L' anno del Popcorn.
In Cina, l’oroscopo tradizionale associa ogni anno a un animale, seguendo un ciclo millenario. Io, invece, preferisco ampliare questa simbologia e aggiungere altri simboli, così da avere maggiore libertà espressiva. Così, mentre in Cina l’anno è dedicato al Dragone (credo) , per me – con l’inizio delle proteste a Los Angeles – comincia l’Anno del Popcorn.
A dire il vero, ero tentato di far coincidere l’Anno del Popcorn con la rottura tra Elon Musk e Donald Trump, un episodio che ha acceso un vero e proprio spettacolo mediatico. È stata una scelta difficile, ma sono pronto, se necessario, a retrodatare il Capodanno. Anzi, diciamo pure che l’Anno del Popcorn è iniziato proprio con la lite tra Musk e Trump.
Le proteste a Los Angeles, iniziate a seguito di tensioni sociali e di alcune decisioni politiche controverse, hanno creato un clima di forte fermento nella città degli angeli. Secondo quanto riportato dal Los Angeles Times (maggio 2025), migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare contro disuguaglianze economiche e razziali, rendendo la metropoli un vero e proprio palcoscenico di voci e cartelli.
Quanto alla faida Musk-Trump, il loro scontro è emerso pubblicamente su X (ex Twitter), quando Musk ha criticato Trump per la sua legge finanziaria. La replica di Trump, sprezzante come sempre, ha alimentato ancora di più le tensioni, rendendo l’evento degno di un vero “momento da popcorn”, come definito dalla CNN in un recente editoriale.
Insomma, l’Anno del Popcorn non è solo un gioco di simboli, ma un invito a osservare questi eventi come un grande spettacolo che si svolge sotto i nostri occhi, con i riflettori puntati su ogni nuovo colpo di scena.
Ma perché propongo di guardare a eventi drammatici come se fossero uno spettacolo di cabaret? Non è forse crudele e insensibile? Questa aria di superiorità non rischia di apparire cinica e presuntuosa?
La verità, però, va ricercata nel comportamento passato degli americani. Parliamo di un popolo che ha esercitato il proprio dominio in forme tanto umilianti e prepotenti da annientare qualsiasi amor proprio, sia tra la popolazione che tra i politici. Basterebbe ricordare l’episodio dei quattro piloti americani che colpirono una funivia a Cavalese e se la cavarono senza un solo giorno di prigione. O la strage di Ustica, la cui verità è ancora oggi avvolta da un muro di silenzi e menzogne.
Potrei citare la flotta americana che, a ogni elezione italiana fino al 1991, lasciava il porto di Napoli per piazzarsi al largo di Roma: un monito implicito, nel caso il risultato non piacesse a Washington. Potrei menzionare l’“Extraction Team”, che a ogni processo contro un cittadino americano in Italia si attiva per sabotare l’iter giudiziario e assicurarsi che l’americano esca impunito – anche quando ha ucciso due carabinieri, come accaduto di recente.
E poi c’è il caso di Giuliana Sgrena, in cui i marines americani aprirono il fuoco su un funzionario italiano senza neppure provare a chiarire le ragioni del loro gesto. Ancora oggi l’arroganza delle loro risposte alle domande delle autorità italiane è uno schiaffo alla giustizia. E potrei continuare.
La verità è che per anni ci siamo chiesti se ne valesse davvero la pena. Ci siamo domandati se sacrificare la nostra dignità nazionale avesse un senso, in cambio di benefici che apparivano sempre più incerti. E prima o poi, tutti – a tavola con gli amici o in altre occasioni sociali – ci siamo posti la fatidica domanda: “Ma come possiamo levarceli di torno, questi?”
Finora le risposte erano utopiche, poco pratiche e, in fin dei conti, prive di reale utilità.
E invece, oggi, boom: arriva Trump e riaccende quella vecchia speranza di poter finalmente mandar via gli americani. Ma non attraverso una guerra contro gli Stati Uniti e i loro valori. No, questa volta arriva proprio da un presidente che parla a nome degli USA e dei loro stessi valori. E questo è un punto fondamentale: gli Stati Uniti non si stanno sgretolando a causa di un attacco esterno ai loro ideali o perché un’altra popolazione ha imposto valori alternativi. La verità è che gli Stati Uniti si stanno sgretolando proprio mentre mostrano al mondo il loro vero volto: quello del “sogno americano” e della loro stessa popolazione.
I fatti di Los Angeles sono sotto gli occhi di tutti. Di fronte a qualsiasi problema, per quanto complesso, la risposta sembra essere sempre la stessa: chiamare quelli con le armi. Bang, bang — come negli stereotipi più gretti e radicati sugli Stati Uniti, la violenza armata diventa la soluzione universale.
Poi c’è il problema dello Stato di diritto. Che gli americani preferiscano uno scontro armato, magari in pieno giorno e con pistole in mano, piuttosto che affidarsi alla complessità del diritto e alla mediazione dei tribunali, è sempre sembrato un’esagerazione. Eppure, per costituzione, la guida della Guardia Nazionale spetta ai governatori dei singoli stati. Ma a chi importa davvero della legge, quando puoi risolvere tutto con un bang, bang?
Ed è qui che si rivela tutto ciò che Trump ha messo a nudo degli Stati Uniti: un paese fondamentalmente costituito da una base sociale che potremmo definire “white trash”: una massa che appare spesso stupida, ignorante, violenta, superficiale e obesa — non solo fisicamente, ma anche mentalmente.
E questo è l’Anno del Popcorn. Perché persino i più accaniti “atlantisti” oggi sono costretti ad ammettere una cosa:
Se esiste ancora un Occidente, allora gli USA sono IL problema dell’Occidente.
Non sono più un alleato: è un dato ormai chiaro e incontrovertibile. Non rappresentano più quel porto sicuro di benessere e quella “way of life” che un tempo avevano abbagliato il mondo intero. Non ci sono più le scuse e i cliché con cui i filoatlantici liquidavano chi veniva definito “antiamericano”.
La rete di rapporti internazionali degli Stati Uniti sta collassando — non a causa della volontà degli (ex) alleati, ma per scelta degli stessi americani. Il loro potere di proiezione globale si sta sgretolando perché hanno deciso di ritirarsi da alcune aree, spinti da un crescente isolazionismo.
Si può avere qualunque opinione sul fatto che la difesa europea stia sempre più arroccandosi attorno alla centralità della Francia, con la benedizione degli inglesi, ma è un dato di fatto: tutto questo è possibile solo perché gli americani si stanno ritirando dal campo.
Semmai, in passato, quando ci chiedevamo come liberarci della presenza americana, le risposte sembravano quasi sempre utopiche. Oggi, invece, la risposta “se ne vanno da soli” appare sempre più concreta e realizzabile. E non parliamo di un futuro lontano: succede già adesso.
E allora la domanda sorge spontanea:
Sì, ma quando se ne vanno davvero?
La verità è che se ne stanno andando lentamente. Non perché fossero in tanti, questi “occupanti” in Europa. Il problema è che ci eravamo occupati da soli. Quello che è accaduto sul piano militare si è ripetuto in ogni altro ambito.
Fare musica, per anni, ha significato fare la musica come gli americani: rap, rock, metal — tutto ruotava attorno a modelli americani. Fare cinema voleva dire rifarsi a Hollywood. In ogni campo, invece di cercare soluzioni originali, si sono semplicemente create carriere per chi si limitava a imitare gli Stati Uniti.
Toccherà ricostruire tutto. Non necessariamente da zero, ma partendo da ora, in direzioni nuove. Come è accaduto con il black metal scandinavo: un genere nato in America, ma poi evoluto e trasformato in qualcosa di unico. O come l’industrial metal, partito dagli USA e poi reinventato dai Rammstein.
Il guaio è che chi, per pigrizia o per mancanza di risorse intellettuali, preferisce limitarsi a copiare gli Stati Uniti piuttosto che creare e inventare, non ha alcuna intenzione di andarsene. In questo senso, ci eravamo “occupati da soli”.
Pigri, poco creativi, forse anche ottusi: questi americanoidi hanno sempre avuto la pappa pronta. Hanno sempre vissuto di imitazione, perché era più facile, più comodo, meglio retribuito.
Ci eravamo occupati da soli.
L'eterno ritorno del già visto
Anche in politica, il cambiamento è più apparente che reale. I teocon tornano in auge negli USA, e puntuali riappaiono in Europa. Credevamo fossero un relitto del passato, ma in realtà (come scriveva Nietzsche nel concetto dell'“eterno ritorno”) assistiamo alla stessa fame di novità che, anziché generare innovazione, si limita a importare modelli altrui.
Il timore di non avere un settore IT competitivo come quello americano ci spinge a chiederci: “Perché non esiste una Microsoft europea?”. Ma è davvero questo che ci serve? Una replica di Amazon o di Google? (La risposta potrebbe nascondersi nella nostra identità culturale: un ipotetico “Google europeo” somiglierebbe più a un'enciclopedia Treccani potenziata dall'IA, rigorosa ma poco disruptive).
Nell'epoca d'oro della telefonia mobile, l'Europa non omologava i design alla Apple o Samsung. Basti guardare questa varietà di modelli:
Qui sta la differenza: l'Europa storicamente genera diversità, mentre il modello americano tende al monopolio (si pensi a come Facebook ha monopolizzato i social network). Il risultato? Tutti con lo stesso prodotto in tasca, e la stessa omologazione culturale.
Quanto ci vorrà perché i nostri epigoni abbandonino il ruolo di riciclatori di idee altrui? (Il caso dei rapporti tra Giorgia Meloni, Trump e Musk è emblematico: prima si copiava senza sforzo, ora che i riferimenti americani sono in crisi, anche i loro emulatori italiani brancolano nel buio).
Mediocrità per delega
Abbiamo permesso a una classe dirigente di mediocri imitatori di occupare ogni spazio creativo e intellettuale. (Umberto Eco direbbe: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”, ma qui il problema è più profondo: è la resa alla subalternità culturale). Facile. Comodo. E profondamente deprimente.
Tutti questi miracolati dell'america incombente, ovviamente, hanno sempre avuto il pasto gratis , e quindi si staccheranno difficilmente di dosso. Del resto, il parassita e' una specie di solito molto resistente, e spesso sofisticata nella sua disperata necessita' di sopravvivere a spese altrui.
Questo, a mio avviso, rallentera' molto il cambiamento. Ma lo rendera' piu' divertente.
Nel senso che vedere gli USA che si avvitano su loro stessi, diventando una parodia, sara' divertente e lo e' gia'.
Ma vedere i parassiti che muoiono, in seguito al distacco dagli USA, sara' ancora piu' divertente.
Procuratevi MOLTO popcorn.
Uriel Fanelli
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