La Nemesi.
Stamattina mi sono imbattuto nel gruppo Nemesi, proprio mentre preparavo una Sacher per celebrare la vittoria dell’Austria all'ESC (grande prova del controtenore, lo avevo messo al primo posto sin da subito).
Scorrendo qua e là tra articoli e interviste, ho iniziato a intravedere non solo la matrice politica del progetto, ma anche – e soprattutto – il motivo per cui tutte le politiche di integrazione dei migranti sono miseramente naufragate, persino in Paesi apparentemente modello come la Svezia.
Il primo elemento da mettere sul tavolo è che l’operazione, sul piano politico, è chiaramente di matrice salviniana, o analoga.
Nel senso peggiore del termine: si porta dietro quarant’anni di complesso di inferiorità verso la sinistra, e il risultato è che, ogni volta che aprono bocca, anziché articolare le proprie ragioni, si limitano ad attaccare le femministe di sinistra.
Il meccanismo funzionerà – questo è certo – ma non per la forza delle idee: funzionerà per semplice riflesso condizionato, per l’irritazione che l’ultima ondata di femminismo genera ormai in ampie fasce della popolazione.
Del resto, è lo stesso principio che ha portato al successo Trump e altri leader populisti: non vincono perché convincono, ma perché a molti piace vedere umiliata e sconfitta la sinistra. Stanno cioe' monetizzando l'antipatia suscitata dal mondo delle sinistre.
Quanto al programma politico, siamo all’evanescenza.
Funzionerebbe forse in un paese perfetto, dove la sinistra sia davvero il problema più grave da affrontare. Ma in qualsiasi altro contesto – cioè ovunque – si traduce in un governo pessimo che ottiene consensi solo per effetto di repulsione.
Le poche volte in cui esprimono una posizione politica concreta – cioè quando avanzano richieste specifiche al governo – si intravede il vero pericolo.
Perché lì toccano un nervo scoperto: individuano correttamente la vera ragione per cui le politiche migratorie, ovunque, sono fallite.
E su questo va detta una verità scomoda ma ineludibile:
non esiste alcun vento di destra che si sta abbattendo sull’Occidente.
Quello che esiste, invece, sono ondate di migrazione illegale che hanno investito quasi tutti i paesi europei, e ogni volta – ogni singola volta – la risposta dell’elettorato è stata uno spostamento a destra.
Non per ideologia. Ma per reazione.
Ma se davvero vogliamo parlare del fallimento delle politiche migratorie – fallimento che rende così potente e immediata l’affermazione “il primo pericolo per le donne sono gli immigrati” – dobbiamo fare uno sforzo in più. Dobbiamo chiederci perché sono fallite. E, soprattutto, dobbiamo affidarci ai dati, non agli slogan.
Perché se la risposta alla violenza è “colpa degli immigrati”, allora la domanda che dobbiamo porci è:
perché lo Stato non è stato in grado di gestire l’immigrazione legale e di prevenire quella illegale?
E se ogni volta che si parla di integrazione finiamo col discutere di criminalità, la vera questione è:
quale integrazione è stata tentata, con quali strumenti, e con quali risultati concreti?
Senza numeri, tutto questo resta fuffa ideologica. Ma i numeri, purtroppo, parlano chiaro.
Prendiamo ad esempio la Germania, dove la dinamica è chiarissima. Prima del 2015, il numero di stupri registrati ogni anno si aggirava stabilmente tra i 7.000 e gli 8.000 casi.
Poi arriva il 2015, l’anno dell’apertura delle frontiere: oltre un milione e mezzo di siriani e altri migranti accolti in pochi mesi. E nel 2016, secondo i dati ufficiali del Bundeskriminalamt, i casi di stupro salgono a circa 10.000.
Sulla carta l’aumento può sembrare contenuto, ma basta guardare più da vicino per capire quanto sia fuorviante questo approccio:
In termini assoluti, stiamo parlando di un incremento del 40-50% in un solo anno. In una società avanzata, dove il crimine sessuale è statisticamente raro, è un’impennata colossale.
In termini proporzionali, se si guarda all’incidenza sulla popolazione migrante, emerge qualcosa di ancora più significativo:
è sufficiente che una minuscola percentuale dei nuovi arrivati commetta reati sessuali per alterare drasticamente le statistiche nazionali.
E qui si trova il nocciolo del problema, e la chiave del fallimento strutturale delle politiche migratorie europee.
Parliamo di fallimento inevitabile, e quasi matematico.
Perché nelle società moderne, il tasso di criminalità grave – inclusi gli stupri – è molto basso.
Questo significa che basta l’arrivo di un gruppo con un’incidenza criminale anche solo leggermente superiore per produrre un impatto sproporzionato.
E se quel gruppo è ampio, giovane e composto in prevalenza da maschi, l’esito è praticamente scontato.
E, sia chiaro: qui parliamo solo di stupri, perché il contesto è quello del gruppo Nemesi e del loro focus sulla sicurezza femminile.
Non abbiamo nemmeno toccato altri reati – furti, rapine, aggressioni – dove la sproporzione, in molti casi, è persino più marcata.
Far funzionare una politica migratoria di massa è, semplicemente, statisticamente impossibile.
I paesi che ricevono i flussi migratori – Germania, Svezia, Francia, Italia – sono società sviluppate, caratterizzate da tassi di criminalità relativamente bassi e livelli di recidiva contenuti.
In sistemi così “sensibili”, l’introduzione anche di una minuscola quantità di devianza ha un effetto distorsivo enorme.
Facciamo un conto semplice:
su un milione di migranti, se anche solo uno su mille è un criminale recidivo – cioè responsabile di due o tre reati – stiamo parlando di 1.000 individui moltiplicati per più atti ciascuno.
E quel numero, da solo, è sufficiente a stravolgere le statistiche locali sui reati sessuali o violenti.
Non serve un'invasione. Basta una frazione.
Le politiche migratorie e di integrazione non possono funzionare.
E questo non lo diciamo per ideologia. Lo dice l’esperienza concreta. Nemmeno i paesi “maestri” del welfare – quelli scandinavi, che hanno investito miliardi in educazione, formazione e integrazione – sono riusciti a far funzionare queste politiche. Anzi: proprio loro oggi sono tra i più colpiti dallo spostamento politico a destra.
Ed è lì che nasce la forza delle cosiddette “femministe di destra”.
Perché sanno che le politiche migratorie attuali sono condannate al fallimento.
Sanno che chi dice il contrario genera fastidio, frustrazione e senso di pericolo.
E sanno soprattutto che la sinistra – troppo impegnata a non sembrare “razzista” – non sa come replicare.
Rimane in silenzio. O peggio: nega l’evidenza.
E ogni negazione, ogni minimizzazione, non fa che rafforzare la loro narrazione.
Un esempio lampante di come la discussione venga deviata è quando una donna che si lamenta dell’aumento degli stupri in seguito alla migrazione illegale riceve la risposta:
“Ma anche i connazionali stuprano.”
La mia domanda è semplice:
e in che modo questo giustifica un peggioramento della situazione?
Se prima c’erano solo i “connazionali” e si registravano 7.000 stupri all’anno, e oggi, con l’arrivo degli immigrati, si arriva a 10.000 casi, significa che la situazione è peggiorata significativamente.
Allora, a cosa serve ripetere ossessivamente che “anche i connazionali stuprano”? In che modo gli stupri commessi da cittadini autoctoni mitigano l’aggravarsi delle condizioni di sicurezza?
Solo accettando l’assurda idea che uno stupro commesso da un europeo possa “annullare” o “de-stuprare” una vittima di uno straniero, quella risposta avrebbe un senso.
Ma ovviamente, non è così.
Il punto è semplice e inoppugnabile:
l’arrivo massiccio di stranieri ha peggiorato il numero di reati sessuali.
Ricordare a qualcuno che “potrebbe anche stuprarti un tedesco” non fa altro che ignorare il problema concreto, e non migliora in alcun modo la percezione reale del rischio.
Il punto cruciale che rende oggi politicamente convincenti le “femministe di destra” è questo:
Quando una persona si rivolge a un politico dicendo “mi sento in pericolo”, e questo timore coincide con un effettivo aumento degli stupri, mettersi a discutere della struttura socioeconomica o psicologica della sua percezione è semplicemente stupido.
È un esercizio accademico del tutto fuori luogo.
È come se qualcuno chiamasse i pompieri gridando “c’è un incendio!”, e la centrale rispondesse con una dissertazione sul fatto che l’incendio sia reale o frutto di una percezione distorta:
“Guardi, innanzitutto il suo e' un campione statistico di un solo edificio. E questo lo rende poco rappresentativo. Ma se poi calcoliamo il chi-square.... “
Non funziona così.
Se qualcuno urla “al fuoco!”, tu mandi una camionetta. Punto.
Non ci si aspetta che chi chiama i vigili del fuoco sia un esperto di combustione, termodinamica o edilizia.
Ci si aspetta solo che segnali un pericolo. E quel segnale, lo si prende sul serio.
Allo stesso modo, non serve che le donne del gruppo Nemesi abbiano un dottorato in criminologia, sociologia o statistica. Se un gruppo di donne urla che oggi ci sono più stupri di ieri, e i dati lo confermano, il punto è chiuso: ci sono più stupri di ieri.
Qualcuno ha gridato “al fuoco”.
Tu, Stato, mandi la camionetta. Non discuti sul significato di “fuoco”.
E' semplice.
In questo senso, credo che le femministe del progetto Nemesis siano, in fondo, di scarso spessore.
Come accade quasi sempre con le formazioni di destra, non brillano né per profondità di pensiero né per visione politica strutturata.
Ma hanno una competenza straordinaria: sanno monetizzare ogni singolo errore ideologico dei loro avversari.
E poiché di errori ce ne sono a bizzeffe, le considero pericolose, in senso politico.
Non per ciò che propongono — perché in fondo non propongono quasi nulla — ma per ciò che riescono a ottenere semplicemente sfruttando l'imbecillita' di chi dovrebbe contrastarle.
Uriel Fanelli
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