"Le democrazie in crisi".
Di tutti i discorsi millennaristi che ho sentito, uno di quelli piu' noiosi sono quelli della fine della democrazia. E la fine della democrazia avverrebbe sempre, secondo le cassandre, perche' sarebbe il concetto di democrazia ad andare in crisi. Ma se osserviamo l'implementazione, per esempio in Italia, notiamo una cosa.
Notiamo cioe' che l'implementazione e' cosi' assurda che alla fine, sul piano elettorale, l'Italia e' apparentemente una democrazia , ma la legge elettorale, cioe' l'implementazione, non ne fanno una reale democrazia, se per democrazia intendiamo che al governo ci va la maggioranza di elettori.
In poche parole, uno non vale uno, nemmeno al momento del voto. Vi sembra strano? Usiamo i numeri per capire.
Allora andiamo dritti al punto: chiediamoci quale sia il minimo assoluto di voti popolari per ottenere la maggioranza parlamentare, cioè “andare al potere”, la risposta non è intuitiva — ma possiamo calcolarla logicamente.
Il sistema elettorale in vigore in Italia si chiama "Rosatellum bis". Qualsiasi sia il motivo per dare ad una legge un nome in latino maccheronico.
🔹 Premessa
Con il Rosatellum bis:
- 37% dei seggi → collegi uninominali: vince chi prende un voto in più.
- 61% dei seggi → proporzionale, con soglia al 3%.
Il governo si forma se una coalizione o un partito ottiene >50% dei seggi in Parlamento (non dei voti).
🔹 Ragionamento
Nei collegi uninominali, basta vincere con un solo voto in più rispetto agli altri candidati.
Se in ogni collegio votassero 100 persone e ci fossero tre candidati:
Candidato | Voti | % |
---|---|---|
A | 34 | 34% |
B | 33 | 33% |
C | 33 | 33% |
Il candidato A vince il seggio pur avendo solo il 34% dei voti nel collegio.
🔹 Scenario estremo (ma possibile)
Immaginate che la coalizione X:
- vinca tutti i collegi uninominali (cioè il 37% dei seggi) con un solo voto in più, e
- superi appena la soglia di 3% nazionale per entrare nel proporzionale.
Allora, grazie agli uninominali, avrebbe 37% + una quota proporzionale, cioè oltre metà dei seggi.
🔹 Calcolo del minimo teorico
Supponiamo:
- affluenza 100%.
- in ogni collegio, la coalizione vincente prenda appena un voto in più rispetto agli altri (diciamo 34% in media).
- su scala nazionale, la media ponderata di voti totali si abbassa, perché vince “di misura” nei collegi ma perde altrove.
In teoria, la coalizione potrebbe ottenere la maggioranza dei seggi con tra il 25% e il 30% dei voti nazionali.
Ma possiamo spingerci ancora oltre.
🔹 Caso limite assoluto (puramente teorico)
Se:
- nei collegi uninominali ci sono molti candidati (5–6),
- e la coalizione vincente prevale sempre di un voto (es. 18% contro 17,9% contro 17,8% ecc.),
- e supera la soglia del 3% nazionale,
allora il minimo matematico assoluto per ottenere la maggioranza dei seggi diventa:
⚠️ ≈ 18–20% dei voti nazionali.
🔹 Conclusione secca
Tipo di scenario | % voti popolari necessari per governare |
---|---|
Realistico (3 blocchi principali) | 35–40% |
Competizione fortemente frammentata (4–5 blocchi) | 25–30% |
Estremo teorico (6+ blocchi, vittorie minime ovunque) | ≈18–20% |
Questo spiega come mai il governo attuale sia al potere con il 22% dei voti reali, e spiega anche il fatto che molti, non avendo fatto il calcoletto, non capiscono cosa stia succedendo e si sentono presi in giro, smettendo di votare.
In Italia oggi, una coalizione potrebbe teoricamente governare con appena il 18–20% dei voti popolari, se il resto dell’elettorato si dividesse in mille rivoli.
È un paradosso perfettamente legale del sistema “misto maggioritario”, che non assicura proporzionalità né rappresentanza, ma solo vincitori per differenza minima.
Ed eccovi le ragioni della vostra "crisi della democrazia" : la sua implementazione, cioe' la legge elettorale, consente ad un partito di vincere col 18% dei voti, nell'ipotesi peggiore.
Ad essere in crisi, quindi, non e' la democrazia: sono i sistemi elettorali.
Non potete aspettarvi i benefici di una democrazia, cioe' scelte condivise , pensiero sociale, partiti che rispondono al sentimento del paese, se alla fine dei conti fate votare le persone con un sistema elettorale che consente ad un furbo, formando tanti partiti e alleandosi, di vincere col 18% (teorico) , ma nella realta' attuale con il 22%.
Andiamo a vedere, senza la lente del sistema elettorale, cosa sia successo DAVVERO alle scorse elezioni in Italia.
Partito / Lista | Voti assoluti | % su elettori totali |
---|---|---|
Fratelli d’Italia | 7 301 303 | 15,84 % |
Partito Democratico – Italia Democratica e Progressista | 5 348 676 | 11,60 % |
Movimento 5 Stelle | 4 335 494 | 9,40 % |
Lega per Salvini Premier | 2 470 318 | 5,36 % |
Forza Italia | 2 279 266 | 4,94 % |
Azione – Italia Viva | 2 186 505 | 4,74 % |
Alleanza Verdi e Sinistra | 1 021 808 | 2,22 % |
+Europa | 796 057 | 1,73 % |
Italexit | 534 950 | 1,16 % |
Unione Popolare | 403 149 | 0,87 % |
Italia Sovrana e Popolare | 348 831 | 0,76 % |
Noi Moderati | 254 127 | 0,55 % |
Sud chiama Nord | 212 954 | 0,46 % |
Vita | 201 737 | 0,44 % |
SVP – PATT | 117 032 | 0,25 % |
Noi di Centro – Europeisti | 46 230 | 0,10 % |
Partito Comunista Italiano | 24 549 | 0,05 % |
Partito Animalista – UCDL – 10 Volte Meglio | 21 451 | 0,05 % |
Alternativa per l’Italia (PdF – Exit) | 17 137 | 0,04 % |
Partito della Follia Creativa | 1 419 | 0,00 % |
Free | 829 | 0,00 % |
Forza del Popolo | 819 | 0,00 % |
Il governo in carica (Governo Meloni) è sostenuto da una coalizione di centrodestra composta da:
- Fratelli d’Italia (FdI)
- Lega per Salvini Premier
- Forza Italia
- Noi Moderati
Partito | Voti | % su ELETTORI totali (46.120.143) |
---|---|---|
Fratelli d’Italia | 7.301.303 | 15,84 % |
Lega | 2.470.318 | 5,36 % |
Forza Italia | 2.279.266 | 4,94 % |
Noi Moderati | 254.127 | 0,55 % |
Totale coalizione di governo | 12.305.014 | 26,69 % |
Quindi, il governo attuale governa con il 26,69% del consenso da parte della popolazione.
In prospettiva storica
- Governo Meloni: 26,7% degli elettori → maggioranza assoluta dei seggi.
- Governo Renzi (2014, subentro): 29% PD alle europee 2014, ma senza elezioni politiche dirette.
- Governo Berlusconi (2008): coalizione al 37% degli elettori.
- Governo Prodi (2006): centrosinistra ~32% degli elettori.
Il 26,7% è dunque il livello più basso di consenso popolare diretto per un governo con piena maggioranza parlamentare nella storia repubblicana recente.
Ora, io lo so cosa state per dire. State per dire che non dovrei contare l'intero corpo elettorale, ma solo quelli che sono andati a votare. La mia domanda e': e perche' mai?
Stiamo parlando di consenso. Le persone di cui parliamo sono persone reali, che incrociate per la strada, che lavorano con voi, insomma, sono gli italiani. Che vadano a votare o meno e' un problema che non riguarda il consenso, a meno di fare ore ed ore di filosofia per spiegare il fenomeno.
Non si puo' accettare l'esclusione di un elettore dalla gara, solo perche' non si sente rappresentato da nessun partito: il problema, semmai e' che non ci sono partiti che lo rappresentano.
Il mito del consenso che non c’è
Lo so già cosa state per dire.
Direte che non si può calcolare il consenso di un governo sul totale del corpo elettorale, ma solo sui votanti effettivi. È la frase che ogni analista, ogni commentatore e ogni burocrate ripete come un mantra: “il consenso va misurato tra chi ha espresso un voto”.
Ma perché mai?
Se stiamo parlando di consenso, stiamo parlando di persone reali: cittadini che incontriamo per strada, che lavorano accanto a noi, che abitano nello stesso Paese. Non c’è alcuna ragione logica per escludere dal calcolo chi non è andato a votare.
Chi si astiene non smette di esistere, e la sua assenza non è un errore statistico: è un sintomo politico. È la manifestazione più evidente di un sistema che non rappresenta più nessuno.
Il problema, dunque, non è l’astensione.
Il problema è che i partiti non hanno più consenso, ma continuano a governare grazie a formule elettorali che moltiplicano artificialmente il loro peso.
Oggi in Italia governa una coalizione che raccoglie meno di un terzo del corpo elettorale, ma possiede quasi il 60% dei seggi in Parlamento.
E tutti sembrano considerarlo normale.
La verità è che abbiamo trasformato la parola “consenso” in una formula amministrativa: un numero di voti, conteggiato solo tra chi ancora crede che serva a qualcosa.
Ma la democrazia non è nata per rappresentare i voti.
La democrazia è nata per rappresentare le persone — tutte.
E chi non si riconosce in nessuna proposta politica non è un errore del sistema: è la misura del suo fallimento.
Provate a immaginare una piccola modifica alla legge elettorale.
Immaginate che i seggi vengano assegnati in proporzione ai voti sul totale degli elettori, non solo sui votanti.
In quel caso, alle ultime elezioni italiane non sarebbe stato possibile formare un governo.
Non perché l’affluenza fosse bassa, ma perché non esisteva un consenso maggioritario nel Paese.
Ecco la verità che nessuno vuole dire: la democrazia italiana non soffre di astensione, soffre di vuoto di rappresentanza.
E finché continueremo a fingere che chi non vota non conti, continueremo a eleggere governi senza consenso — e a chiamarli, con una certa ipocrisia, “democratici”.
Il consenso rubato
Come se ne esce da questo paradosso?
Semplice: costringendo i partiti a occuparsi dell’astensione.
Perché finché chi non vota resta politicamente irrilevante, non esisterà alcun incentivo reale a rappresentarlo.
Ci sono molti modi per farlo.
Prendiamo l’esempio attuale: il governo gode di un consenso reale che sfiora appena il 27% del corpo elettorale. Bene — se proprio lo si vuole far governare, allora si assegni un seggio anche agli astenuti.
Si prenda un tizio qualunque, un rappresentante del nulla, e lo si mandi in Parlamento con il diritto di votare per conto di chi non vota.
Propongo Ivo Balboni, pensionato di Cesena e proprietario di Internet.
Oppure, più pragmaticamente, si lanci una monetina ogni volta che occorre registrare il voto del partito dell’astensione.
Paradossi a parte, basterebbe introdurre in Costituzione un principio elementare:
Al governo ci deve andare il consenso, non semplicemente il voto.
Per governare, in un modo o nell’altro, occorre avere la maggioranza dei consensi, non la maggioranza dei voti espressi.
Questo costringerebbe i partiti a tornare a fare politica sul serio: a parlare al Paese, non al proprio zoccolo duro; a cercare il consenso, non il calcolo.
Se il sistema elettorale fosse costruito su questo principio — la maggioranza dei consensi — le ultime elezioni sarebbero state annullate.
Semplicemente perché nessuna coalizione aveva davvero il consenso della maggioranza degli italiani.
E, nel ripeterle, i partiti avrebbero dovuto occuparsi di come conquistarlo.
Invece l’astensione non viene trattata come un problema politico, ma come una variabile statistica.
I partiti sanno benissimo che gli astenuti, non votando, si astengono anche dal votare l’avversario. E quindi, tutto sommato, va bene così.
Non è la democrazia ad essere in crisi.
Ad essere in crisi sono i sistemi elettorali surreali, astratti dalla realtà, che falsano la percezione del consenso.
Avete mai sentito dire che “le elezioni hanno dimostrato che l’Italia è di destra”?
O che “il Paese è di sinistra”, o “di centro”?
È un errore concettuale: confonde il voto con il consenso.
Il consenso è un’opinione, e riguarda ogni singolo elettore — anche chi decide di non votare.Il voto, invece, è solo l’atto formale di una minoranza che ancora crede che serva a qualcosa.
Perciò l’esito delle elezioni non rappresenta mai il consenso: rappresenta soltanto il voto.
E oggi, in Italia, la distanza tra voto e consenso è diventata abissale.
E non solo in Italia.