Gli Incappucciati della politica italiana.

Gli Incappucciati della politica italiana.

Leggendo i quotidiani italiani al mattino, mi sono imbattuto in un curioso fenomeno ricorrente. Oggi la cosa era particolarmente esplicita, ma in realtà è da tempo che noto un fil rouge: una certa ossessione per il cosiddetto “centro”, una chimera politica evocata sempre più spesso, con articoli e commenti che si moltiplicano a ritmo crescente.

A questo punto viene spontaneo chiedersi cosa si intenda davvero per “moderazione”. Se restiamo nell’ambito della sinistra, il termine può avere un senso comprensibile: essere moderati significa non collocarsi all’estremo, mantenere una certa apertura al compromesso, cercare soluzioni praticabili anche quando la purezza ideologica imporrebbe rigidità. In altre parole, un atteggiamento che, pur restando all’interno dello stesso perimetro politico, si differenzia dalla radicalità assoluta e si concede margini di trattativa.

Ora, se questo è il concetto di moderazione, come si può definire “moderato” chi, partendo dalla sinistra, decide di votare per Giorgia Meloni? Qui non parliamo di sfumature o di attenuazioni, ma di un salto netto, un vero e proprio ribaltamento di prospettiva. Non è che, passando dal sostenere un partito progressista al dare il proprio voto a un partito di matrice postfascista, si stia facendo un gesto di equilibrio o di mediazione: si è semplicemente abbandonata la sinistra. Non c’è compromesso, c’è solo il cambio radicale di campo.

Perciò, questi presunti “moderati” risultano alquanto difficili da inquadrare. Se davvero non si accorgono dell’enormità della loro scelta, allora il termine più corretto per descriverli non sarebbe “moderati”, bensì “incompetenti”, persone che non comprendono la portata politica del gesto che compiono. Se invece sono perfettamente consapevoli, ma non gliene importa nulla, allora siamo davanti a un’altra categoria: gli “amorfi”, coloro per i quali non conta chi governa, quale idea di società si affermi, o quali diritti vengano messi in discussione, purché abbiano la sensazione di aver “fatto il loro dovere” andando a votare. Una sorta di elettore apatico, che scambia l’atto meccanico del voto per partecipazione politica, ma in realtà delega completamente il proprio ruolo di cittadino.


E se adesso volgiamo lo sguardo ai cosiddetti “riformisti”, la prima domanda inevitabile è: chi sono, esattamente? Sappiamo che orbitano attorno a Massimo D’Alema, forse il politico italiano più abile nell’arte — curiosa e inspiegabile — di occultare l’intelligenza che tutti gli attribuiscono (per ragioni altrettanto misteriose. Ma non è questo il punto centrale.

Il vero nodo sta altrove: i “riformisti”, per quanto si capisce, sono non solo disposti ad accogliere i “moderati” nelle loro fila, ma addirittura sembrano impazienti di spalancare le porte. Ed ecco che sorge la questione cruciale: che tipo di programma politico può mai costruire una corrente che si entusiasma all’idea di imbarcare elettori capaci di votare indifferentemente per Elly Schlein o per Giorgia Meloni?

Un partito o una corrente che non distingue tra queste due opzioni non sta praticando la moderazione, sta semplicemente rinunciando a qualsiasi identità politica. Perché se l’elettore “moderato” può saltare senza difficoltà da una leader progressista a una premier di destra radicale, vuol dire che il discrimine non è più il contenuto, il progetto, la visione del Paese, ma una sorta di fluttuazione d’umore, un “vediamo come gira il vento”. E allora viene da chiedersi: che senso ha inseguire questa categoria, se il risultato è annacquare ogni principio per adattarsi a chi, di principi, non sembra averne affatto?


La verità è che questo gruppo dei cosiddetti “moderati” risulta, alla fine dei conti, estremamente comodo. Proprio perché amorfi, privi di identità definita, non si aspettano nulla di preciso e, di conseguenza, nulla ottengono. Se la vostra ambizione è costruire un partito che si proclami “di sinistra” ma che, una volta al governo, pratichi tranquillamente politiche di destra, ebbene: questa è esattamente la corrente di cui avete bisogno.

Facciamo un esempio per capirci meglio. Se volete raccogliere voti facili in una determinata fascia sociale, potreste lanciare uno slogan del tipo: «Votami, e potrai finalmente picchiare i nekri». Funziona: la promessa è semplice, brutale, immediata. Il guaio, però, si presenterà dopo. Perché una volta al governo, il parlamentare eletto con quella bandiera busserà alla porta del vostro ufficio, reclamando coerenza: «Allora? Eh? Eh? Dove si mena? Quando partiamo a menare i nekri?». A quel punto, dovrete rispondere.

Con gli amorfi, invece, questo rischio non esiste. L’elettore amorfo si lascia sedurre dalla retorica della “moderazione”, cioè dalla promessa di un partito altrettanto amorfo, che non prende decisioni nette e non assume mai posizioni troppo chiare. Non vi verrà mai a disturbare per pretendere l’attuazione di un programma preciso, perché non se ne aspetta alcuno. Non vi chiederà mai di “fare” qualcosa, semmai vi ostacolerà quando tenterete di intraprendere una qualsiasi iniziativa concreta. Perché, in fondo, l’amorfo non desidera un governo che agisca: desidera un governo che si limiti a non intralciare, che galleggi, che lasci le cose esattamente come stanno.

Ed è proprio per questo che tutti, alla fine, cercano di arruolare gli amorfi nei loro partiti. Sono la massa ideale: non rivendicano, non controllano, non chiedono conto. E se talvolta brontolano, lo fanno solo per impedirti di muoverti troppo, mai per spingerti a mantenere una promessa. In un panorama politico costruito sulla gestione dell’immobilismo, sono l’alleato perfetto.


E allora, quando leggiamo sui giornali che il futuro della politica italiana dipenderebbe da “moderati” e “riformisti”, non stiamo davvero assistendo a un dibattito alto sulle sorti del Paese: stiamo semplicemente guardando l’ennesima riedizione del gioco delle tre carte. Da una parte ci sono i “riformisti” che fingono di avere un progetto, dall’altra i “moderati” che non hanno alcuna identità, e in mezzo un’intera classe politica che campa sull’equivoco.

Il risultato è che l’Italia non si muove mai: resta sospesa in un eterno presente, dove i partiti parlano di compromessi, ma in realtà non scelgono nulla, non rischiano nulla e non cambiano nulla. In questo senso, gli amorfi sono la materia prima perfetta: inerti, disponibili, facilmente manipolabili.

E così, ogni mattina, leggendo i giornali, non scoprite dove va la politica: scoprite soltanto quanto lontano sia disposta a NON arrivare per NON andare da nessuna parte.


E per fare questo, gli amorfi sono il massimo. Poi, per non ammettere la loro inconsistenza, li si riveste di etichette rispettabili, si cerca di dar loro una patina di dignità chiamandoli “moderati” o “riformisti”.


Ma la verità è semplice: il nome corretto è uno solo — amorfi.