Giudici e magistrati.

Giudici e magistrati.

Se c’è una categoria che non sopporto, sono gli Opliti del Bene — quelli che, a destra come a sinistra, riescono a trasformare qualunque innovazione ragionevole in un incubo distopico. Prendono un provvedimento quasi ovvio, lo spremono dentro una narrazione pseudo-storica, tirano fuori riferimenti a “periodi bui” e alla fine sembra che chi lo propone sia Satana con il timbro della Procura.
Esempio pratico: la separazione delle carriere tra magistratura requirente (PM) e giudicante.

La domanda di base è semplice: che problema si vuole risolvere?

Per capirlo, dobbiamo fare un passo indietro.

L’Italia esce dalla Seconda guerra mondiale con un sistema processuale modellato sul cosiddetto rito inquisitorio. “Inquisitorio” non significa roghi e cappucci neri: vuol dire che il giudice concentra nelle proprie mani la direzione delle indagini e il processo stesso. È un modello nato nell’Ottocento, pensato per uno Stato forte che controlla il procedimento dall’inizio alla fine. Nel tempo genera una patologia: quella che molti giuristi hanno definito “giustizia funzionale allo Stato”, non necessariamente al cittadino.

Negli anni successivi, soprattutto a partire dagli anni ’70 e ’80, iniziano tentativi di modernizzazione. Il punto di svolta arriva con la riforma del codice di procedura penale del 1988 (entrata in vigore nel 1989), che tenta di traghettare il Paese verso un modello più democratico e coerente con lo Stato di diritto: il processo accusatorio.
In sintesi:

  • da una parte c’è l’accusa, autonoma;
  • dall’altra la difesa, con diritti paritari;
  • al centro un giudice terzo, che non indaga e non accusa, ma valuta.

Questo è il modello delle democrazie mature. Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia: ovunque il giudice non è una figura che “fa tutto lui”.

In Italia, però, è rimasto un punto irrisolto: accusa e giudici appartengono allo stesso corpo, condividono concorsi, carriera e organi di autogoverno (il CSM). E possono passare da PM a giudice e viceversa semplicemente con una domanda.

Ed è qui che nasce la questione della separazione delle carriere.


Prendiamo i paesi sui quali ho trovato notizie certe:

Paese (>30M ab.) Ruolo del giudice nelle indagini Note sintetiche (pratiche, non giuridiche)
Stati Uniti DEBOLE Il giudice interviene solo come giudice delle garanzie: warrant, habeas corpus, nulla di più.
Regno Unito DEBOLE Investigazione dominata da polizia + accusa. Il giudice non “segue” l’indagine.
Canada DEBOLE PM e polizia gestiscono tutto; il giudice appare solo per autorizzazioni limitative.
Australia DEBOLE Struttura analog common law: giudice non coinvolto nella fase investigativa.
Irlanda DEBOLE Come UK: giudice terzo, non parte dell’indagine.
Francia MODERATO / FORTE (a seconda del caso) Esiste il juge d’instruction (forte), ma usato in meno del 5–7% dei casi; altrove controllo moderato.
Germania DEBOLE Il PM dirige davvero l'indagine. Il giudice interviene solo per atti invasivi.
Spagna FORTE Presenza del juez de instrucción, che conduce l’istruttoria.
Portogallo MODERATO Giudice delle garanzie: controlla, non dirige.
Polonia MODERATO PM conduce, ma il giudice ha un ruolo di controllo significativo.
Romania MODERATO PM indaga, ma ruolo del giudice più presente che in Germania.
Italia FORTE Il GIP/GUP è onnipresente in indagine: intercettazioni, misure cautelari, sequestri.
Brasile DEBOLE Indagini in mano al Ministério Público e alla polizia; giudice interviene solo per garanzie.
Messico DEBOLE (post riforma 2016) Processo accusatorio orale; giudice quasi assente in indagine.
Argentina MODERATO (in transizione) Passaggio verso modello accusatorio; giudice ancora presente in alcune fasi.

Come potete vedere, Italia e Spagna si trovano in una posizione strana, e condividono il fatto che il giudice ha un controllo forte sulle indagini.

E questo e' il problema: la distinzione tra processo accusatorio e processo inquisitorio e' solo un sintomo. Il fatto che il giudice abbia controllo sulle indagini e' , se vogliamo, un figlio della mentalita' del processo accusatorio, ma in realta' il fatto che le carriere siano unificate conta davvero poco: per esempio, in Germania la carriera del giudice e quella del PM sono unificate, ma il giudice non mette bocca nella fase di indagine. Nessun tipo di giudice.


Il problema, a quanto pare , viene travisato da entrambe le parti.

  • Quelli di sinistra mentono quando dicono che non c'e' alcun bisogno di separare i due ruoli, perche' se lo fai allora i giudici diventano "controllabili", per motivi misteriosi.
  • Quelli di destra vendono che tutto il problema sia la separazione delle carriere , quando il problema sta nel ruolo dei giudici al fianco dei magistrati, in fase di indagine.

Ecco la situazione nel mondo:

Paese (>30M) Ruolo del giudice nelle indagini Carriere PM–Giudici
Stati Uniti DEBOLE SEPARATE
Regno Unito DEBOLE SEPARATE
Canada DEBOLE SEPARATE
Australia DEBOLE SEPARATE
Irlanda DEBOLE SEPARATE
Francia MODERATO / FORTE* PARZIALMENTE SEPARATE (stesso corpo magistratura ENM)
Germania DEBOLE PARZIALMENTE SEPARATE (tecnicamente possibile il passaggio, ma raro)
Spagna FORTE PARZIALMENTE SEPARATE
Portogallo MODERATO PARZIALMENTE SEPARATE
Polonia MODERATO SEPARATE
Romania MODERATO SEPARATE
Italia FORTE UNIFICATE (stesso concorso, stesso CSM, passaggio PM↔Giudice)
Brasile DEBOLE SEPARATE
Messico DEBOLE SEPARATE
Argentina MODERATO SEPARATE

Come vi dicevo, c'e' correlazione, ma in italia si verifica, caso unico, la presenza SIA di un giudice che ficca il naso nelle indagini , sia del fatto che appartengono allo stesso corpo dello stato, con carriere unificate.

Del resto, le date parlano abbastanza chiaro:

Paese (>30M) Data fine inquisitorio / introduzione accusatorio Note (evento storico / riforma)
Stati Uniti 1776 Nascita dello Stato → recepisce direttamente il modello accusatorio della common law.
Regno Unito XVIII secolo (consolidamento) Evoluzione dal sistema medievale → consolidamento del processo accusatorio basato sul contraddittorio.
Canada 1867 Confederazione canadese → adozione del modello accusatorio UK.
Australia 1901 Federazione australiana → applicazione del processo accusatorio della common law.
Irlanda 1937 Costituzione irlandese → adozione sistema accusatorio (derivazione UK).
Francia 1958–1981 Ordinanza 1958 + riforme successive riducono il potere del giudice istruttore.
Germania 1974–1987 Serie di riforme al Strafprozessordnung → il commissario diventa responsabile dell’indagine.
Spagna 1988 Riforma del Código Procesal Penal → processo misto moderno (mantiene giudice istruttore).
Portogallo 1987 Nuovo Código de Processo Penal → nasce il giudice delle garanzie; PM dirige indagini.
Polonia 1997 Nuova Costituzione + riforme successive → modello accusatorio/misto contemporaneo.
Romania 2003–2014 Riforme richieste da UE → abolizione del giudice istruttore e passaggio al PM investigatore.
Italia 1988 (in vigore 1989) Nuovo codice di procedura penale → introdotto processo accusatorio solo teorico.
Brasile 1988 Costituzione federale → modello accusatorio con Ministério Público autonomo.
Messico 2008 (effettivo dal 2016) Riforma costituzionale → abbandono del processo scritto inquisitorio.
Argentina 2014 (transizione in corso) Riforma del processo penale → dibattimento orale e PM autonomo.

Ora, il punto è questo: il modello accusatorio, quello in cui accusa e difesa stanno sullo stesso piano e il giudice è davvero terzo, in Europa arriva con lentezza. Ma in Italia e in Spagna arriva tardi e male.

Il nodo non è soltanto la separazione delle carriere. Il problema è più profondo: riguarda la separazione dei ruoli.
Nel nostro sistema, il giudice continua a essere una figura onnipresente. Anche quando il codice dice “processo accusatorio”, nella pratica il giudice mantiene un piede nelle indagini e uno nel processo.

In Italia pubblici ministeri e giudici non solo sono colleghi, non solo fanno parte dello stesso corpo, ma condividono la fase delicatissima dell’indagine: il PM chiede, il giudice delle indagini preliminari autorizza, valuta, decide. È un circuito chiuso.

In sostanza: nel resto del mondo accusa e giudice sono distanti, da noi si siedono allo stesso tavolo.


Qual è il risultato di questo meccanismo?

Se un giudice vuole assolvere deve, di fatto, smentire tutto il lavoro fatto prima: quello del PM, del GIP, del GUP e, a volte, perfino del tribunale del riesame. In pratica deve dire: “tutti i colleghi che mi hanno preceduto hanno lavorato a cazzo di cane”.

E non stiamo parlando di interlocutori esterni: sono colleghi di stessa carriera, stesso organo di autogoverno, stessa cultura. Nel dubbio, la strada meno conflittuale è lasciare che il processo vada avanti fino a quando tutti i colleghi coinvolti nelle indagini abbiano fatto carriera.

È qui che nasce l’effetto perverso:

  • se l’imputato viene condannato, tutto fila liscio e rapido: nessuno deve mettere in discussione nessuno;
  • se invece emergono elementi per assolvere, paradossalmente il processo tende ad allungarsi, perché serve tempo per “lasciar decadere” le fasi precedenti, far ruotare gli attori, cambiare magistrati.

In pratica: non è che l’assoluzione non arrivi. È che ci mette un’eternità. Se venite accusati e siete innocenti, quindi, rassegnatevi: ci vorra' molto, molto, molto tempo.

E questa è la ragione per cui in Italia le condanne arrivano più in fretta delle assoluzioni: una condanna conferma il lavoro di chi è venuto prima, un’assoluzione lo scredita.

Chi pensa a Garlasco, e' un maligno.


C’è un altro capolavoro della giustizia italiana: la sentenza acchiappalacrime per evitare i conflitti interni.

Quando un giudice deve assolvere, deve smentire almeno tre colleghi:

  • il PM che ha costruito il teorema,
  • il GIP che l’ha timbrato come un pacco Amazon,
  • il GUP che l’ha impacchettato per il dibattimento.

E spesso, ciliegina sulla torta, pure il tribunale del riesame.

È un rodeo interno. Per assolvere qualcuno, il giudice dovrebbe dire pubblicamente:

«I miei colleghi hanno lavorato come se avessero il cervello impostato in modalità risparmio energetico

Ma siccome in magistratura ci si muove come in un condominio di ossessionati dal regolamento, e le ripicche sono più veloci della PEC, nasce il genere più tossico della letteratura giudiziaria italiana:

LA SENTENZA QUANTISTICA

Quella in cui l’imputato è contemporaneamente colpevole e innocente, ma in una forma esoterica:

“L’azione è volontaria, ma solo in senso non volontario, bensì preter-para-iper-intenzionale.”

Che tradotto significa:
“È innocente, ma non posso dirlo senza far sembrare che qualcuno abbia fatto una figura di merda professionale.”

A quel punto il cittadino legge la sentenza e non capisce se Hannibal Lecter volesse davvero pranzare il vicino con chianti e olive,
oppure se fosse finito involontariamente a MasterChef – Edizione Cocaina e Uranio Impoverito.

Le motivazioni diventano un delirio di parole inventate per non pestare calli:

“Non è che il collega abbia sbagliato, eh… è che la condotta presenta profili di abnorme preter-turbo-preternaturalità.”

Che è il modo legalese per dire:

“È innocente, ma lasciami uscire di scena senza che il PM mi bruci la macchina in parcheggio col potere della passivo-aggressività.”

Alla fine, la sentenza non assolve:
si giustifica.

È come vedere qualcuno che, per non dire a un amico “guarda che hai sbagliato”, scrive otto paragrafi di filosofia esistenziale e cita Heidegger.

Motivazioni così surreali che Kubrick, al confronto, sembra un documentarista RAI.


Su tutto questo si innesta il Progetto Cagnara™.

È il nome che do a quel giornalismo che non informa: copre, distorce, imbottisce di fuffa, perché ormai va a letto con la politica — spesso senza neanche il pudore di tirare giù le tende.

La parola d’ordine del Progetto Cagnara è una sola:

“Non fate capire niente a nessuno.”

E ci riescono benissimo.

Da una parte ci sono i puri di sinistra, quelli seduti sul trono moralista, ancora in hangover permanente dalle sbornie di Mani Pulite.
Continuano a ripetere che:

«Il sistema va benissimo così, è già accusatorio.»

Sì, certo. Accusatorio come un water chimico in agosto.
Il codice è accusatorio, la prassi è inquisizione con la toga stirata.

La verità è semplice:
hanno paura di perdere il giocattolo del “processo mediatico al potente di turno”.

Dall’altra parte c’è la destra da bar sport giuridico, che vede nella “separazione delle carriere” la bacchetta magica universale:

«Basta separare le carriere e tutto si risolve.»

Sì, come no.
Il problema non è solo carriera: e' la presenza di giudici in fase di indagine.

È contaminazione.

PM e giudici lavorano insieme nella fase di indagine.
Sono colleghi, vivono nello stesso ecosistema, respirano la stessa aria.
Separare le carriere senza cambiare la cultura è come sterilizzare un coltello arrugginito: rimane un coltello arrugginito.

E qui sta il punto che nessuno vuole dire — né a sinistra né a destra:

La cultura della magistratura italiana è ancora quella del processo inquisitorio.

Non importa quante riforme fai, quanti codici cambi, quanti convegni organizzi con le slides animate.

Se la mentalità resta questa:

  • PM = “Custode della Verità Assoluta”
  • Giudice = “Tutor del PM con marca da bollo”

il processo accusatorio resterà solo un cosplay.


Mi fa morire dal ridere chi si presenta come il Messia del “finalmente avremo un processo accusatorio!”.
Sì, certo, come no.
Trasformare la giustizia italiana in un sistema accusatorio è l’equivalente istituzionale del mettere un jetpack a un mulo e aspettarsi che decolli.

Il problema non è il codice.
Non è nemmeno la riforma.
È la cultura.

Una cultura che si tramanda come una maledizione medievale, creando una corporazione chiusa, impermeabile, autoreferenziale.
Una confraternita.
Altro che potere dello Stato: sembra un ordine monastico con l’ossessione per le misure cautelari.

E adesso vogliono dividerla in due?
Fantastico.
Prima una corporazione, ora due feudi.
Ci vorrà mezz'ora prima che inizino gli scambi di favori, i “ti copro oggi, mi copri domani”.
È la logica dei clan, non delle istituzioni.

Per questo la riforma è fumo negli occhi:

si fa rumore per dare l’idea che cambia tutto, quando non cambia niente.

Perché non è una questione di carriere condivise o separate.
È una questione di mentalità religiosa.

In Italia il giudice non giudica:
interpreta l’anima dell’imputato.

La lettera di pentimento?
Diventata routine.
Non perché abbia rilevanza giuridica, ma perché compiace il giudice–confessore:

“Dì che ti dispiace e vai in pace, figliolo.”

Il processo come sacramento.
La sentenza come omelia.

E questo sarebbe un sistema moderno?

No.
È un teatro barocco travestito da legalità.

Il problema non è la struttura.
Non è il modello.
Non è il codice.

Il problema è una cultura giuridica paleolitica, cementata nella testa di una casta che si autoconvince di essere il ministero degli affari ultraterreni, di avere un mandato spirituale, quando non divino.