito imprescindibile per il rilascio del certificato di abitabilità) — continuano a sfornare improbabili “intubazioni”. Ma davvero, non è possibile che gli ultimi pompini degni di questo nome si siano estinti con Moana Pozzi e Miss Pomodoro.
Ecco l’appello che vorrei lanciare, forte e chiaro:
- Vorrei che i veri pompini tornassero nel porno. No, Valentina, ci sei anche tu, mi spiace dovertelo dire.
- È possibile scrivere cose interessanti anche parlando di argomenti frivoli.
Il primo messaggio è per le pornodive pompinatrici, il secondo per i giornalisti.
Ammesso e non concesso che ci sia differenza.
Uriel Fanelli
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