La flottilla che porta la tortilla.

La flottilla che porta la tortilla.

Questo è un post che farà venire l’orticaria ai (((tifosi di Israele))). E, siccome conosco già il copione, conviene sbrigare subito le incombenze burocratiche: «Muuuuuhhhh la Shoah! Muuuuuuuh l’antisemitismo! Muuuuuhhh il sette ottobre 1543!». Bene, ora che il rituale piagnisteo è stato debitamente registrato, possiamo andare avanti.

Il punto è semplice: quando si parla di “blocco navale”, i giornali si trasformano in un teatrino di rumore bianco, incapace di spiegare cosa preveda davvero il diritto internazionale. Tocca quindi fare un po’ di chiarezza, perché qui non stiamo parlando di opinioni o di moralismi, ma di norme precise, scritte nero su bianco e applicate — male, beninteso — da oltre un secolo.


Cominciamo dall'inizio (yay!).

Nel diritto internazionale, un blocco navale non è una simpatica trovata di propaganda ma un atto di guerra vero e proprio. Lo dicono i manuali di diritto internazionale umanitario (DIU), lo ribadiscono le Convenzioni dell’Aia del 1907 (XIII Convenzione, art. 1: “Il diritto bellico si applica alle operazioni di mare”), e lo confermano le Convenzioni di Ginevra del 1949, che pongono il limite invalicabile della protezione dei civili. Non è materia da talk show: è scritto nero su bianco.

Il quadro attuale è stato messo in ordine dal San Remo Manual on International Law Applicable to Armed Conflicts at Sea del 1994, redatto da un gruppo di esperti e considerato oggi la prassi più autorevole. Per esempio:

  • Art. 102: “Il blocco non deve avere l’effetto di privare la popolazione civile di oggetti indispensabili alla sua sopravvivenza”. Tradotto: non puoi deliberatamente affamare un milione di persone e poi chiamarlo “misura difensiva”.
  • Art. 103: “Devono essere consentiti i soccorsi umanitari essenziali, soggetti al diritto della Potenza che impone il blocco di prescriverne le modalità tecniche, incluso il controllo”. Quindi sì, gli aiuti passano, ma l’autorità bloccatrice può aprire le scatole, contare i sacchi di riso e imporre il porto dove attraccare.
  • Art. 104: “Il rifiuto ingiustificato di autorizzare l’accesso dei soccorsi umanitari può costituire violazione del diritto internazionale”. Cioè: se blocchi il latte in polvere, poi non ti sorprendere se qualche giurista ti mette il timbro di crimine di guerra.

In altre parole, il DIU non è tenero: la fame della popolazione civile non può mai essere usata come arma di guerra (Convenzione di Ginevra IV, art. 54). Gli aiuti imparziali — cibo, acqua, medicine — devono poter transitare, a condizione che non siano una scusa per far passare armi.

D’altra parte, lo Stato che impone il blocco non è obbligato a fidarsi alla cieca: può ispezionare, scortare, dirottare verso porti stabiliti, e persino rifiutare il passaggio se ci sono “fondati motivi” per ritenere che i beni finiscano a usi militari. Ma la differenza tra un controllo legittimo e un embargo punitivo è sottile, e quando viene oltrepassata — come ricorda il Manuale di San Remo — la linea rossa diventa crimine di guerra.


Qual'e' la differenza tra lo spirito della legge e la lettera della legge?

Gli esempi storici, in questo senso, abbondano. Prendiamo il blocco navale durante la guerra Iran–Iraq (1980-1988): nel 1984 l’Iran dichiarò un blocco sulle navi dirette ai porti del Kuwait e dell’Arabia Saudita, accusati di sostenere Baghdad. Problema: il diritto internazionale non riconosceva affatto quel blocco come legittimo, perché Teheran non controllava di fatto le rotte e, soprattutto, il blocco colpiva indiscriminatamente i civili. Non a caso, gran parte della guerra navale venne poi chiamata “Tanker War”, con attacchi a petroliere civili e mine sparse a casaccio nel Golfo Persico. Risultato: la comunità internazionale bollò quel “blocco” come una serie di atti illegali di guerra marittima, e non mancò chi lo definì senza mezzi termini una campagna di terrorismo navale.

Altro esempio, ma in senso opposto: l’embargo sulle armi imposto alla Jugoslavia negli anni ’90 (Risoluzione ONU 713 del 25 settembre 1991). Qui la comunità internazionale fece esattamente il contrario: decise un embargo generalizzato sulle forniture militari a tutte le parti in conflitto. Non si trattava di un blocco navale in senso classico, ma di un divieto internazionale che, di fatto, bloccava il transito di armi. Risultato? Formalmente l’embargo era “imparziale”, ma nella realtà penalizzò soprattutto i bosniaci, che non avevano eserciti già ben forniti come i serbi. L’ONU, con l’aria di chi fa il neutrale, in pratica cristallizzò i rapporti di forza sul terreno. Giuridicamente era legittimo (perché deciso dal Consiglio di Sicurezza ai sensi del Capitolo VII della Carta ONU), ma politicamente fu un disastro: la norma che avrebbe dovuto “raffreddare” il conflitto finì per favorire l’aggressore più equipaggiato.

Questi due casi mostrano bene il punto: il diritto internazionale non è un codice astratto, ma un terreno di ipocrisie applicate. Quando l’Iran tentò di inventarsi un blocco unilaterale, il mondo lo bocciò come illegale. Quando fu l’ONU a inventarsi un embargo totale, l’etichetta di “legittimità” fu appiccicata senza fiatare, anche se sul campo a pagare furono i civili e le vittime dell’aggressione.


Arriviamo ora al piatto forte: il blocco navale israeliano su Gaza. Qui la distinzione tra la lettera della legge e lo spirito della legge diventa quasi un esercizio comico.

La lettera dice: Israele ha proclamato ufficialmente un blocco navale nel 2007, notificandolo ai sensi del diritto internazionale. Il Rapporto Palmer dell’ONU (2011) — quello che indagò sull’assalto alla Mavi Marmara — arrivò persino a dire che il blocco “è legittimo sotto il diritto internazionale di fronte alla minaccia posta da Hamas”. In altre parole: siccome c’è un conflitto armato e Hamas lancia razzi, Israele può legalmente impedire il transito di armi via mare.

Lo spirito della legge, però, è un’altra cosa. Il San Remo Manual e le Convenzioni di Ginevra stabiliscono chiaramente che un blocco non può mai avere come effetto l’affamare la popolazione civile o impedirle l’accesso a beni essenziali. Ora, chiamare “controllo militare” quello che da anni si traduce in restrizioni su cibo, cemento, carburante e perfino medicinali, è un insulto all’intelligenza. Lo sapevano bene i giuristi del Turkel Commission Report (2010), che a differenza del Palmer report sottolineavano come “le restrizioni imposte hanno avuto conseguenze umanitarie severe sulla popolazione civile”.

In pratica: letteralmente Israele si rifugia nella clausola “posso bloccare le armi per legittima difesa”. Spirito della legge: la norma è stata concepita per distinguere tra obiettivi militari e protezione dei civili, non per trasformare un milione e mezzo di persone in ostaggi a cielo aperto.

La flottiglia del 2010, con l’assalto armato alla Mavi Marmara e nove attivisti uccisi, mise in scena perfettamente questa schizofrenia: giuridicamente Israele disse “abbiamo applicato il blocco come previsto, le navi erano avvisate e le abbiamo deviate”. Ma moralmente, e secondo lo spirito delle stesse convenzioni, il messaggio fu chiaro: un blocco concepito per prevenire armi si era trasformato in un embargo totale mascherato da misura di sicurezza.

Il diritto internazionale, come sempre, viene piegato come un filo di ferro: la lettera è usata come scudo, lo spirito gettato alle ortiche.


Ma bene, ma che succede nello spazio tra spirito della legge e lettera della legge?

Cosa Israele può fare legalmente

(se il blocco è stato dichiarato ed è effettivo, come prescrive il diritto internazionale)

  1. Fermare e ispezionare le navi dirette a Gaza, anche in alto mare, se c’è un rischio concreto che trasportino armi o materiali militari (San Remo Manual, artt. 98-100) [¹].
  2. Dirottare le navi verso porti sotto il suo controllo, per verificare il carico o scaricare gli aiuti umanitari in condizioni di sicurezza (San Remo Manual, art. 103) [²].
  3. Imporre modalità tecniche per la consegna degli aiuti: stabilire dove devono attraccare, ispezionare i container, supervisionare la distribuzione (San Remo Manual, art. 103-104) [³].
  4. Usare la forza, ma solo se necessaria e proporzionata per fermare o salire a bordo di una nave che rifiuti l’ispezione (principio generale del DIU sulla necessità e proporzionalità) [⁴].

Cosa Israele non può fare legalmente

(anche se il blocco è dichiarato e formalmente valido)

  1. Affamare la popolazione civile: il blocco non può avere l’effetto di privare i civili di beni indispensabili alla sopravvivenza (cibo, acqua, medicine). Farlo equivale a violare il DIU e può configurare crimine di guerra (Protocollo I alle Convenzioni di Ginevra, art. 54; San Remo Manual, art. 102) [⁵].
  2. Bloccare aiuti umanitari imparziali senza “fondati motivi” di sicurezza. Non basta dire “potrebbero servire a Hamas”: servono prove concrete, altrimenti il rifiuto è arbitrario e quindi illegale (San Remo Manual, art. 104) [⁶].
  3. Trasformare un blocco militare in embargo totale: se gli effetti pratici equivalgono a punire collettivamente un milione e mezzo di civili, siamo fuori dalla legittima difesa e dentro alle violazioni gravi del DIU (Convenzione di Ginevra IV, art. 33 sul divieto di punizioni collettive) [⁷].
  4. Usare forza letale indiscriminata contro civili o attivisti non armati: anche se la nave viola il blocco, l’uso delle armi deve rispettare la proporzionalità. Uccidere passeggeri civili che resistono senza armi è eccessivo — lo stesso Rapporto Palmer (2011), pur concludendo che il blocco era formalmente legittimo, ammise che l’uso della forza sulla Mavi Marmara fu “eccessivo e non necessario” [⁸].

In altre parole: , Israele può fermare, ispezionare e perfino dirottare le navi; no, non può trasformare la sicurezza in pretesto per strangolare l’intera popolazione civile. La differenza tra il legale e l’illegale non è un dettaglio: è la linea rossa tra diritto internazionale e crimine di guerra.


Adesso, pero' andiamo dall'altra parte. Cosa puo' fare, legalmente, la flottilla, e cosa non puo' fare?

Cosa la flottiglia può fare legalmente

  1. Trasportare aiuti umanitari imparziali (cibo, medicinali, forniture civili) destinati alla popolazione di Gaza, purché effettivamente destinati a scopi civili [⁹].
  2. Navigare in acque internazionali: fino a quando resta fuori dalla zona dichiarata di blocco, la flottiglia esercita un diritto legittimo di navigazione libera [¹⁰].
  3. Richiedere passaggio sicuro: in base al DIU, gli aiuti umanitari dovrebbero poter transitare sotto supervisione imparziale (San Remo Manual, art. 103-104) [¹¹].
  4. Contestare diplomaticamente o legalmente il blocco: possono appellarsi a Nazioni Unite, Croce Rossa o altri organismi, denunciando l’illegalità o la sproporzione del blocco stesso [¹²].

Cosa la flottiglia NON può fare legalmente

  1. Forzare il blocco dichiarato: se un blocco è formalmente proclamato ed effettivo, tentare deliberatamente di violarlo può giustificare l’intercettazione da parte dello Stato bloccatore (San Remo Manual, art. 98-100) [¹³].
  2. Trasportare armi o materiale a uso militare camuffandoli da aiuti: ciò fa decadere lo status di missione umanitaria e rende la nave un obiettivo legittimo [¹⁴].
  3. Resistere con violenza armata all’ispezione o all’imbarco: i civili possono opporsi passivamente, ma un’azione violenta contro i militari che salgono a bordo equivale a combattere, con tutte le conseguenze del caso (perdita della protezione di civili) [¹⁵].
  4. Invocare automaticamente lo status di “missione umanitaria” senza la supervisione di un organismo imparziale (ONU, CICR, ONG riconosciute): il diritto internazionale protegge gli aiuti imparziali, non qualsiasi nave che si dichiari “umanitaria” [¹⁶].

A cosa serve tutto questo smandruppo legale? Serve a smontare il trucco mediatico: la stampa vi racconta una «contesa» come fosse un derby di tifoserie — Flottilla contro governo — e poi evita di spiegare i vincoli di diritto internazionale che regolano davvero ciò che si può o non si può fare in mare. Vi dicono il nome dei protagonisti, i loro tweet, e la rissa politica; non vi dicono che ci sono regole precise - precise su ispezioni, aiuti umanitari, proporzionalità e divieto di privare i civili dei mezzi di sussistenza.

Per chi è al potere, politicizzare la questione è spesso comodo: funziona finché resti al potere. Quando salta il banco, però, a parlare è la legge — e la legge non è interessata ai sondaggi.

E sì: lo show mediatico parte sempre con lo stesso ritornello rituale, e tutti lo conosciamo ormai:


— «Muuuuuhhhh la Shoah! Muuuuuh l’antisemitismo! Muuuuuhhh il sette ottobre 1543!» —

Lo metto tra virgolette perché è il suono che sentirete ogni volta che qualcuno prova a spostare l’attenzione dal merito giuridico al melodramma politico.

[¹] San Remo Manual on International Law Applicable to Armed Conflicts at Sea (1994), artt. 98-100.
[²] San Remo Manual, art. 103.
[³] San Remo Manual, artt. 103-104.
[⁴] Principio di necessità e proporzionalità, consuetudine del diritto internazionale umanitario (v. anche C.I.C.R., Customary IHL Database, regole 14 e 15).
[⁵] Protocollo Addizionale I alle Convenzioni di Ginevra (1977), art. 54; San Remo Manual, art. 102.
[⁶] San Remo Manual, art. 104.
[⁷] Convenzione di Ginevra IV (1949), art. 33.
[⁸] United Nations, Report of the Secretary-General’s Panel of Inquiry on the 31 May 2010 Flotilla Incident (Palmer Report), 2011.

[⁹] Convenzione di Ginevra IV (1949), art. 23: gli aiuti umanitari devono essere autorizzati quando “di carattere esclusivamente umanitario e imparziale”.
[¹⁰] Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS, 1982), art. 87: libertà di navigazione in alto mare.
[¹¹] San Remo Manual (1994), art. 103-104: passaggio degli aiuti umanitari sotto condizioni stabilite dallo Stato bloccatore.
[¹²] Carta delle Nazioni Unite, Capitolo VII: possibilità di contestare legalità e proporzionalità di un blocco al Consiglio di Sicurezza.
[¹³] San Remo Manual, artt. 98-100: diritto di intercettare navi che tentano di violare un blocco dichiarato ed effettivo.
[¹⁴] San Remo Manual, art. 148: perdita dello status civile se la nave trasporta contrabbando di guerra.
[¹⁵] Convenzioni di Ginevra, principi generali sullo status dei civili; DIU consuetudinario (ICRC Rule 6: “Civilians lose protection if they take a direct part in hostilities”).
[¹⁶] Protocollo I alle Convenzioni di Ginevra (1977), art. 70: gli aiuti devono essere offerti da “un’organizzazione umanitaria imparziale”.