Ho visto Terrazza Sentimento...
così non dovete farlo voi. E fidatevi: non dovreste farlo.Avrei dovuto insospettirmi fin dall’inizio. Quando su Netflix selezioni film italiani, la metà è dedicata a casi di cronaca nera (Gambirasio, Meredith, eccetera), mentre l’altra metà è composta da quei polizieschi che piacciono solo se hai ottantacinque anni, vivacchi sulla poltrona e aspetti la morte, possibilmente per annegamento. Sulla poltrona.
Terrazza Sentimento appartiene alla stessa categoria: roba fiacca, depressa e depressiva.
La chiamano docuserie, ma a conti fatti non è né docu né serie. Serie non lo è perché sono solo tre puntate; docu non lo è perché manca la sostanza. Gli autori tentano disperatamente di darle un vestito documentaristico con una valanga di interviste, specialmente a figure sbirroidi. Peccato che buona parte degli eventi sia ancora sepolta in atti giudiziari, vincolati e non divulgabili. Nessuno può dire niente. Risultato? Parlano tutti senza poter dire nulla. Il resto non viene detto o mostrato, per rispetto verso le vittime.
È come una grappa analcolica: ha la bottiglia, l'etichetta e perfino la retorica, ma quando la bevi… non c’è nulla. Un documentario senza fatti, senza verità, senza il minimo rischio narrativo. Pane senza pane. Porno alla radio.
Non so che genere di messaggio voglia mandare questa "serie". Potevo capire l'allarme - per quanto didascalico e incompetente - di "Adolescence". Ma qui siamo ad una serie scritta, a mio avviso, da qualche immobiliarista.
Cosa dice, di fatto, il "documentario"? Cosa imparate, guardandolo, visto che dai documentari si imparano cose? Be....
- Nel mondo del cinema italiano c’è ancora gente che usa l’espressione “Milano da bere”. Non è più in voga dagli anni ’80. Evidentemente il pubblico previsto è fatto di ottantenni reali, non “attempati”: proprio ottanta anni, pantofole, dentiera e pannolone.
- Esistono le troie da party, che sono anche troie da yacht: sniffano coca, si fanno scopare, fanno festa, vanno sugli yacht perché sono troie. Ma attenzione: non puoi chiamarle troie, se il documentario le vuole vittime di violenza. Voilà, contraddizione servita.
- Tra i ricchi milanesi gira cocaina di ogni tipo: il documentario la presenta come la normalità. Milano, quindi, è ancora la città dove ci si diverte come i veri ricchi secondo Vanzina — cioè i ricchi come se li immaginano i poveri.
- A Milano, se sei ricco, compri attici da sogno e case da rivista. Se non sei ricco ma sei una troia da party, vai alle feste dei ricchi e fai finta di appartenere a quella ricchezza vanziniana. È Vacanze nel Troiaio.
- In queste feste sniffi la droga da ricchi — la cocaina da yacht — e in una di queste feste succede una cosa brutta. Non possono raccontarla bene perché gli atti sono secretati, quindi la semplificano così: uno si scopa una tizia strafatta per una notte e un giorno, sporcando le lenzuola. Ma sia chiaro, la tipa era strafatta. “Ovvio”, perché al party erano tutte strafatte.
- La morale implicita è ridicola: la droga è brutta se è la droga dei poveri. Se invece è cocaina da attico, allora è normale. E comunque “non succede sempre”. Però può succedere. Specialmente ai ricchi. E' allucinante, ma a Milano i ricchi sono allucinanti.
- Il documentario si stupisce del fatto che lo stupratore non avesse rispetto per le donne. Cosa che si deduce da alcune cose che ha scritto sul cellulare. Wow, scoperta dell’acqua calda. Non vincerà un Nobel, ma tranquilli: c’è sempre il Patriarcato da incolpare.
- Messaggio finale sottotraccia: a Milano, per essere beccati a stuprare una troia da party drogata, dovete combinarla grossa. Ma proprio grossa. Quindi: venite a Milano, c’è la bella gente, c’è la cocaina, è pieno di troie da party e — sottotesto — il rischio di conseguenze penali è minimo.
Tutto il documentario dice:
"Tranquilli, Milano e' ancora la Milano da Bere degli anni '80, e se siete dei ricchi vecchi cocainomani potete ancora venire, spendere un botto per fare delle feste, e insomma, la vita notturna e il sesso e la coca, e tutto come sempre, venite anche voi a contribuire al prezzo degli affitti. Turismo sessuale at its best."
Lo so che sembro cinico.
Ma trovo infinitamente più cinico produrre un documentario sapendo in anticipo che, tra i limiti editoriali di Netflix, i vincoli delle carte processuali e il mantra del “non possiamo dare i particolari per proteggere le vittime”, l’unica cosa che puoi ottenere è una scatola vuota.
Da un documentario ci si aspetta — se non la verità — almeno la realtà.
Qui invece i filmati delle telecamere sono redatti, sfocati, mutilati:
le facce non si vedono, l’audio non c’è, la narrazione è solo una voce fuori campo che cerca disperatamente di riempire il vuoto. È “Dei soldi e delle troie”, ma senza il coraggio di mostrare niente. Sarebbe quasi vanziniano, se comparisse almeno un capezzolo.
Del fatto che la vittima sia stata stuprata con tutta una serie di attrezzi — al punto da procurarle lesioni gravi — rimane solo una foto: un letto sporco di qualcosa.
Non sembra nemmeno sangue.
Forse lo hanno cambiato di colore per non scioccare il pubblico? Perché la violenza può essere mostrata, ma solo se non disturba la digestione dello spettatore.
La cosa più inquietante non è il caso in sé, ma la confezione.
L’unica verità che emerge, a differenza delle ingenuità didascaliche di Adolescence, è che l’immaginario italiano non lo producono più i registi: lo producono i telegiornali.
Il risultato è semplice: un crimine vero impacchettato come intrattenimento, ma svuotato di fatti, dettagli, contesto, senso.
Una tragedia trasformata in rumore visivo.
Se siete ottantenni benestanti che sognano di trasferirsi a Milano, comprare un attico e organizzare feste con droga e troie, questo documentario è perfetto per voi. Vi confermerà che state investendo bene il vostro denaro e che il divertimento è garantito. Il real estate milanese potrebbe perfino aver finanziato la "docuserie" per avergli fatto pubblicità gratuita.
Ma se pensate di capire che cosa sia successo davvero, avete sbagliato serata e avete sbagliato vita: questo non è il documentario giusto. È marketing immobiliare vestito da documentario.
Non avete ancora comprato un attico a Milano? No? Niente troie?
Siete dei povery.