Hate Bait: come si fabbrica un martire (e perché è una pessima idea)

Hate Bait: come si fabbrica un martire (e perché è una pessima idea)
Die Hard: With a Vengeance (1995), quando McClane viene spedito ad Harlem con un cartello “I hate Niggers”.

Quando ho letto il titolo di un post — «È morto Kirk» — ho avuto un riflesso pavloviano: — Cazzo, ’sti Klingon, non se ne può più; rimandiamoli al loro pianeta. Poi ho realizzato che in realtà si parlava di sto tizio americano, non di fantascienza: colpa dell’algoritmo che ormai mescola necrologi e meme nello stesso secchio. La mia prima tentazione è stata di liquidare la faccenda: — Ok, esercizietto di calcolo delle probabilità riuscito; adesso possiamo tornare alla nostra lezione. —

In realtà lo conoscevo benissimo: era il solito predicatore americano in versione tour motivazionale. Solo che, invece di guarire finti paraplegici dalle sedie a rotelle, “vince” i dibattiti scegliendosi platee comode: le facoltà umanistiche negli Stati Uniti. È facile così: entri nel pollaio col lanciafiamme e poi chiedi chi ha vinto.

Charlie Kirk non andava a Oxford, dove si formano avvocati da novecento sterline l’ora — lì il lanciafiamme te lo infilano dove non è mai arrivata la luce del sole.

Nel caso di unità di A che, dopo visita ex art. 110 UNCLOS a presunto stateless boat in alto mare, impone rimorchio/sbarco in C via MoU opaco nonostante richieste d’asilo — compatibile con dovere di soccorso/PoS (UNCLOS 98; SOLAS V/33; SAR; IMO MSC.167(78)) e con non-refoulement sotto giurisdizione di A (ECtHR Hirsi Jamaa 2012; Medvedyev 2010; Al-Skeini 2011)? Pensa che A può rifiutare lo sbarco e ordinare “diverted disembarkation” ex Reg. (UE) 656/2014 senza responsabilità internazionale?

E il tipo si disintegra al rientro nell'atmosfera.

Charlie Kirk non andava alla Sorbona, dove non puoi vincere per principio: ti servono tre PhD solo per capire la domanda che ti fa il pubblico.

— What do you make of the performative co-production of the category “illegal migrant” as a field effect—between a security habitus (Bourdieu 1980) and dispositifs of governmentality/biopolitics (Foucault 1978–79)—where deportability functions as a technology of power (De Genova 2002)?
— Are “evidence-based” policies merely regimes of justification (Boltanski & Thévenot 1991) stabilized by self-fulfilling indicators (Merry 2016), actor-network chains (Latour 2005) and border assemblages (Deleuze & Guattari 1980), with implications for performative identities (Butler 1990) and the necropolitics of saving/letting-die (Mbembe 2003)?

Nope. Charlie Kirk ha preso di mira le facoltà umanistiche delle università americane.

Donne! e' arrivato l'arrotino.(cit.)

Quindi l’avevo già archiviato alla voce “predicatore para-religioso”: mi aspettavo quasi il classico ingresso del cieco di scena o del paraplegico pronto al prodigio — appena lui, dopo la sua brillante schermaglia con la domanda razzista «i negri sono negri?», avrebbe sfoderato il sorrisetto da santone. Format collaudato: call-and-response, applausi, e miracolo di palco. Niente acqua benedetta — bastano clip verticali e sottotitoli motivazionali.


Ma qui voglio introdurre un nuovo concetto, l' Hate Bait.

Per “Hate Bait” intendo una strategia per alzare l’engagement: rendi qualcuno così detestato e caricaturale che finisce sulla bocca di tutti. L’indignazione genera click, i click dettano l’agenda: clip virali, talk-show, timeline sature. Se i giornali abboccano, l’ossigeno mediatico, lo spazio, lo prende tutto lui; e se si parla di ogni starnuto di Trump (o dei suoi sodali), ovviamente non si parla dei democratici o degli avversari. Risultato: i democratici “scompaiono” perché l’economia dell’attenzione paga più per Trump che fa le scoreggine con l’ascella che per la Harris che tiene il miglior discorso dai tempi di Silla. È un loop di indignazione: tu odi, lui incassa.

È una tecnica che conosciamo fin troppo bene, e sappiamo che i giornalisti fessi ci cascano sempre — in USA come in Italia. Salvini, Gasparri o Vannacci sparano la boiata indecente, puf: ondata d’odio; puf: titoli d’apertura ovunque. Intanto scivolano in fondo le “quisquilie” — tipo raddoppio delle tasse o, perché no, la Ius primae noctis che diventa legale con beneficiario il sindaco. Dettagli. L’importante è fissare lo sguardo su Salvini che dice l’ennesima indecenza. È Hate Bait puro: loro provocano, tu ti indigni, l’algoritmo premia, e l’agenda si chiude lì. E Kirk (quello senza Klingon) domina Youtube, il social dell'odio.


È una tecnica che però presenta rischi reali. In un paese saturo d’armi, il calcolo delle probabilità non gioca a tuo favore: lIn un Paese dove circolano circa 393 milioni di armi civili (stima 2017, Small Arms Survey), se semini odio a livello nazionale, sei solo un morto che cammina. Se qualcuno avesse calcolato gli orbitali degli atomi di Charlie Kirk , li avrebbe trovati tutti in una tomba, tanto era probabile la sua morte.


Per capirci: pensate a Die Hard: With a Vengeance (1995), quando McClane viene spedito ad Harlem con un cartello “I hate Niggers”. È Hate Bait portato all’estremo, e lui -nel film - si salva solo perché qualcuno interviene a disinnescare l’incendio che ha acceso.

Ma la realtà non è un film. Se vai in giro a seminare odio — roba tipo «gli ebrei controllano l' America», «i neri sono più stupidi dei bianchi», «le donne non devono abortire neppure se stuprate» — stai giocando con la miccia. In un Paese così armato, le probabilità che qualcuno reagisca con violenza non sono trascurabili: aumentano. Ogni talk, ogni clip, ogni palco alza il rischio statistico — per te e per chi ti sta attorno. L’Hate Bait funziona finché non funziona più; poi arrivano le conseguenze, reali e irreversibili.

Deve essere chiara una cosa. Per Charlie Kirk, il problema non sera "se". Il problema era "quando".

Ogni settimana uno come lui attraversava un fiume di mille facce: foyer, fila al metal detector, selfie, applausi. In un paese con 393 milioni di armi civili, la variabile che conta è quante persone le portano addosso in quel momento. Se anche solo il 2,3% del pubblico è armato, su mille ne hai in media 23: la probabilità di incrociarne almeno una è praticamente 100%. Metti che il locale sia più rigido (quindi vai al coperto anziche' esporti ai cecchini) e scendiamo allo 0,5%: attesi 5 armati con permesso legale di portare armi ovunque, chance ~99,3%. Scenario ancora più “prudente”, 0,2%: attesi 2, probabilità ~86,5%. Persino allo 0,1% (uno su mille) resti a ~63,2%. Traduzione in prosa: con quei numeri, a quel ritmo, prima o poi nella tua sala c’è una pistola—e “prima o poi” tende a “quasi sempre” se replichi lo show settimana dopo settimana.

E vale anche per gli “influencer” Alt-Right più noti su YouTube — Jordan Peterson, Blair White, Steven Crowder, Ben Shapiro, Matt Walsh, Candace Owens, Tim Pool, Dave Rubin, Michael Knowles, Tucker Carlson, Nick Fuentes, Alex Jones, Richard Spencer, Lauren Southern, Paul Joseph Watson, Gavin McInnes.

I segnali ci sono, eccome: Blair White ha raccontato di essersi trasferita cambiando Stato dopo un doxxing; Alex Jones è stato condannato a risarcimenti nell’ordine del miliardo di dollari per le sue menzogne su Sandy Hook; Tucker Carlson è stato allontanato da Fox News, la carriera accademica di Jordan Peterson annientata. Insomma: l’Hate Bait non paga benissimo.

Paga in impression — e quindi in soldi, nell’economia del click. Ma paga male in termini di vita privata, contenziosi e stabilità professionale. A volerla dire tutta, paga malissimo anche in termini di sopravvivenza, in un paese come gli USA.


Mi dispiace per i fan, ma — sul piano delle probabilità — Charlie Kirk era già morto da anni. Se ti metti davanti a mille persone ogni settimana, in un paese con 393 milioni di armi civili, l’hazard non è mai zero: la legge dei grandi numeri fa il resto. Non è il proiettile che “ti cerca”, sei tu che, replica dopo replica, gli vai incontro statisticamente. Quello che è successo assomiglia a un entanglement strambo: due traiettorie che si intrecciano finché una non collassa sull’altra. Niente magia quantistica, ovvio — la costante di Planck è troppo bassa perché la tua funzione d’onda interferisca con qualcosa che non sia la tua agenda. È solo aritmetica applicata allo show business: se giochi abbastanza a lungo con l’Hate Bait, il dado smette di essere fortuna e diventa proiettile.

Sia chiaro: la spada di Damocle probabilistica pende su molta più gente di quanto ammettano. E ha tre forme.

  • Dimensionali. Apri il canale, fai il tour, ma ti seguono “solo” 80–100 mila persone. Troppo pochi per pagarti scorte, troppi per passare inosservato. Parrocchie, auditorium di provincia, centri culturali col volontario alla porta: filtri minimi, corridoi stretti, uscite laterali in comune col pubblico. La curva del rischio qui è tutta logistica: piccola platea = poca barriera, e ogni settimana rimetti la testa sotto la ghigliottina.
  • Temporali. Sei un Hate Baiter “in pensione”: hai fatto i soldi, ti sei comprato il ranch, hai smesso. Peccato che l’odio non vada in pensione. Gli archivi restano, gli algoritmi ripropongono, gli ossessionati non scordano. Il tuo hazard non torna mai a zero: è una variabile con memoria. Anni dopo, un singolo fissato può sincronizzarsi con il tuo percorso come un treno in orario.
  • Casuali. Sei caduto in disgrazia, tipo Milo Yiannopoulos: demonetizzato, bandito, entourage dissolto. Diventi più accessibile proprio mentre il tuo “debito d’odio” resta intatto. Meno barriere, stesso numero di nemici. Auguri.

Morale semplice: la fama alimentata dall’Hate Bait ti dà impression oggi e un conto di rischio che matura interessi domani. E il rischio, a differenza dei like, non scade.


E questo vale anche per politici italiani.

L'Hate Bait paga male.

Sempre.