[RECENSIONE] Liberta'
Avevo prenotato, presso Thalia, il libro autobiografico della Merkel, perche' volevo capire quanto volesse togliersi dei sassolini dalle scarpe, ed ero curioso di capire se davvero volesse mostrare gli ingranaggi che avevano portato ad alcune decisioni.
Il libro effettivamente e' soddisfacente, non per nulla ci ho perso ore di sonno. Ho messo segnalibri in svariate parti del libro, perche' alcune frasi sono interessanti, e perche' leggere cosi' in fretta un libro di 700 pagine, tanto e' lunga l'edizione tedesca, non e' semplice.
Comunque: il libro non ha quasi nulla in comune con quello che la stampa ammaestrata ne sta raccontando. E' chiaro, nel leggere le recensioni (specialmente del Corriere, che e' cosi' filoamericano che ovviamente non accettera' molto della parte che sta dopo il crollo del Muro, specialmente quella di governo) che gli USA per la Merkel erano incombenti, ma non necessariamente un bene, semmai un male necessario.
E capisco quindi come i giornali abbiano ricevuto da Washington l'ordine di scuderia di parlarne male, ma citando solo frasi brevissime. Cosa che i giornali stanno facendo.
Cosa c'e' di terribilmente scomodo, nel libro?
Essenzialmente, tutto. Ma non e' scomodo nel modo in cui potrebbe sembrare scomodo il titolo di un giornale “contro”, perche' il tono e' sempre tenuto sotto estremo controllo. Cosi', non dice che i malvagi imperialisti americani vogliano distruggere l' industria in Europa. Dice che la richiesta di fermare il North Stream II le sembro' dovuta “alla politica americana di indebolire gli avversari”.
Ne parla come se fosse una cosa nota, scontata e normale, con la quale occorre fare i conti, come occorre fare i conti con il vento freddo al mattino. C'e', e bisogna farsene una ragione.
A colpire molto non e' tanto “cosa dice di speciale”, o “cosa dice di rivoluzionario”, ma “cosa dice di normale”. Perche' la Merkel viveva in pratica tra i palazzi di Berlino, se pensa che ci sia una politica americana di indebolire economicamente gli alleati – ed e' chiaro che lo pensa – e non lo scrive col tono della denuncia ma col tono della normalita', qualcuno (think tank, servizi segreti, dati ) glielo deve aver detto.
E se considerate che Scholz era praticamente il suo numero due socialista, voi capite subito che la credenza che gli USA siano un alleato militare ma un nemico economico e finanziario esiste da molto a Berlino, e' esistita per almeno 16 anni, e non smettera' presto di esistere.
Ci sono altre parti ove occorre riflettere. Il presidente degli USA, in tutto, la Merkel lo ha visto per poche ore: ha incontrato molte piu' volte Putin che Trump. Ma “stranamente”, la Merkel spara di lui un analisi molto dettagliata, che quindi non arriva da lei, ma dal suo entourage: Trump ragiona da immobiliarista, per dire, non puo' essere un'impressione di qualcuno che non ha mai calcato l'ambiente degli immobiliaristi. Chiaramente e' un'analisi fornita dai servizi segreti e dai vari Think Tank di cui si serviva. Eccetera. Non ha mai avuto il tempo materiale di “conoscere” davvero le controparti, quindi veniva informata. Le sue “impressioni”, quindi, possono essere lette come “secondo le informazioni che io avevo dalle mie fonti fidate”.
Noi vediamo la Merkel come la leader, ma non era certo onniscente ne' aveva palle di cristallo: quello che lei dice del mondo esterno alla Germania , non e' altro che la visione dell'establishment di Berlino ha , del mondo. E' l'atmosfera che si respira nei palazzi, le parole che si sentono.
Quando la Merkel dice che ha resistito alle pressioni americane sul North Stream II perche' le sembrava che aumentare i rapporti commerciali con Mosca fosse un beneficio piu' grande rispetto ad obbedire al diktat di Washington, sta dicendo che secondo lei i rapporti con la Russia avevano la priorita' rispetto a quelli con gli USA.
L'affermazione e' pesantissima, perche' la valutazione dell'importanza di questi rapporti viene dalle fonti di cui la Merkel disponeva, e da quello che si sentiva dire nei palazzi del potere di Berlino. Se questa era la convinzione di Berlino, essendo una cosa sistemica, difficilmente sara' cambiata sotto Scholz, e difficilmente cambiera' in fretta.
In questo senso, per la politica estera USA questo libro non e' lusinghiero. Ovvio, la Merkel e' pur sempre una democristiana, quindi non scrive mai “l'imperialismo americano vuole schiavizzare i popoli”, ma scrive tutto in maniera calma, usando delle espressioni politiche. Quando dice che non era d'accordo con l' Ukraina in EU ne' con l'Ukraina nella NATO dice di fatto che gli Ukraini sembrano voler menare le mani, ma vogliono farlo con risorse e mezzi NATO e UE, e le sembra che farli entrare nella NATO avrebbe forse portato sicurezza all' Ukraina, ma non alla NATO. Insomma, in breve dice che non appena fossero entrati nella NATO gli Ukraini avrebbero fatto qualcosa di molto aggressivo – segno che qualche apparato politico/statale in Ukraina voleva la guerra, visto che Zelensky non c'era ancora – costringendo la NATO a partecipare ad una guerra.
Il libro, ripeto, non si mostra nelle affermazioni rivoluzionarie, ma trova il suo potere nel mostrare il day-by-day di Berlino, intesa come apparato statale governativo e politico.
In questo libro sicuramente Putin fa la figura del pirla, ma c'e' da dire che nemmeno gli USA brillano di credibilita'. Il problema e' che se la Merkel vuole dare del Pirla a Putin non dice che e' un pirla. Dice che la Putin cerca di intimidirla con un Labrador, ma una brava cancelliera deve cavarsela anche con un cane: morale della storia, e' davvero razionale pensare che una persona con abbastanza autodisciplina da fare la cancelliera possa venire intimidita da un cane? E poi, come niente, sostiene che gli sforzi diplomatici, come gli accordi di Minsk, hanno permesso all'Ucraina di guadagnare tempo per prepararsi a resistere all'aggressione russa. Ovvero, che stava facendo perdere tempo a Putin, compreso il tempo passato coi cani russi, e Putin c'e' cascato come un pirla.
Anche Trump non ne esce meglio. Quando la Merkel dice che Trump ragiona da immobiliarista e vede tutto come un gioco a somma zero, non si ferma qui. La parte che i giornali non raccontano e' quanto sia facile uscirne vivi. Una volta capito cosa vuole lui, racconta la Merkel, basta costruire una serie di obiettivi di valore uguale o maggiore: il suo problema, la sua visione limitata, e' di avere quel che vuole lui e sembrare i vincitore. Se per questo deve pagare un prezzo lo paga, meglio se in silenzio: se volete vincere cont Trump, insomma, gli chiedete molto in senso materiale, come prezzo per quel che vuole, e gli lasciate avere le briciole che vuole lui. Lui paghera' il prezzo perche' si presenta – dice la Merkel – impreparato sui dossier, concentrato solo su quel che vuole, per cui si arriva facilmente al Deal se si prepara qualcosa che lui non conosce, e che gli consenta di dire che ha vinto.
Nemmeno questo, a dire il vero, e' molto lusinghiero per Trump.
Tutto il libro e' cosi': la Merkel dice cose che normalmente causerebbero un incidente diplomatico – definisce Trump come “transitional president” , un fenomeno passeggero, non sostenibile nel lungo termine – insomma fa notare che lei era in carica da un decennio prima di lui, ma fa notare che sia molto sopravvalutato.
Non sono un groupie della Merkel, e ne ho scritto molto in passato, ma neanche di SPD: il problema e' vedere un libro scritto in maniera neutrale che, se si riflette bene su quel che dice, neutrale non e' affatto.
Non ci fa bella figura nessuno, ma ad una prima lettura sembra che racconti cose banali. Se si riflette bene sul significato, invece, si scopre che ci sono cose da causare incidenti diplomatici.
Il problema di questo libro, anzi I problemi, sono due:
il primo e' di dire nulla di nuovo, ma di raccontare le cose dal suo punto di vista, usando una tecnica di comunicazione per cui occorre una lettura attenta per capire cosa stia dicendo.
il secondo e' di respingere le critiche al mittente, dicendo semplicemente “l'alternativa era ancora peggiore”, o “non c'erano altre alternative”.
Quando parla della storia dei migranti, ricorda di aver preso la decisione quando c'era una coda unica ininterrotta di persone, dai confini tedeschi fino alla Turchia. Lei decise di farli entrare, me cosa sarebbe successo se avessero chiuso i confini? L'alternativa era che un milione e mezzo di profughi si sarebbero ammassati in Austria, o Repubblica Ceca, e il problema dei migranti si sarebbe spostato sui Balcani, che sono ancora piuttosto instabili.
Ed e' questo uso dell'argomento madre “bene, discutiamo delle alternative, c'erano alternative?” che in un modo o nell'altro salta fuori la sua anima prussiana , cioe' pragmatica.
“Bene, se hai un'alternativa ti ascolto, mostrami i benefici”. La realta' era che intrappolare un milione e mezzo di profughi siriani nei balcani sarebbe stata una bomba ad orologeria , ma la realta' ancora piu' tremenda e' che “mostrami un'alternativa e discutiamola” e' esattamente quello che NON si fa nella politica attuale.
Insomma, leggendo questo libro imparate alcune cose.
nei palazzi di Berlino gli USA sono visti come quelli che erano dalla parte giusta del muro di Berlino, ma anche come nemici economici. Politicamente alleati, economicamente nemici giurati.
esiste un modo per dire le cose , senza farle pesare, anche se si tratta di bombe diplomatiche.
la domanda “e qual'era l'alternativa” e' quella su cui riflettiamo di meno, e quella cui la Merkel rifletteva di piu'.
Il che, onestamente, non e' poco. Anche se 730 pagine per dirlo , onestamente, certe volte mi sono sembrate molte, ecco.
Uriel Fanelli
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