Porno al Forno
Abuso dell'advertisement di una band realmente esistente da queste parti, i "porno al forno", per parlare di un argomento ridicolo che sembra fare la differenza sui giornali di questi giorni. L' AGCom che vieta cose. Un po' come quando il Sindaco di Casalecchio di Reno ha vietato i pantaloni col risvoltino in tutta la Galassia. Non lo sapevate? Strano. Chi non sa cosa fa il Sindaco di Casalecchio di Reno?
La domanda vera non è “perché OnlyFans si è adeguato e gli altri no?”, ma piuttosto “perché solo OnlyFans?”. La risposta è banale: OnlyFans vive e fa vivere attraverso le carte di credito. Se vuoi cancellarlo dall’Italia, non serve il teatrino dei blocchi IP — basta che il Ministero dell’Economia chieda ai circuiti di pagamento di metterlo in blacklist, e il gioco è fatto.
I grandi colossi del porno, invece, monetizzano in tutt’altro modo: pubblicità, circuiti opachi sparsi per mezzo mondo, linee erotiche mordi-e-fuggi. Con flussi di cassa così frammentati e decentralizzati, un blocco finanziario mirato è semplicemente impraticabile. Forse — e dico forse — si muoveranno solo se inizierà a circolare con insistenza la voce che altri paesi, magari la stessa UE, stanno valutando misure simili. Fino ad allora, è ovvio che l’unico a sentire la scure sulla nuca sia proprio OnlyFans, l’unica piattaforma con un tallone d’Achille così evidente.
Detto questo, arriviamo al punto politico.
Il dibattito ha ormai toccato livelli tali di idiozia che, prima di entrarci, sembra d’obbligo un piccolo rito apotropaico: ripetere sette volte il nome di Marilyn Manson.
Marilyn Manson
Marilyn Manson
Marilyn Manson
Marilyn Manson
Marilyn Manson
Marilyn Manson
Marilyn Manson
Perché siamo esattamente lì: allo stesso parossismo di stupidità che accompagnò la vicenda di Columbine. Due studenti avevano messo in piedi una gang violenta — la Trench Coat Mafia — con arsenali nascosti sotto il letto e un piano delirante già scritto nero su bianco. Ma la colpa, per l’opinione pubblica, era il CD di Marilyn Manson. In quel clima, il fatto che i due vivessero letteralmente sopra un deposito d’armi era un dettaglio trascurabile, una nota a piè di pagina.
Oggi, sul porno, i politici replicano la stessa logica da encefalogramma piatto. Si dividono in due branchi, entrambi scollegati dalla realtà.
- Il primo crede che sia il porno a “educare” i giovani a maltrattare le donne. Una sciocchezza abissale. Ma, di nuovo: se a Columbine l’indizio chiave era un CD, allora è ovvio che, in uno stupro, la cosa davvero rilevante dev’essere che l’aggressore abbia guardato dei video porno. Il resto — educazione, cultura, violenza pregressa, contesto familiare, disagio psichico — roba irrilevante, immagino.
- Il secondo gruppo, non meno slegato dal pianeta Terra, è convinto invece che il porno “aiuti a una sessualità abbondante”, come se bastasse premere play per trasformarsi in chi sa che cosa. Onestamente: una pornodiva, per campare, ha bisogno che ogni video venga visto da milioni di persone. Facciamo un conto brutale ma chiarissimo. Se, in quei dodici minuti di durata media, tre milioni di spettatori uscissero di casa e andassero al bar, almeno un migliaio di loro finirebbe a letto con qualcuno. La realtà è semplice: il porno non genera una sessualità più libera o più ricca; genera milioni di persone che guardano pochi individui scopare, mentre loro, nello stesso tempo, non scopano.
Due visioni ideologiche, entrambe fragili. La prima smentita dal buon senso elementare, la seconda annientata dai numeri più basilari.
E arriviamo alla parola-feticcio: “educare”. Non a caso, chi vuole vietare il porno inserisce subito, nella lista delle soluzioni miracolose al problema “stupro/violenza”, la voce “educazione affettiva”. Bene: io vivo in un paese dove questa roba si insegna davvero a scuola. Mia figlia l’ha avuta per tutto il percorso scolastico. È utile, è civile, è perfino piacevole. Ma se c’è una cosa che non farà mai, è impedire stupri e violenze. Non è progettata per questo, e non funziona per questo.
Il punto è un altro: l’idea che “educare” o “rieducare” siano parole magiche — le pallottole d’argento che risolvono qualunque problema con un singolo bang — è una fissazione culturale. Una mentalità salvifica che certi ambienti politici si trascinano addosso da decenni, un retaggio ideologico che viene da lontano e che continua a distorcere ogni discussione.
E infatti queste culture, mescolate tutte insieme, finiscono sempre per avvelenare il dibattito fino a renderlo stupido. Non superficiale: proprio stupido.
Per capire quanto sia arretrato e cretino il dibattito italiano di oggi, bisogna ricordare cos’è stato il porno in Italia tra il 1980 e il 1990. L’epoca in cui Cicciolina entrava in Parlamento, Moana era la donna ideale nazionale e il genere, pur primitivo e feticista — reggicalze obbligatorio anche sopra le autoreggenti, tanto per capirci — aveva portato per la prima volta il piacere al centro del discorso pubblico.
Il punto è proprio questo: il problema del sesso “prima” non era che fosse proibito. Gli anni ’60 e ’70 erano stati di fatto libertini. Il problema era che, anche se non vietato, bisognava vergognarsene, soprattutto se eri una donna.
Ma di cosa dovevano vergognarsi, esattamente? Non del fare sesso: tutti sapevano benissimo che certe cose succedevano nelle camere da letto. Quello che non doveva esistere era il piacere femminile. Provarlo, mostrarlo, reclamarlo: quello sì che era sconveniente.
E infatti, quando dico che “succedeva nelle camere da letto”, ometto volutamente un dettaglio fondamentale: una quantità enorme di uomini non aveva mai visto una vulva da vicino. Non perché non facessero sesso, ma perché, per educazione e automatismo culturale, le donne “si vergognavano” di mostrarsi. Moltissimi facevano tutto al buio, punto. E quando oggi qualcuno sgrana gli occhi se dico che molti uomini non sapevano nemmeno dove fosse la clitoride, devo spiegargli che in quella generazione era normalissimo: non l’avevano mai vista. Perché “non si guarda lì”.
Il porno, per una parte enorme di quella popolazione maschile, fu educazione sessuale. Non perché fosse pedagogico — non lo era — ma perché nella vita reale non avevano praticamente nessuna possibilità di vedere il corpo di una donna in modo esplicito, se non a pagamento o con un’amante clandestina. E quelle, all’epoca, erano considerate “donnacce”.
Che piaccia o no, questa è la fotografia: il porno, negli anni ’80 italiani, ha mostrato a molti uomini cose che la società dell’epoca rendeva semplicemente impossibili da vedere.
Non è un caso se, in quegli anni, a essere davvero famose fossero le pornoattrici, non i pornoattori. Se chiedevi a qualcuno di nominarti un uomo del settore, usciva sempre lo stesso nome: John Holmes. Punto. Di Rocco Siffredi — che allora si nascondeva dietro identità come Rocco Tano, Rocco Carlucci, Rocco Lorenzo, Rock Malcovich, Roch Malkovich e altri alias da filmaccio — non si ricordava nessuno. Fu solo con l’irruzione del porno americano che iniziò la gara a chi ce l’aveva più lungo, perché in America persino nel sesso filmato deve esserci un vincitore e un perdente. È un riflesso pavloviano culturale.
Ma il motivo per cui tutti ricordavano Cicciolina, Moana e, con l’arrivo dello scambismo, Jessica Rizzo (che entrò nel settore inizialmente col marito) è un altro: erano le prime donne che portavano nel discorso pubblico l’orgoglio del piacere. Non lo nascondevano, non lo mascheravano da romanticismo da fotoromanzo, non lo edulcoravano per salvare le apparenze. Dicevano, col corpo e con la voce, che a loro scopare piaceva, e basta.
In inglese la definizione perfetta sarebbe: unapologetic. Nessuna scusa, nessuna timidezza, nessun trucco per rendere la cosa più digeribile agli altri. Solo piacere rivendicato, senza abbassare gli occhi.
Sul concetto di unapologetic vale la pena aprire una parentesi, perché è uno snodo cruciale.
La carriera di una pornoattrice, di solito, dura otto anni scarsi. Malena Nazionale, per esempio, dopo otto anni si è ritirata. Fin qui, tutto normale. Ma è dopo il ritiro che si vede lo spartiacque culturale.
Molte, moltissime, sentono il bisogno di chiedere scusa.
Sì, l’ho fatto, ma…
… ma non era poi così bello.
… ma non mi piaceva.
… ma non ero davvero io.
È diventato un vero e proprio formato di autodafé laico: da Selen a Milly d’Abbraccio, una processione infinita di “mi pento e mi dolgo”, come se il mestiere fosse una macchia da cancellare per poter tornare “presentabili”.
E il trend non riguarda solo il porno. Anche figure del cinema erotico nazionalpopolare, da Edwige Fenech in giù, passano mezza vita a giustificare il loro passato. A dire che, in fondo, era una fase, un errore, un gioco più degli altri che loro stesse.
Tutto questo come se pornografia ed erotismo non fossero generi antichi, colti, strutturati, presenti nella cultura umana da millenni. Come se non ci fosse nulla di sofisticato, nulla di artistico, nulla di legittimo nel raccontare — o mostrare — il desiderio.
È questa la differenza tra chi è unapologetic e chi no: la capacità di non sentirsi in debito con nessuno per ciò che si è fatto col proprio corpo e con il proprio piacere.
Come se la pornografia e l'erotismo non fossero generi nobili e antichi.
Marziale (96 Dopo Cristo) scrive:
| Latino | Italiano |
|---|---|
| Pedicare noli, Philomuse: | Non cercare di sodomizzarmi, Filomuso; |
| futuere mecum sic cupis: | se vuoi scopare con me, fallo così; |
| assuetus sum tibi, nolo novum. | sono abituato a te, non ho voglia di novità. |
| Est mihi parva domi chorda, | Ho a casa un “cordino” piccolo, |
| sed dura, sed apta: | ma duro, ma adatto; |
| illa sit ut lacero fortior inguine tuo. | che sia più forte della tua virilità strappata. |
| Latino | Italiano |
|---|---|
| Hunc tu, si qua fides, tenerae puer, insere matri; | Questo, credimi, ragazzo, fallo scivolare teneramente dentro tua madre ; |
| et sit tam magna gratia, quam fuit. | e concedile un piacere grande quanto quello che provava un tempo. |
E non c’è nemmeno la parola “step”: è proprio matri.
Tradotto brutalmente: quando le donne romane entravano in menopausa e avevano figli bellocci, a quanto pare non si facevano troppi problemi. La morale è semplice: il mondo antico aveva un rapporto con il desiderio molto più diretto — e molto meno ipocrita — di quanto siamo pronti ad ammettere oggi.
E, già che ci siamo, chiudo con un Priapeo, perché là dentro trovi tutto: sesso schietto, ironia, vergogna ribaltata, e quella sfacciataggine pagana che ancora oggi fa arrossire le anime candide.
| Latino | Italiano |
|---|---|
| Quid hoc novi est? quid ira non movet? | Che novità è questa? Che cosa non suscita sdegno? |
| non lena, non raptor avarus, | Non una mezzana, non un rapace ladro, |
| non lanista, sed ille qui puellas | non un lanista, ma colui che le fanciulle |
| deperit et nates ducit ad pilam: | ama perdutamente e ne impala le chiappe: |
| hic, hic est qui miserrimum caput | ecco, ecco colui che la cappella miserrima |
| in fauces trudit usque ad umbilicum. | spinge nelle gole fino all’ombelico. |
| huic ego, si fur nunc veniat, irata | A costui io, se ora venisse un ladro, adirata |
| cinaedorum membra subducam manu, | con la mano sottrarrò i cazzi dei froci, |
| et usque ad umbilicum caput in fauces | e la cappella fino all’ombelico nelle gole |
| trudam, et usque ad guttur penem. | spingerò, e fino alla gola il cazzo. |
| si fur nunc veniat, ego illum hic, | Se ora venisse un ladro, io lui qui, |
| Priape, irata cinaedorum membra | Priapo, furioso a quei froci il cazzo |
| subducam manu, et usque ad umbilicum | strapperò con la mano, e fino all’ombelico |
| caput in fauces trudam, et usque | la cappella nelle gole spingerò, e fino |
| ad guttur penem. | alla gola il (mio ) cazzo. |
Insomma: se Priapo ti beccava a rubare, erano cazzi acidi. Le enormi falli scolpiti davanti alle case non erano semplici “portafortuna”, erano un avvertimento molto chiaro ai ladri: “occhio, perché se ti prendo ti castro e poi ti inculo”. Una concezione del mondo tanto brutale quanto limpida.
E, dettaglio non irrilevante: nessuno di loro si è mai scusato.
Il punto torna sempre lì: il piacere. Soprattutto quello femminile. Non è un problema se una donna scopa: quello, tutto sommato, passa. Il problema nasce quando dice apertamente che le piace un sacco. Quando lo rivendica. Quando non abbassa lo sguardo.
Non è un caso che, dopo Moana e Cicciolina, per trovare un’italiana capace di superare la barriera degli otto anni di carriera bisogna saltare direttamente a Valentina Nappi — quattordici anni, circa. E guarda caso… anche lei va in giro dicendo che le piace. Unapologetic, in pieno. Stessa matrice, stessa sfrontatezza, stessa assenza totale di vergogna rituale.
In Italia la pornoattrice può fare porno quanto vuole, può perfino farne tantissimo.
Ma a diventare star, e soprattutto a durare, è sempre e solo quella che non chiede scusa. Quella che non recita il mea culpa. Quella che dice: “Sì, mi piace.”
Per questo vi ricordate più di Vanessa del Rio che di Karin Schubert, tra le attrici dell’epoca: Vanessa del Rio lo diceva chiaramente. Schubert no.
Perché il tabù italiano non è il sesso.
È il piacere.
E, in cima alla lista dei proibiti, c’è quello femminile.
Quando, negli anni ’80, diventò di moda parlare apertamente di piacere, al punto che perfino Giuliano Ferrara e la moglie si misero a fare una trasmissione sul sesso — Lezioni d’amore, Italia 1 — una parte del paese rimase completamente spiazzata.
Perché nel sesso vale la stessa regola che in tutto il resto: ci sono quelli bravi e quelli no. C’è chi corre veloce e chi inciampa da fermo, chi ha il piede educato e chi manda il pallone in tribuna, chi canta e chi ulula. Allo stesso modo esistono donne brillantissime, piene di immaginazione, ed esistono le fighe di legno; uomini straordinariamente abili a letto ed esemplari maschili che, a confronto, sembrano delle ocarazze morte.
Il punto è che, quando il porno diventò “mainstream”, emerse un esercito di esclusi — e soprattutto di escluse. Perché qualcuno aveva alzato l’asticella, e tutti quelli abituati alla “scopatina da bruco”, fatta al buio e senza mai guardarsi in faccia, si ritrovarono improvvisamente tagliati fuori da questa festa colorata e straripante che il sesso stava diventando. E sentirsi inferiori persino a Giuliano Ferrara, diciamolo, può lasciare cicatrici mentali permanenti.
All’improvviso tutti volevano donne disinibite, intraprendenti, piene di voglia e di fantasie. Il problema era che queste donne, nell’Italia di allora, non esistevano, o esistevano in dosi omeopatiche. Ci provavano, per carità. Ma non sapevano come muoversi: erano state educate a vergognarsi del desiderio, non a usarlo. Chi si avventurava nel nuovo immaginario lo faceva imitando goffamente il porno: reggicalze sopra le autoreggenti — l’equivalente erotico delle bretelle sopra una cintura — tacchi vertiginosi sempre e comunque, che stessero bene o stessero malissimo.
Si sforzavano, sì. Ma senza strumenti. Anche quando avevano desideri, non li avevano mai elaborati. Perché “non si fa”. Perché “non sta bene”. Perché per generazioni era stato ripetuto che una donna non doveva piacersi, né tantomeno pretendere piacere.
E quando il piacere diventò pubblico, tutto questo venne giù come un solaio marcio. Che ci crediate o no, moltissime donne semplicemente non sapevano cosa desideravano. Provavi a scavare: fantasie? No. Curiosità? Zero. Sogni erotici? Nessuno. Immaginario erotico? Tabula rasa. Non era che non volessero: è che non erano state educate ad avere un immaginario.
E nemmeno per i maschi era il Paese dei Balocchi, perché la loro visione del piacere era — ed è tuttora — primitiva come una clava. Chiedi a un uomo se è giusto eccitare una donna succhiandole i capezzoli: ovviamente sì. Chiedigli se gli piace quando li succhiano a lui: imbarazzo, risatine, fastidio. “È una cosa… gay”. E infatti un sacco di bisessuali latenti rimangono nel mondo gay semplicemente perché è l’unico ambiente dove qualcuno si prende la briga di stimolare zone erogene diverse dal cazzo.
Accarezzano le cosce di una donna; chiedi se a loro piace essere accarezzati nello stesso modo e li vedi irrigidirsi: “mah… troppo gay”.
Il culo, poi, è territorio sacro. Hanno l’atteggiamento di un pellerossa davanti al cimitero degli antenati. Mettono volentieri un dito nel culo alla partner “perché le piace”, ma se tocchi l’argomento su di loro, apriti cielo: hai profanato il sacro cimitero indiano.
Prima del porno si poteva parlare di sesso, certo — basti pensare ai film di Pasolini. Ma non si parlava di piacere. Non di come arrivarci, non delle fantasie, non dei desideri, non dell’immaginario erotico. Quello era il vero tabù. Il porno sdoganò proprio questo: la discussione sul piacere, non sull’atto.
In questo senso fu una rivoluzione. E con tutta la simpatia per Valentina Nappi e per il suo disclaimer “questa non è educazione sessuale”, mi spiace: per molti versi lo è stata eccome. Non completa, non raffinata, non allineata agli standard terapeutici moderni. Ma efficace? Mirata? Assolutamente sì, soprattutto considerando l’arretratezza culturale dell’epoca. In un deserto basta un bicchiere d’acqua per sembrare un’oasi.
Molti uomini hanno imparato a trovare la clitoride guardando Francesca Petitjean, culturista e pornoattrice francese nota per… be’, averla enorme. E molti hanno scoperto che gli piace farsi succhiare i capezzoli in qualche sauna gay.
Ma senza essere gay.
Questa è la misura dell’arretratezza: ciò che oggi chiamiamo “educazione sessuale di base”, allora venne veicolato da un VHS.
Chiudiamo la parentesi e torniamo al punto: tutto questo parlare di sesso — e, a tratti, perfino di piacere — negli anni ’80 alzò l’asticella. Era inevitabile. E il risultato fu che molte e molti rimasero tagliati fuori.
Si vide all’improvviso chi non era capace, chi non era portato, chi imitava senza capire un accidente.
Ed è proprio questo esercito di sconfitti, di scartati dal piacere, che oggi costituisce lo zoccolo duro di quelli che detestano il porno e vorrebbero vietarlo a colpi di legge morale.
Lo stesso identico meccanismo con cui vorrebbero vietare la prostituzione: perché anche la prostituzione alza l’asticella, soprattutto dal punto di vista delle donne che si ritrovano a “competere” contro una venticinquenne moldava con due chilometri di gambe e zero complessi. È un confronto spietato, e loro ne escono umiliate in partenza.
Il problema del porno non è tanto il cazzo più lungo o la performance da mezz’ora — che poi, chi diavolo guarda un porno per più di venti minuti? — ma il fatto che pone una domanda devastante:
“Perché io queste cose non le faccio? Perché non le so fare?”
È qui che entra in gioco il vero nocciolo: la questione dell’asticella del desiderio.
Se qualcuno mi dice che trova il porno noioso, non lo contesto. Anzi: mi incuriosisco.
“Va bene — gli chiedo — ma allora cosa trovi interessante tu?”
Perché è assolutamente plausibile che certe fantasie sessuali non si vedano nei porno mainstream. Esiste la cosiddetta masturbazione idiosincratica: immaginari che non vedrai mai su Pornhub, cose che forse non farai mai nemmeno in vita tua.
Se ti eccita l’idea di scopare con un centauro, un minotauro o qualsiasi creatura mitologica, capisco perfettamente che il porno ti sembri ripetitivo.
Se la tua fantasia è farlo dentro un McDonald’s pieno di gente, ovvio: non esiste il genere “MacBurger”.
Nemmeno il genere “cibo” è davvero un genere pornografico: quindi chi si eccita mangiando con il partner — e credimi, ce ne sono, e non solo in Emilia — resterà deluso.
Ma queste persone non odiano il porno. Al massimo si lamentano che non esiste il loro porno. È una lamentela onesta.
Quelli che dico io, invece, sono quelli che ripetono: “Il porno è noioso e monotono”, ma poi non sanno dirmi cosa troverebbero eccitante loro.
Perché — ed è questa la verità — loro sono ancora più noiosi del porno che criticano.
Ancora prima che esplodesse Morning Glory Milking Farm, avevo già sentito donne fantasticare su minotauri e centauri. Fantasie, appunto, non desideri nel senso clinico: non volevano davvero un toro o un cavallo. Ma se una è un’accanita lettrice di Morning Glory Milking Farm — bestseller Amazon, per dire , non sono poche — e mi dice che il porno è noioso, io la capisco: non c’è la categoria “minotauri”.
Ma se sei tu, maschio qualunque, a dirmi che il porno è monotono perché per te il massimo della fantasia erotica è strisciare come un bruco addosso a tua moglie nel buio totale…
…allora capisco perfettamente perché lei legge Morning Glory Milking Farm.
Di nascosto.Ma ancora una volta, quelle tipe vuote sono proprio quelle che odiano il porno. Con la scusa che rovina i giovani ( Link) rendendoli stupratori, femminicidi, tesserati del partito Umanista, o peggio.
Se pensate che il dettaglio piu' importante di un maschio stupratore sia quello di guardare porno, allora crederete che il dettaglio piu' importante della strage di Columbine fosse il CD di Marilyn Manson.
Cioe' siete degli idioti.
In generale posso dirlo senza troppi giri:
il problema che queste persone hanno col porno è semplice.
L’asticella del sesso ludico è troppo alta per loro.
E temono che se i giovani guardano porno, allora da adulti chiederanno cose che le fanno sentire inadeguate.
Non c’entra nulla l’educazione sessuale, esattamente come guardare la cassiera del supermercato non è un corso di matematica. Ma se l’alternativa è zero totale, anche la cassiera — metaforicamente e non — va più che bene.
(E poi, se volete farvi pure la cassiera… io mica mi oppongo. È una fantasia come un’altra.)
Il punto è che queste persone non scambiano il porno per educazione sessuale: lo scambiano per modello imitativo. Da performance.
Un po’ come quelli che entrano nelle saune gay convinti che “esplorare” significhi automaticamente prenderlo nel culo, senza sapere che i gay che praticano sesso anale sono una minoranza, perché a molti fa male o dà fastidio. Ops.
E infatti basta guardare il porno amatoriale per capire come ragionano: chi vuole fare sesso ludico imita il porno professionale. E ottieni Alex Magni, Dario Lussuria, tutta quella fauna che replica a pappagallo le stesse pose, la stessa “intubazione americana” nei pompini, gli stessi movimenti, gli stessi frasi fatte.
Significa che per loro quello è il sesso.
Non perché l’hanno imparato dal porno, ma perché non sanno inventare altro.
E questo è il nodo: noi sappiamo benissimo — perché ogni tanto li incontri nella vita reale — che esistono uomini e donne che nella loro testa hanno una biblioteca erotica vera, piena di idee, di fantasie, di scenari, di immaginazioni. Non necessariamente desideri da realizzare alla lettera, ma un repertorio mentale con cui è piacevole perfino parlare, oltre che fare.
E non è certo il cinema porno che ha reso queste persone così fantasiose.
Se pensate che sia il porno a dare fantasia, chiedetevi cosa succederà a chi legge Morning Glory Milking Farm e tutto il filone editoriale che gli ruota attorno. Perché quelle lettrici lì — e quei lettori lì — non diventano fantasiosi grazie al porno.
Il punto è che lo erano già, e il porno semplicemente non basta loro.
E adesso concludo dicendo una cosa molto semplice a queste persone.
Anche se un giorno riusciste davvero a zittire il porno per i minori e a vietare la prostituzione per gli adulti, non cambierebbe nulla: ci saranno sempre uomini e donne con un immaginario erotico ricco, vario, pieno di idee e di desideri. Più del vostro.
E voi resterete comunque scartati, punto.
Volete impedire ai giovani di guardare porno? Fate pure. Ma alcuni di loro svilupperanno comunque un immaginario erotico potente, curioso, fantasioso.
L’asticella sarà sempre più in alto di voi.
Perché il porno, in fondo, non crea immaginazione: la rivela.
La vostra paura — la paura di essere tagliati fuori, di non essere abbastanza, di non reggere il confronto con attori e attrici — non si risolve spegnendo gli schermi. Non funziona così: ci sarà sempre qualcuno con un immaginario più ampio, più audace, più vivo del vostro.
E siccome non potete entrare nella loro testa, nemmeno con tutta l’“educazione affettiva” del mondo, ai loro occhi resterete quello che siete: ocarazze morte e fighe di legno.
Perché l’asticella sarà sempre più in alto di voi, semplicemente per il fatto che voi siete rasoterra.