Idee per libri di fantascienza.
La fantascienza, come genere, nasce quando la letteratura subisce uno shock improvviso, provocato dalle nuove scoperte scientifiche del ventesimo secolo. L’energia atomica, le prime orbite intorno alla Terra, lo sbarco sulla Luna, le stazioni spaziali, le sonde inviate su Marte: tutti questi eventi hanno scardinato l’immaginario collettivo, fornendo nuovi strumenti narrativi agli scrittori. Secondo me, però, oggi stiamo sfruttando ancora troppo poco—e per pura mancanza di fantasia—le possibilità offerte dalle più recenti esplorazioni esobiologiche.
La fantascienza, lo ripeto, ha un problema di fondo. A differenza della realtà, deve sembrare realistica e mantenere un certo grado di plausibilità scientifica. Dico quasi plausibile, perché—per esempio—un’astronave come l’Enterprise non potrebbe mai funzionare davvero. In uno spazio relativistico a quattro dimensioni, la norma non è definita positiva.
Questo significa che, pur viaggiando alla velocità “warp”, le stelle resterebbero alla loro distanza reale. Tuttavia, dal punto di vista della nave, la norma (ossia la distanza tra il punto di partenza e quello di arrivo) diventerebbe negativa. E poiché non esistono distanze spaziali negative—dato che conosciamo bene la posizione spaziale delle stelle, e quindi la distanza, che e' sempre positiva — per avere una norma negativa nel continuum il tempo sulla nave dovrebbe scorrere all’indietro, risultando negativo. Gli orologi invertirebbero il loro corso, e così via. Insomma, non funziona.
Ma nella fantascienza, tutto questo funziona.
Oggi che il nuovo orizzonte sono gli esopianeti, mi accorgo che la mancanza di fantasia continua a limitare molti scrittori e ricercatori, che si ostinano a cercare pianeti simili alla Terra. Certo, è l’ipotesi più semplice, e, onestamente, anche la più noiosa. Vediamo invece come, con un pizzico di immaginazione in più, si possa far nascere la vita anche su pianeti strani.
Rimanendo, naturalmente, plausibili.
Un esempio preso dal NASA Exoplanet Archive, per esempio, mostra questi pianeti interessanti per lo scrittore di fantascienza:
Pianeta | Massa (Terre) | Raggio (Terre) | Distanza dalla stella (UA) | Temperatura superficiale stimata (°C) | Stella ospite |
---|---|---|---|---|---|
Proxima Centauri b | ~1.17 | ~1.08 | ~0.0485 | da -39°C a -13°C (stima con atmosfera) | Proxima Centauri |
TRAPPIST-1d | ~0.33 | ~0.78 | ~0.022 | ~15°C (se atmosfera presente) | TRAPPIST-1 |
TRAPPIST-1e | ~0.77 | ~0.91 | ~0.029 | ~-22°C | TRAPPIST-1 |
TRAPPIST-1f | ~0.93 | ~1.05 | ~0.038 | ~-54°C | TRAPPIST-1 |
TRAPPIST-1g | ~1.15 | ~1.13 | ~0.046 | ~-75°C | TRAPPIST-1 |
LHS 1140 b | ~6.6 | ~1.73 | ~0.093 | ~-43°C | LHS 1140 |
TOI-700 d | ~1.72 | ~1.19 | ~0.163 | ~-5°C | TOI-700 |
Quelle temperature negative non rappresentano un problema, considerando che la temperatura di corpo nero della Terra si aggira intorno a -18 °C.
A questo punto, l’obiezione tipica degli esopianetologi è che quei pianeti, essendo così vicini alla loro stella, siano bloccati in rotazione sincrona (tidally locked), rendendo l’ambiente estremamente ostile alla vita. Questo perché inevitabilmente una parte del pianeta sarebbe sempre esposta al sole, mentre l’altra rimarrebbe in perenne oscurità, generando differenze termiche così estreme da compromettere qualsiasi forma di vita.
Eppure, questa è una sfida aperta. Perché in realtà la questione è ben più complessa e meno scontata di quanto si pensi.
Per prima cosa, diciamo che quei luoghi devono essere ricchi d’acqua, perché questo rappresenta il presupposto fondamentale per la vita come la conosciamo. L’acqua è indispensabile. La fascia di Goldilocks, infatti, è proprio quella zona attorno a una stella in cui è possibile accumulare acqua allo stato liquido sulla superficie di un pianeta. Inoltre, sappiamo che l’acqua è piuttosto comune nello spazio, spesso presente sotto forma di ghiaccio, come confermato da numerose osservazioni di comete, asteroidi e lune ghiacciate nel nostro sistema solare, così come in dense nubi molecolari interstellari.
Dunque, ci siamo. Su un pianeta tidally locked, con un lato gelido e l’altro rovente, possono svilupparsi due fenomeni fondamentali. Innanzitutto, correnti oceaniche potenti che trasportano acqua calda dalla zona illuminata dal sole verso quella perennemente in ombra. Queste correnti potrebbero scavare passaggi nel ghiaccio e, nel tempo, formare un complesso sistema di correnti sottomarine. Non stiamo parlando di fenomeni modesti come il Gulf Stream o El Niño sulla Terra, ma di correnti molto più imponenti e persistenti, dovute al drastico gradiente termico tra i due emisferi.
In effetti, studi su esopianeti tidally locked indicano che grandi correnti oceaniche potrebbero svolgere un ruolo cruciale nel trasportare calore, contribuendo a stabilizzare il clima e potenzialmente rendere abitabile anche il lato oscuro.
Dall'altro lato, peraltro, avremmo correnti sottomarine fredde, capaci di abbassare la temperatura oceanica. E questo gradiente e' molto semplice da sfruttare, volendo.
Siamo nella zona buia, immersi in un oceano con una pressione alla superficie di circa 1 bar, simile a quella terrestre. Avvicinandoci al fondale, potremmo osservare un gradiente termico significativo: temperature intorno ai +40 °C nella corrente calda superficiale, che scendono fino a circa -10 °C a qualche decina di metri di profondità. Questa ipotesi non è affatto peregrina; infatti, sulla Terra esistono ambienti oceanici profondi dove si registrano gradienti termici anche più estremi, come nelle bocche idrotermali, e condizioni di pressione analoghe o superiori.
A questo punto, dato che manca la luce, dobbiamo ipotizzare un meccanismo alternativo per alimentare la vita. Essenzialmente, la fotosintesi si basa sul trasferimento di elettroni a molecole come l’ATP, che poi sintetizzano zuccheri. Quando sono presenti fotoni ad alta energia, la fotosintesi clorofilliana è la via più efficiente. Tuttavia, non è l’unica possibile. Se il vero problema è fornire elettroni a molecole di ATP, allora possiamo “solo” cercare un processo redox che sfrutti un gradiente termico o chimico.
La nostra alga marina, ancorata al fondale, è un filamento lungo dieci metri o più, dotata di un sistema linfatico che trasporta linfa fredda dal basso verso l’alto e linfa calda dall’alto verso il basso, creando un gradiente termico utile per generare energia chimica.
In natura, organismi chemiosintetici presenti nelle bocche idrotermali dimostrano la plausibilità di tali processi. Per esempio, batteri come Nitrosomonas ossidano ammoniaca (NH₃) a nitrito (NO₂⁻), utilizzando questa reazione redox per produrre energia. Altri batteri, come quelli del genere Thiobacillus, ossidano l’idrogeno solforato (H₂S) a solfato (SO₄²⁻). Entrambi i processi rilasciano elettroni che alimentano la catena di trasporto degli elettroni, sintetizzando ATP senza bisogno di luce solare.
Dal punto di vista chimico, queste reazioni possono essere sintetizzate come:
- NH₃ + 1.5 O₂ → NO₂⁻ + H₂O + H⁺ + energia
- H₂S + 2 O₂ → SO₄²⁻ + energia
L’energia liberata alimenta una catena di trasporto di elettroni che pompa protoni, generando un gradiente elettrochimico usato per la sintesi di ATP, analogo a quanto accade nella fotosintesi.
Nel caso del nostro ecosistema ipotetico, il gradiente termico tra linfa calda e fredda potrebbe alimentare una pompa di protoni simile, con reazioni redox studiate per sfruttare molecole diverse, magari basate su composti del ferro, dello zolfo o del manganese, tutti elementi comuni in ambienti estremi.
In sintesi, la chimica esiste già in natura per supportare una sintesi di zuccheri anche in assenza di luce, attraverso vie chemiosintetiche che sfruttano gradiente chimici o termici anziché fotoni. La nostra alga filiforme potrebbe dunque incarnare un sistema biologico che utilizza questi principi, integrando il gradiente termico con una complessa rete redox per sostenere la vita.
Quanto e' plausibile che succeda? Beh, le alghe non hanno sempre usato la clorofilla.
Prima che la clorofilla comparisse e permettesse la fotosintesi basata sulla luce solare, gli organismi marini si affidavano a forme di chemiosintesi per ottenere energia.
Questi organismi primordiali vivevano in ambienti ricchi di sostanze chimiche ridotte, come idrogeno solforato (H₂S), ammoniaca (NH₃), metano (CH₄) e ferro ferroso (Fe²⁺), sfruttando reazioni redox per estrarre energia.
Ad esempio, nei fondali oceanici vicini alle sorgenti idrotermali (simili ai primi habitat primordiali), batteri e archea chemiosintetici ossidano questi composti chimici, producendo energia necessaria per la sintesi di biomolecole.
Quindi, prima della fotosintesi clorofilliana, la vita dipendeva da:
Reazioni redox che usavano composti inorganici come fonte di elettroni (es. ossidazione di H₂S, Fe²⁺, NH₃).
- Gradiente chimico e termico creato da condizioni geotermiche e chimiche locali.
Questa è la base biologica e chimica da cui si sono evoluti poi i sistemi fotosintetici: la capacità di usare energia da fonti diverse dalla luce.
In sintesi, la nostra idea di un ecosistema che usa il gradiente termico e reazioni redox come fonte energetica è perfettamente coerente con quello che sappiamo della vita primordiale.
Non solo è plausibile, ma è esattamente il modello da cui è partita la vita sulla Terra.
Su Terra, la vita chemiosintetica è rimasta confinata alle nicchie termali, limitata geograficamente perché le sorgenti calde erano localizzate e rare.
Ma in un pianeta tidally locked con correnti oceaniche massicce che portano acqua calda nella zona oscura, la disponibilità di energia termica sarebbe estesa su aree molto più ampie e stabili nel tempo.
Questo significa:
Un habitat chemiosintetico molto più vasto e continuo, non limitato a singole sorgenti o bacini.
Possibilità di un ecosistema marino diffuso, in cui la vita può prosperare lungo correnti calde sotterranee, potenzialmente formando catene trofiche complesse senza mai necessitare di luce solare.
Un ambiente potenzialmente più stabile, che favorisce evoluzioni biologiche molto diverse e innovative rispetto a quelle terrestri.
In pratica, la “zona oscura” di questi pianeti sarebbe un ambiente fertile e dinamico, dove la vita chemiosintetica non solo si sviluppa ma si espande, usando il gradiente termico e le correnti per sostenersi quasi ovunque.
Forse si potrebbe dire lo stesso della zona “illuminata”, solo che il gradiente termico sarebbe opposto: fondali relativamente freddi, costantemente raffreddati dalle correnti fredde provenienti dalla zona buia, e acque superficiali riscaldate direttamente dalla radiazione solare. Questo crea un ambiente dinamico, caratterizzato da un continuo scambio termico verticale che potrebbe sostenere processi biologici complessi.
Il discorso rimane valido anche in questo caso: le differenze di temperatura e le correnti marine generano un ecosistema potenzialmente ricco di nicchie ecologiche, dove la vita potrebbe svilupparsi sfruttando le risorse energetiche offerte dal gradiente termico e dalla luce solare.
Quindi, facciamo chiarezza: non serve molta fantasia — specialmente considerando che un fenomeno simile si è già verificato sulla Terra nelle sue prime fasi evolutive — per immaginare la nascita della vita marina vegetale su un pianeta con queste caratteristiche.
Riferimenti ed esempi scientifici:
Origine della vita negli ambienti termali: Le ipotesi più accreditate sull’origine della vita terrestre suggeriscono che le sorgenti idrotermali, con i loro forti gradienti chimici e termici, abbiano fornito l’energia necessaria per le prime reazioni biochimiche complesse (Martin et al., 2008).
Correnti oceaniche e scambi termici: La circolazione termoalina sulla Terra, che coinvolge grandi masse d’acqua calda e fredda, crea ambienti ricchi di nutrienti e opportunità biologiche, come dimostrato dagli studi sul Gulf Stream e sulla Corrente Circumpolare Antartica (Talley, 2013).
Ecosistemi a gradiente termico: Gli ecosistemi marini vicino a sorgenti idrotermali mostrano come la vita possa prosperare sfruttando energie diverse dalla luce solare, usando processi chimiosintetici basati su reazioni redox di composti inorganici (Van Dover, 2000).
Evoluzione e diversificazione in ambienti estremi: La diversità delle forme di vita nelle zone di profondità oceanica e in ambienti estremofili dimostra come condizioni estreme non siano un limite invalicabile, ma un terreno fertile per adattamenti unici (Rothschild & Mancinelli, 2001).
La vera sfida non è quindi tanto l’emergere della vita in ambienti con forti gradienti termici e condizioni asimmetriche, ma la sua evoluzione e adattamento a lungo termine, che potrebbe dare origine a forme di vita radicalmente diverse da quelle che conosciamo sulla Terra.
E fin qui, sia chiaro, non stiamo “immaginando” nulla. Oltre ad essere fenomeni noti, sono eventi che sono effettivamente accaduti sul nostro pianeta. Non stiamo davvero scrivendo fantascienza. Ora entra in gioco l’evoluzione.
Ad un certo punto, sulla Terra emerge la sintesi clorofilliana, che vince non per caso, ma semplicemente perché può svilupparsi in ogni angolo degli oceani, mentre la nostra biologia estremofila riesce a sopravvivere soltanto attorno alle sorgenti termali. Su Terra.
In un pianeta simile, però, solo sul lato esposto alla luce la clorofilla può prosperare — e conviene che sia così — mentre sull’altro lato, quello oscuro, possono sopravvivere solo gli estremofili a base di zolfo.
Questi estremofili includono archeobatteri e batteri termofili che metabolizzano composti solforati, come i generi Thermoproteus, Sulfolobus e Pyrococcus, noti per vivere in ambienti estremi come sorgenti idrotermali e bocche vulcaniche oceaniche. La loro energia deriva da reazioni redox di ossidazione di composti solforati, anziché dalla luce solare.
A questo punto, la domanda cruciale è: quale dei due lati del pianeta farà il passo evolutivo successivo per primo? Se assumiamo che il passo evolutivo dopo la zona illuminata sia rappresentato dalla clorofilla, e che nella parte oscura ci sia un’evoluzione parallela di una “Xenofilla” — diciamo così — capace di sfruttare gradienti termici e chimici per produrre energia, allora chi evolverà per primo? La clorofilla o la xenofilla?
La realtà è che nella zona buia la Xenofilla ha tutto il tempo che vuole per evolversi, perché non deve affrontare la concorrenza della clorofilla, che semplicemente non può funzionare al buio. Ma anche no, perche' l'ultima volta che e' successo gli oceani e l'atmosfera si sono riempiti l'ossigeno, quindi no, la Xenofilla non ha tutto il tempo che vuole: se nasce la Clorofilla dall'altra parte, ha pochi milioni di anni per saltare fuori.
Inoltre, l’evoluzione di metabolismi basati su reazioni redox con composti inorganici, come solfuri, metano o ferro, è ampiamente documentata sulla Terra primordiale e rappresenta una strategia di sopravvivenza efficace in assenza di luce. Questi metabolismi possono quindi costituire la base per forme di vita autonome nelle zone oscure di un pianeta tidally locked.
Insomma, mentre la clorofilla domina la parte illuminata sfruttando la luce solare, nella zona buia le forme di vita potrebbero sviluppare sistemi biochimici sofisticati per sfruttare il gradiente termico e chimico, creando un ecosistema parallelo ma altrettanto vitale.
Questa dualità evolutiva non è fantascienza, ma un’ipotesi scientificamente plausibile, che amplia enormemente il campo delle potenziali biosfere extraterrestri.
I tempi
La clorofilla, cioè la fotosintesi ossigenica basata su cianobatteri, è comparsa sulla Terra circa 2,4-2,5 miliardi di anni fa, durante il Proterozoico, con l’evento noto come Grande Ossidazione (Great Oxidation Event).
Prima di allora, la vita si basava su metabolismi anaerobici e chimiosintesi (ad esempio, utilizzando zolfo o metano), che risalgono a circa 3,5-3,8 miliardi di anni fa, cioè subito dopo la comparsa dei primi organismi viventi.
Quindi, la fotosintesi clorofilliana è arrivata con un ritardo di circa 1 miliardo di anni rispetto alle prime forme di vita basate su fonti energetiche chimiche.
In sintesi:
- Vita anaerobica e chimiosintesi: ~3,5-3,8 miliardi di anni fa
- Fotosintesi clorofilliana (clorofilla): ~2,4-2,5 miliardi di anni fa
Perche' sono cosi' ossessionato da questa gara?
Perchè è proprio questo il nodo cruciale. La comparsa della fotosintesi clorofilliana e la conseguente ossigenazione dell’atmosfera — il Grande Evento di Ossidazione — ha rappresentato una trasformazione catastrofica per gli organismi anaerobici che dominavano fino ad allora.
L’ossigeno è tossico per molte forme di vita primitive, quelle che chiameremmo “Xenofilla” nel nostro scenario: organismi che si basano su metabolismo anaerobico o su reazioni redox diverse dall’ossidazione dell’acqua.
Quindi, se la clorofilla arriva prima sull’emisfero illuminato, crea un ambiente ricco di ossigeno che uccide o limita fortemente la diffusione degli “estremofili” chimiosintetici dall’altro lato oscuro del pianeta, costringendo quest’ultimi a nicchie estreme o a evolversi in modi completamente nuovi.
Al contrario, se la “Xenofilla” si evolve per prima nella zona oscura, quella biosfera anaerobica può persistere senza interferenze per tempi lunghissimi, sviluppando adattamenti unici al gradiente termico e alle risorse chimiche disponibili.
Questa “gara evolutiva” tra clorofilla e xenofilla non è solo un ottimo spunto narrativo, ma ha basi solide nella storia terrestre, dove la trasformazione ambientale ha guidato estinzioni e radiazioni adattative successive.
La gara evolutiva tra Clorofilla e Xenofilla: tre scenari con esempi scientifici. Chi arriva primo vince?
Tre scenari.
1. Vince la Clorofilla
La fotosintesi clorofilliana domina l’emisfero illuminato, producendo ossigeno come sottoprodotto.
Questo processo ha cambiato radicalmente la Terra durante la Grande Ossidazione (circa 2,4 miliardi di anni fa), quando i cianobatteri iniziarono a rilasciare ossigeno, rendendo l’atmosfera ossigenata e inospitale per molte forme di vita anaerobiche.
Analogamente, sull’esopianeta, l’emisfero in luce si popola di organismi fotosintetici che modificano l’ambiente, mentre l’emisfero oscuro resta privo di vita complessa a causa della tossicità dell’ossigeno per gli estremofili anaerobi.
Esempi scientifici:
- Cianobatteri e la Grande Ossidazione terrestre
- Impatto dell’ossigeno su forme di vita anaerobiche
- Fotosintesi ossigenica e produzione di O₂
2. Pareggio evolutivo
In questo scenario, si sviluppano due ecosistemi distinti ma contemporanei:
- L’emisfero illuminato ospita organismi clorofilliani che producono ossigeno.
- L’emisfero oscuro vede la comparsa di forme di vita “Xenofilla”, probabilmente basate su metabolismi anaerobici, come quelli osservati nei batteri solfurei o metanogeni sulla Terra, capaci di utilizzare composti chimici diversi per ottenere energia senza ossigeno, ma resistenti all'ossigeno.
Questa divisione crea un equilibrio ecologico unico, con interazioni potenziali tra emisferi (es. scambi atmosferici o flussi oceanici).
Esempi scientifici:
- Batteri solfurei e metanogeni in ambienti anaerobici terrestri (es. sorgenti termali, fondali oceanici)
- Ecosistemi estremofili che sfruttano gradienti chimici (redox)
- Possibile analogia con ecosistemi degli oceani profondi o di laghi anossici
3. Vince la Xenofilla
La “Xenofilla” si evolve prima nella zona oscura, sfruttando i gradienti termici o chimici per la sintesi di energia, senza bisogno di luce.
Questi organismi potrebbero avere metabolismi basati su elementi diversi dall’ossigeno, come zolfo, ferro o metano, analogamente agli archei estremofili terrestri che abitano ambienti ipertermali e anossici.
Poiché la chimica della vita può variare ampiamente, possiamo ipotizzare strutture biochimiche alternative che permettono la sintesi di zuccheri e composti organici usando energia termica o chimica, aprendo scenari evolutivi molto diversi da quelli terrestri.
Esempi scientifici:
– Archei ipertermofili delle sorgenti idrotermali (es. genera Pyrolobus, Methanopyrus)
– Metabolismi chemiosmotici e uso di gradiente redox per la sintesi energetica
Tempi evolutivi e dinamiche di interazione tra Clorofilla e Xenofilla
È importante sottolineare che la colonizzazione di un pianeta da parte di organismi fotosintetici (Clorofilla) o di organismi termodinamicamente alternativi (Xenofilla) richiede milioni di anni, se non centinaia di milioni. Non si tratta di una gara a chi arriva “due minuti prima”, ma di processi lenti e complessi che modellano l’ambiente globale in modo profondo.
Intervallo temporale di convivenza e interazione
- Dopo la comparsa della prima svolta evolutiva (ad esempio, la clorofilla), la controparte (Xenofilla) avrebbe ancora un ampio margine temporale — dell’ordine di centinaia di milioni di anni — per svilupparsi e colonizzare zone o nicchie ecologiche, senza essere necessariamente estinta o sopraffatta.
In questo lungo intervallo, è plausibile l’esistenza di ecosistemi misti, con interazioni complesse, competizione, coevoluzione o persino simbiosi tra i due tipi di organismi.
Il risultato finale potrebbe essere:
- Un vincitore planetario che domina quasi completamente un emisfero o tutto il pianeta.
- Una partizione stabile, con la clorofilla e la xenofilla che persistono in emisferi o ambienti separati.
- Un ecosistema dinamico, dove i confini tra i due tipi di biosfera oscillano nel tempo in base a cambiamenti climatici, geologici o atmosferici.
- Un vincitore planetario che domina quasi completamente un emisfero o tutto il pianeta.
Esempi terrestri di tempi lunghi e coesistenza
La Grande Ossidazione sulla Terra ha impiegato almeno centinaia di milioni di anni per portare a una saturazione ossigenica dell’atmosfera, con conseguenti impatti evolutivi enormi e molteplici estinzioni di massa.
Ecosistemi estremofili anaerobici e aerobici coesistono tuttora in nicchie specifiche, come ad esempio nelle zone anossiche dei fondali oceanici o all’interno di grotte, mostrando come sistemi biologici differenti possano convivere per lunghi periodi.
La morale della storia
La conclusione è molto semplice: quando si osservano pianeti situati nella fascia di Goldilocks, non bisogna automaticamente essere ottimisti e pensare che la vita vi sia facile e scontata.
Gli scienziati devono mantenere un approccio rigoroso e critico, perché d’altronde Venere è un gemello chimico e fisico della Terra, ma è un ambiente ostile alla vita. Bastano pochi elementi per trasformare un paradiso in un inferno.
Ma se siete autori di fantascienza e volete far emergere la vita su questi pianeti, nella stragrande maggioranza dei casi la cosa è pienamente plausibile e molto terrestre. La vita, nella sua forma più semplice, è incredibilmente resiliente e adattabile.
Mi stupisce quindi la mancanza di fantasia, dato che con migliaia di pianeti “terrestri” scoperti, fermarsi a escludere quelli tidally locked mi sembra un esercizio di pigrizia mentale.
La vera sfida è immaginare come e dove la vita potrebbe nascere e adattarsi, non semplicemente escludere a priori intere classi di mondi.
Uriel Fanelli
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