Quel bisogno di isola.
Sta impazzando per il web l'idea bislacca di Trump di partire con una campagna di invasioni imperiali. Cosi' vuole usare l'esercito per conquistrare la Groenlandia, Panama, e anche il Canada. Queste idee bislacche in realta' hanno un fondamento culturale, che e' radicatissimo nella cultura anglosassone.
Se osserviamo i paesi anglosassoni, e cominciamo dalla “culla”, cioe' l'Inghilterra, notiamo subito una cosa. E' un'isola. I suoi confini sono, o meglio erano, praticamente invalicabili sino al rinascimento, a meno di costruire flotte militari da invasione. Il privato aveva poco da guadagnare da un tratto di mare costoso , spesso impraticabile, e dai tempi lunghi.
Di conseguenza, la cultura anglosassone nasce come cultura insulare, dove la differenza tra “noi” e “chi sta al di la' del mare” e' la stessa che ci potrebbe essere tra Terra e un altro pianeta.
Poi la cultura anglosassone si espande. E si aggiungono Nuova Zelanda, ancora un'isola, l' Australia , un continente-isola perche' ci sono solo anglosassoni che ci vivono, e alla fine Canada e USA.
Ora, il Canada confina, di fatto, solo con gli USA, cioe' un altro paese anglosassone, quindi tiene di fatto un confine lasco. Ma il problema e' che i canadesi sono orgogliosissimi delle differenze tra loro e chi sta oltreconfine, e gli USA anche.
Idealmente, quindi, se ipotizzassimo un “anglosassone nordamericano”, la sua visione sarebbe ancora quella di una nazione-isola.
Qui bisogna capire cosa significhi pensare agli stati come isole separate dai confini. Se avete amici americani e vivete vicini a qualche confine, quando vi fanno visita loro si stupiranno per la quantita' di persone bilingui, perche' nella visione anglosassone , o insulare, quel confine e' un oceano, o qualcosa di simile. Quindi si presume che da un lato ci siano, che so io, i tedeschi, e dall'altro i francesi. Come sarebbe a dire che qui si mescolano?
Verso il 1998 mi trovai a lavorare in Sicilia, e siccome mi piaceva la girai in lungo ed in largo. A San Vito lo Capo facevano un nuovo festival, Il Cous Cous Fest , e ci andai. Incrociai alcuni americani, i quali spiegavano la cosa con l'invasione araba. Ora, era la PRIMA edizione del festival, che oggi e' il piu' grande festival del couscous del Mediterraneo, ma siamo alla 27 esima annata. Non all'ottocentesima.
Ma il cous cous da quelle parti c'e' da parecchio, ma non per via dell'invasione: lo troverete infatti solo li' e in poche altre parti, tipo alcuni quartieri di Mazara, mentre nel resto delle citta' sicule non e' molto conosciuto. Tuttavia gli arabi avevano invaso l'intera isola. Come si spiega?
Scambi culturali, ovviamente. Zone portuali, scambio di persone, eccetera.
Ma per un anglosassone questo e' assurdo: il mare e' un confine, quindi DA UN LATO faranno il Cous Cous, dall'altro il pistacchio di Bronte. Che diavolo significa, poi, “scambi culturali”?
Per un anglosassone, ogni paese e' un'isola, e il mare e' un ostacolo CULTURALE: puo' consentire guerre o commercio, ma DEVE bloccare lo scambio culturale. Da un lato c'e' chi fa determinate cose , si veste in un certo modo e ha un certo aspetto, dall'altro c'e' chi ha un altro aspetto, fa altre cose, si veste diversamente.
Immaginate e comprendete, quindi, la loro isteria quando scoprono – al confine col Messico – che gli USA non sono un'isola.
Questa gente che parla una lingua diversa – e che ci mostra un confine che non e' un oceano invalicabile. Non si capisce come sia possibile avere una zona in cui si parlano due lingue. Per loro, il Trentino Alto Adige e' un'impossibilita' materializzata.
Sulla base di questa cultura insulare, quindi, la politica americana ha SEMPRE cercato di trasformare gli USA in un'isola. Dall'acquisto dell' Alaska alle guerre di invasione , sia contro il Canada (guerra persa dagli USA) a quella col Messico (persa sul campo, ma poi recuperata in sede politica), tutta la loro politica si e' avvitata sul concetto di costruire un'isola.
E oggi, per esempio, si meravigliano del fatto che Schengen abbia aperto i confini tra paesi europei, ma questo e' dovuto alla loro ignoranza: i confini doganali sorvegliati in Europa, come li conosciamo oggi, non esistevano prima della Prima guerra mondiale. Infatti, prima del conflitto, attraversare i confini europei era generalmente più semplice e non richiedeva permessi specifici.
La Prima guerra mondiale (1914-1918) ha segnato un punto di svolta significativo per il controllo dei confini in Europa
Il conflitto ha portato a un inasprimento dei controlli di frontiera per motivi di sicurezza nazionale e ha gettato le basi per un sistema più rigido di sorveglianza dei confini. Dopo la guerra, con la ridefinizione delle frontiere europee e l'emergere di nuovi stati nazionali, i controlli doganali divennero più sistematici e rigorosi. Tuttavia, l'idea di un'unione doganale europea iniziò a prendere forma solo molto più tardi. L'Unione doganale dell'Unione Europea, che rappresenta un modello avanzato di gestione dei confini, è stata istituita nel 1968
Questa ha portato all'abolizione dei dazi doganali nel commercio reciproco tra gli stati membri e all'introduzione di una tariffa doganale comune nei loro scambi con i paesi terzi.
È importante notare che l'evoluzione dei controlli doganali è un processo continuo. Recentemente, l'UE ha proposto una riforma significativa del suo sistema doganale, con l'obiettivo di semplificare le procedure e adattarsi alle nuove sfide del commercio globale e del commercio elettronico
Quando ci riferiamo ai confini chiusi, quindi, ci riferiamo ai 50 anni che passano dalla fine della guerra del 1918, sino al 1968. Cinquant'anni. Ad essere anomalo, quindi, non e' il confine aperto, ma quello chiuso.
Paesi come l' Inghilterra, invece, hanno avuto un'esperienza diversa, dovuta principalmente alla Manica. E hanno sviluppato, quindi, l'idea di confini chiusi e controllati, non come vie di comunicazione ma come ostacoli agli scambi culturali.
Chi vive in zone dove il mare fa da via di comunicazione, e non da ostacolo, come i popoli del mediterraneo , del baltico, ma anche dell'estremo oriente insulare, trova persino bizzarra quest'idea e trova normali gli scambi.
Ma per i popoli anglosassoni non e' cosi'.
Di conseguenza, appena si sono accorti di un gigantesco scambio che stava avvenendo sul confine messicano, sono diventati isterici. Ed e' chiaro, ovvio, scontato e prevedibile che vogliano un muro sul confine. E se fosse per loro, vorrebbero un intero oceano.
La voglia di Trump e degli americani di trasformare il continente nordamericano in una nuova Australia, ove gli anglosassoni si dividono dal mondo grazie ad un oceano, e tutto il continente e' culturalmente omogeneo, non e' affatto strana.
Bisogna solo ricordare che si tratta di una cultura insulare, cioe' di una cultura che capisce gli scambi commerciali, capisce le flotte militari, ma fatica a capire gli scambi culturali, sino a considerare il the – bevanda indiana – una tradizione inglese: non solo Inglese, ma squisitamente inglese.
Ed e' per questa ragione che quando un americano parla di un paese europeo, sembra che stia parlando di un pianeta distante sul quale ha delle teorie, cosi' come gli astronomi hanno delle teorie sul clima di Nettuno: e potrete insistere che voi vivete li', ma non importa, perche' c'e' anche la teoria del professor X , che dice una cosa diversa.
E il fatto che voi ci viviate non importa, perche' se accettassero la vostra testimonianza, sarebbe uno scambio culturale, cosa che non capiscono.
Non c'e' niente da meravigliarsi, quindi, negli sproloqui di Trump. Fanno parte della cultura anglosassone, sono radicati nella cultura anglosassone, e per certi versi se non li capiamo e' solo perche' abbiamo sempre pensato ad un paese cosmopolita, quando in realta' e' solo un paese WASP, che in passato ha importato schiavi di molti colori diversi.
Uriel Fanelli
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