Licenziamenti Cloud

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Photo by Daniel Eledut / Unsplash

Negli ultimi giorni ci si accanisce sull’ennesima ondata di licenziamenti in Amazon. Immediatamente parte il coro rituale: “È colpa della IA?”. Pare che ormai qualsiasi taglio, in qualsiasi grande azienda, scateni la stessa domanda ossessiva. Il punto è che molti non hanno ancora capito la dinamica: non siamo davanti a un referendum sull’innovazione. L’intelligenza artificiale non è una proposta che possiamo accettare o respingere con una votazione di condominio. Esiste, funziona e viene adottata perché conviene—fine della storia.

Il problema non è la tecnologia, ma una certa specie di nostalgici del passato, quelli che reagiscono alle novità con la stessa flessibilità di un diplodoco in mezzo all’autostrada. Gente convinta che il mondo debba chiedere il permesso al passato, prima di cambiare. Così si inventano la narrazione “la IA ruba i posti di lavoro”, giusto per avere un mostro da incolpare, come se le aziende avessero bisogno di un alibi per tagliare costi e ottimizzare processi.

Ma se avessero un minimo di intelligenza naturale, questi giornalisti si chiederebbero, prima di tutto, quanto segue: ma perche' annunciano i licenziamenti?


Quando si parla di questi licenziamenti, tutti si fissano sulla tecnologia. “È colpa della IA?”, ripetono come un mantra. Ma in realtà, qui stiamo guardando un problema di comunicazione. La domanda giusta non è perché licenziano, ma perché lo annunciano? E soprattutto: a chi stanno parlando?

Esistono decisioni aziendali con impatto occupazionale enorme che non vengono mai sbandierate. Prendiamo un esempio banale: se un colosso come Amazon decide di ridurre le confezioni di carta, quella scelta può far crollare i fatturati di interi fornitori, con ripercussioni su centinaia di lavoratori. Ma questo non finisce nei comunicati stampa trionfali, a meno che non serva per il solito greenwashing. Nessuno convoca conferenze per dire: “Abbiamo tagliato i margini di un fornitore fino a schiacciarlo.”
Silenzio totale.

Quindi: perché i licenziamenti vengono annunciati?
Non è certo per farsi voler bene. Sbandierare diecimila persone lasciate a casa non migliora l’immagine pubblica di un brand, non genera simpatia, e non rende nessuna azienda più umana.


E non sarebbe nemmeno difficile farlo nell’ombra: Amazon ha sedi ovunque. Potrebbero distribuire tagli consistenti in più paesi, a ondate, senza che nessuno riesca a tenere il conto in maniera precisa. Nessun giornalista ha il database globale del personale aggiornato in tempo reale.

Se allora scegliere la discrezione è possibile, perché preferire il megafono?

C’è un’altra domanda che nessuno si pone, e che invece è devastante nella sua semplicità: se annunciano i licenziamenti in gran pompa, perché non annunciano anche le assunzioni?

Perché non vediamo mai titoli del tipo: “Amazon assumerà 12.000 persone il prossimo anno”? Eppure deve succedere, altrimenti non avrebbero nessuno da licenziare qualche mese dopo.

La risposta è brutalmente semplice: azionariato diffuso. E dividendi.


Provo a spiegare la logica dei dividendi senza trasformarla in un rito misterico della finanza.

Un’azienda, alla fine dell’anno, chiude il bilancio. Da lì si parte con una serie di indicatori che raccontano quanto valore sta producendo. Il più citato — spesso a sproposito — è EBITDA, acronimo di Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization, cioè l’utile prima di interessi, tasse, svalutazioni e ammortamenti. Tradotto: è il numero che indica quanto il business “macina utili operativi”, ignorando tutto ciò che potrebbe sporcarne la bellezza contabile. È un numero comodo da mostrare agli investitori, perché sembra alto e solido — ma non sono soldi reali in cassa.

Poi si passa all’EBIT, Earnings Before Interest and Taxes. Qui entrano in gioco gli ammortamenti e le svalutazioni. È più aderente alla realtà, ma mancano ancora elementi importanti.

Arriviamo finalmente al punto che interessa davvero: l’EBT, Earnings Before Taxes.
Questo è ciò che rimane dopo aver pagato tutto, tranne le tasse: costi operativi, interessi sui debiti, investimenti precedenti (ammortamenti). Qui sì che parliamo di cassa autentica, la parte che l’azienda può effettivamente usare.

Quando l’azienda paga le tasse su quell’importo, ciò che rimane è l’utile netto (net income). A quel punto le strade sono due:

  1. reinvestire nell’azienda (ricerca, macchinari, assunzioni, nuove sedi);
  2. distribuirlo agli azionisti sotto forma di dividendo.

Ed è qui che la teoria svanisce e arriva la realtà nuda e cruda:
se, dopo investimenti e piani di crescita, rimangono ancora soldi, gli azionisti li reclamano.

Un dividendo è semplicemente questo:

denaro contante consegnato agli azionisti in proporzione alle azioni che possiedono.

Non riconoscimenti simbolici: cash.

E non solo: spesso, quando un’azienda annuncia che pagherà dividendi, il valore delle azioni aumenta, perché il mercato interpreta l’annuncio come un segnale di solidità e di abbondanza di cassa.


Immaginiamo di essere alla fine dell’anno fiscale, poco prima dell’ultimo trimestre. Tutti i costi — stipendi inclusi — sono già stati messi a bilancio nell’anno precedente, quando il budget è stato approvato. In quel momento, ogni voce ha una destinazione: personale, investimenti, fornitori, marketing, ecc.

Ora, cosa succede se licenziamo qualche migliaio di persone a questo punto dell’anno?

Succede una cosa molto semplice:
i soldi stanziati a budget per gli stipendi non vengono più spesi.

Da un punto di vista finanziario, questo significa una sola cosa:

rimane più cassa disponibile.

E se rimane più cassa, aumentano le probabilità che l’azienda possa distribuirla agli azionisti sotto forma di dividendo.

Non è magia, non è “merito della IA”, non è “potenza dell’automazione”.
È aritmetica. Spietata.

Gli stipendi erano una spesa prevista.
I dipendenti vengono tagliati.
La spesa sparisce.
La cassa resta lì.

Quella cassa in più non viene usata per assumere altre persone o per migliorare le condizioni dei dipendenti rimasti. Il messaggio agli azionisti è questo:

“Abbiamo tagliato costi fissi, quindi l’utile netto sarà più alto.”

Cosa significa per gli azionisti?

  • più cassa → più dividendo potenziale;
  • dividendi attesi → meno probabilità che vendano le azioni;
  • meno vendite di azioni → il prezzo dell’azione resta alto (o sale).

Anzi, spesso succede l’opposto:

l’annuncio dei licenziamenti genera un mini rally del titolo,
perché gli investitori iniziano a comprare in vista del dividendo.

È tutto qui.
Nessun mistero tecnologico.
Nessuna intelligenza artificiale che “ruba i posti”.

Solo un meccanismo brutale e antico: tagliare persone per aumentare il ritorno degli azionisti.

La IA viene usata come scusa narrativa, un parafulmine comodo.
Serve a far sembrare inevitabile ciò che è semplicemente conveniente.


Per questo e' importante annunciare alla stampa i licenziamenti, mentre quasi mai si sbandierano le assunzioni. Perche' si sta dicendo al mondo delle borse "venite a comprare le nostre azioni, presto pagheremo dei dividendi".

Per arrivarci, bastava porsi le domande giuste:

  • "perche' questi licenziamenti vengono annunciati, quando potevano essere fatti in sordina, annunciando magari una riorganizzazione, ma senza menzionare licenziamenti?"
  • "e perche' ogni volta che si annunciano licenziamenti, che sono di solito un sintomo di difficolta', le azioni fanno un balzo IN ALTO?"

Questa e' la ragione: l'annuncio di licenziamenti "profuma" di dividendi, pur mascherato da comunicazione sociale, e pur senza parlare di dividendi.

Tutto qui.