Le AI che ti spogliano.

Le AI che ti spogliano.
Photo by Ben Hershey / Unsplash

Esiste una sola cosa che davvero mi affascina della cultura economica americana: la capacità di arrivare alla radice di tutto. Loro non si perdono in giri di parole né in premesse accademiche. Individuano l’essenza di un prodotto, lo spogliano di ogni romanticismo, e poi — senza esitazione — lo trasformano in un oggetto industrializzato, replicabile all’infinito, ottimizzato fino all’ossessione.

Non è genialità: è chirurgia economica.
E il talento sta tutto lì.

Prendiamo un esempio banale: i giornali di gossip.


— Che cosa vendono, esattamente?

Interessante, vero?
Potete chiamare tutto questo in mille modi diversi. Potete tirare fuori la “fashion haute couture”, potete evocare la parola “concept” con la stessa nonchalance con cui si dice “passami il sale”, oppure potete imbastire il solito sermone sul fatto che una donna si veste come vuole, libertà di espressione, empowerment, e tutta quella liturgia rituale che accompagna ogni outfit composto da mezzo metro quadrato di stoffa.

Ma c’è un dettaglio.
Un dettaglio che ammazza la poesia.

Queste foto finiscono online. Non nel vuoto, non sospese nell’etere: finiscono in un sistema che analizza, cataloga e interpreta tutto. E se prendete una qualunque intelligenza artificiale — fredda, algoritmica, senza ideologia — e le chiedete: “Che cosa stanno vendendo queste riviste?”, la risposta è disarmante nella sua semplicità.

Stanno vendendo superficie epidermica.
Centimetri di pelle attorno al seno, al pube e al sedere. Quello è il prodotto. Tutto il resto — empowerment, arte concettuale, haute couture — è la salsa di marketing versata sopra per non farci sentire degli scimmioni che guardano carne.

Non vendono moda.
Non vendono cultura.


Vendono l’accesso visivo al corpo, confezionato in modo da sembrarti sofisticato mentre fai esattamente ciò che farebbe un adolescente in piena tempesta ormonale: guardare.

Vendono la visione di centimetri di pelle attorno al seno, al pube e al sedere. Quello e' il prodotto.


Ora, apparteniamo a una generazione che si è fatta le ossa con Postalmarket.
Abbiamo passato l’adolescenza a sfogliare pagine di intimo fotografate con l’estetica di una brochure per centrali elettriche, e nonostante questo… funzionava. Eccome se funzionava.

Quindi non raccontiamoci storie.

Possiamo tirare in ballo tutta la sociologia del pianeta, possiamo agitarci tra Foucault, empowerment, liberazione del corpo e la haute couture — con la pronuncia nasale e tutto il corredo snob — ma la meccanica è sempre quella. È identica.
È rimasta la stessa da quando Internet era a 56k e i cataloghi arrivavano per posta in busta plastificata.

In quel mercato si vendono due cose:

  1. Superfici
  2. Volumi

Traduzione dal marketing alla realtà concreta:

— scollature, tette e culi.

È matematica: centimetri quadrati di pelle esposta × curve ben illuminate.
Il resto — il concetto, il “messaggio”, il femminismo prêt-à-porter — serve solo a far finta che stiamo osservando arte invece di fare ciò che qualunque cervello maschile fa da 300.000 anni: guardare e apprezzare nudita' femminili.

Il prodotto è quello.
Sempre stato quello.


Postalmarket, tabloid, Instagram, red carpet “in haute couture”: solo evoluzioni della stessa industria, con un gloss diverso (gloss: pun intended).

Se vogliamo metterla sul piano sociologico — o metafisico, o intellettuale — possiamo tirarla avanti per giorni. Possiamo parlare di corpo come linguaggio, di autodeterminazione, di sguardo maschile, di liberazione femminile. Tutto giusto, tutto affascinante.

Ma se la quantifichiamo, la verità è brutale.

La differenza è il 5%.

Nella foto originale e in quella generata dall’AI, il prodotto è lo stesso:
la rappresentazione visiva del corpo della persona ritrattata.

Non è “il corpo” in astratto — è la superficie visibile.
Entrambe le immagini vendono la stessa cosa: centimetri di pelle.
Solo che una ne mostra di più.

Perché qui non stiamo parlando di identità, arte o messaggio politico.
Parliamo di centimetri quadrati di epidermide esposta in zone che generano interesse (e clic).

E allora qual è la differenza economica tra la prima foto e la seconda?

La quantità di pelle visibile.
Stimata: circa il 5%.

E non è solo questione di quantità, ma di qualità dei centimetri mostrati.
Alcune zone del corpo — per pura biologia e marketing emozionale — valgono di più. Capezzoli e pube hanno un valore dopaminico più alto di una scollatura. Per alcuni, il doppio. Facciamo pure il triplo.

Se assumiamo che quelle aree valgano tre volte tanto rispetto alla pelle “non strategica”, il delta economico complessivo non è più il 5%.

Diventa il 15%.


Ed eccoci al centro del problema:

la nudità femminile ha un valore economico.

E non si tratta solo di “mercato" .


È riduttivo pensare che il valore si esaurisca nella moneta.
Quel valore può essere convertito in status, potere, controllo sociale, accesso a risorse, attenzioni, visibilità. È una valuta multiuso.

In alcune culture lo danno per scontato da millenni:
se un uomo vuole sposare una donna, deve pagare una cifra alla famiglia.
Perché? Perché solo il marito avrà il diritto di vederla nuda.
La nudità è un bene privato, un asset che cambia di proprietario.

Altrove, lo stesso principio si presenta in forma capitalistica, lucidata e digitale.
Il corpo nudo — o semi-nudo — diventa un flusso di cassa.

Ci sono vari livelli del mercato:

  • il livello hard: pornografia, strip club, sesso a pagamento;
  • il livello mid: peep show digitali, OnlyFans, piattaforme a pagamento;
  • e il livello soft: Instagram, TikTok, tutto quel glamour patinato dove la pelle viene mostrata “non troppo” ma abbastanza da generare monetizzazione indiretta: sponsor, visibilità, brand.

È lo stesso meccanismo, con packaging diverso.
È sempre: valorizzazione economica della pelle.

Ogni centimetro di epidermide è una moneta.
Ogni curva è un asset.
Ogni foto è un micro-investimento.


E qui, andiamo ad una versione ancora piu' sintetica:

la nudita' femminile e' UN REDDITO.

Ed e' un reddito che proviene da un mercato, un mercato che e' segmentato in tre livelli.

  • il livello hard: pornografia, strip club, sesso a pagamento;
  • il livello mid: peep show digitali, OnlyFans, piattaforme a pagamento;
  • e il livello soft: Instagram, TikTok, tutto quel glamour patinato dove la pelle viene mostrata “non troppo” ma abbastanza da generare monetizzazione indiretta: sponsor, visibilità, brand.

Torniamo quindi alla "denuncia" della Lucarelli.

Che differenza vediamo, dopo tutto quello che abbiamo detto, tra le due immagini?
(Immaginatele senza le bande nere.)

La prima fotografia

È perfettamente inserita nel mercato soft: quello di Instagram, TikTok e dell’influencing da passerella digitale.
È fatta per essere pubblicabile, condivisibile, monetizzabile.

In quel mondo, la pelle non si mostra tutta: si mostra quel tanto che basta per generare attenzione, engagement, visualizzazioni, contatti con brand, sponsorizzazioni.
È economia dell’algoritmo.

Se la foto è della Lucarelli (o di chiunque abbia un seguito), quella foto produce reddito per lei:
visualizzazioni → impression → denaro.
È un asset.

La seconda fotografia

La versione “spogliata” dalla AI si sposta in un altro settore: il mercato mid.

Non è abbastanza esplicita per la pornografia professionale, ma è troppo esplicita per il sistema soft dei social mainstream.
Instagram quella foto non la pubblica, punto.

Qui avviene il cortocircuito economico:

  • la foto mostra di più,
  • ma vale meno per chi è ritratta,
  • perché non può essere monetizzata da lei,
  • e soprattutto non è lei ad averla prodotta.

La nudità diventa bene economico che genera profitto…
ma per qualcun altro.


E qui arriviamo alla conclusione.

Essendo del settore, posso permettermi una previsione molto semplice — e molto spiacevole per chi oggi “vive” del proprio corpo online.

Al ritmo attuale di evoluzione delle GPU e dei modelli open-source per la generazione di immagini e video, non stiamo andando verso un futuro in cui l’AI può creare corpi nudi. Ci siamo già.
Il punto è che tra due o tre anni lo farà meglio e in automatico.

Con una singola foto di una persona, sarà possibile generare:

  • filmati porno da 10–12 minuti, credibili (mercato hard),
  • shooting fotografici completi in tutte le pose, outfit e situazioni (mercato mid),
  • foto fake “soft”, in bikini o in outfit da influencer (mercato soft).

Il soft è già coperto oggi.


Il mid — i fake realistici — è quello che sta facendo esplodere le polemiche attuali.
All’hard ci stiamo avvicinando a passo di carica: oggi si producono già brevi clip deepfake, e in molti casi bisogna guardarle due volte per capire che non sono reali.

Ancora due o tre anni, e nessuno sarà più in grado di distinguere.

E quando video porno fotorealistici saranno generabili da un qualsiasi PC di casa, basterà il volto per generare tutto il resto.

A quel punto il mercato del porno — e qualunque economia basata sull’esposizione del corpo — non avrà più bisogno di attrici o modelle.


Presto il nudo femminile non sarà più un reddito.

Lo vedo ogni giorno: il porno generato dall’AI sta esplodendo su tutti i principali siti.
La debolezza, oggi, è evidente: i video sono brevi, spesso senza trama, e si nota ancora che le attrici non sono reali. Ma i progressi mese dopo mese sono mostruosi. Se guardi un video fatto sei mesi fa e uno fatto la settimana scorsa, sembra di confrontare la pittura rupestre con il rendering in Unreal Engine.

La traiettoria è chiara e non serve essere visionari:

— presto il cinema porno non avrà più bisogno né di attori né di attrici;
— OnlyFans potrà funzionare solo con automatismi, avatar e bot.

E arriva il punto di non ritorno:

Quando non sarai più in grado di capire se l’attrice dei tuoi sogni esista davvero oppure no, il discorso è chiuso.

(Lo stesso vale per gli attori maschi. Questo non è un discorso di genere: è un discorso di tecnologia.)

Poi succederà quello che è sempre successo nella storia della tecnologia:
lo spostamento verso l’alto della catena del valore.

Prima il porno.
Poi la TV (presentatori artificiali, zero cachet, zero ego, zero ferie).
Infine il cinema: attrici inesistenti con agency perfetta, zero scandali, zero clausole, zero limiti biologici.

E arriveremo a un mondo dove:

nessuno saprà più dire se la propria “attrice preferita” sia reale o digitale.

Ed è inevitabile.
Perché il mercato preferisce sempre ciò che costa meno e rende di più.

Lo dico senza romanticismo:
se una GPU lavora 24 ore su 24 e genera contenuti infiniti senza capricci, senza avvocati, senza contratti, l’industria la sceglierà.

A quel punto, la nudità — che oggi viene venduta come bene scarso — diventerà prodotto abbondante.
E quando qualcosa diventa abbondante, non ha più valore economico.

La maggior parte del resto… è sostituibile.E sarebbe ora, a parte Gwendoline Christie di cui sono un fan perche' puo' fare cose come questa(link), il resto fa pena.


Capisco il loro terrore.

Sta finendo l’epoca in cui avere un corpo fotografabile equivaleva ad avere un reddito.

Quando il valore economico di una persona era proporzionale alla quantità di pelle che decideva di mostrare.

E adesso salta fuori la parola magica:
“consenso”.

Come se il consenso potesse controllare l’immaginazione umana.

Torniamo a un esempio storico molto semplice: i cataloghi cartacei di lingerie e costumi degli anni ’80 e ’90. Postalmarket. Quelle pagine passavano di mano in mano(pun intended), venivano osservate, desiderate, reinterpretate mentalmente. Sul giornale le modelle non erano nude, non facevano nulla di esplicito. Erano vestite, posavano per un catalogo commerciale, nulla più.

Ma nella mente degli adolescenti che guardavano, succedeva di tutto.

Ma — e qui sta il punto fondamentale — non puoi controllare ciò che accade nella mente di chi guarda.

Shannon ce lo ha spiegato molto prima che internet esistesse:

Il significato del segnale non è nella sorgente, ma nel ricevente.

La fotografia mostra un corpo in lingerie.
La mente di chi guarda può trasformarlo in qualunque narrazione voglia.

E non c’è legge, né “consenso”, né policy Instagram che possa impedire la fantasia.

Ora poniamoci la domanda. La modella qui sotto.

Che veniva spogliata coinvolta nelle storie piu' pazzesche nella mente dell'adolescente, era consenziente? Mah.

Il punto è semplice, e nessuna legge potrà mai cambiarlo:

non puoi impedire a qualcuno di immaginare una donna nuda.

È impossibile.
Non puoi legiferare sulla fantasia, non puoi mettere un vigile urbano nella corteccia prefrontale delle persone. Puoi proibire la diffusione di un contenuto, ma non puoi proibire il pensiero.

Succede da sempre.

Le modelle di intimo del Postalmarket — che milioni di italiani hanno usato come surrogato erotico adolescenziale — sapevano che quelle immagini finivano anche a scopo onanistico?
Non lo so, e all’epoca nessuno aveva interesse a discuterne.
Era così e basta.

E non c'era modo di impedirlo.
A meno di voler creare una psicopolizia che entri nei pensieri della gente.

Le AI non hanno inventato nulla.
Hanno solo eliminato la fatica.

Prima serviva sfogliare un catalogo.
Ora basta una GPU e una foto trovata su Instagram.

Tutto qui.
La tecnologia non cambia il comportamento umano: lo accelera.

Per questo non esiste una legge che fermerà il deepnude, il deepfake o qualsiasi altra generazione erotica del corpo altrui.
Puoi impedirne la pubblicazione, punirne l’abuso, ma non puoi vietare l’immaginazione.

E qui arriva l’impatto finale:

L’asteroide sta arrivando, care signore.

Quando il nudo non sarà più scarso, non sarà più monetizzabile.
Quando potremo generare infinite donne virtuali, infinite nudità, infinite pose, senza chiedere nulla a nessuno, il valore economico del “mostrare la pelle” crollerà a zero.

E allora si chiude il cerchio:

Presto, care signore, di voi vorrà un reddito, dovrà fare come fanno gli uomini da sempre.

Trovare un lavoro.

Non vendere centimetri quadrati di pelle.
Non vendere dopamina in cambio di attenzione.

Lavoro vero.

Benvenute nell’era post-nudo.

La fine del privilegio di avere un reddito perche' hai una pelle.