Fastidio

Ci sono articoli che scorrono via, e poi ci sono quelli che lasciano un retrogusto. Come certi piatti mal riusciti: non sai se è colpa degli ingredienti, della cottura o del cuoco — ma qualcosa, da qualche parte, è andato storto.

Parlo di questo: https://www.corriere.it/cook/25_luglio_20/mangiano-e-scappano-il-duro-sfogo-del-titolare-che-pena-passano-pranzo-e-cena-a-capire-come-fregarti-video-a9cf02d7-0137-48dd-83c8-f7d93cde5xlk.shtml.

Il protagonista, abbigliato con l’accuratezza cromatica di un guardiano notturno a Chernobyl, ma dopo l’incidente, ha deciso di aprire un ristorante. Una scelta coraggiosa, certo, soprattutto considerando l’estetica da apocalisse logora che sfoggia nel video, dove si erge a martire della ristorazione contro l’orda barbarica del “mangio e fuggo”.

Ora, sia chiaro: se qualcuno entra, si siede, ordina, mangia, e poi si dilegua senza pagare, tu hai perfettamente diritto a incazzarti. Nessuno te lo nega. La truffa è truffa, il danno è reale. E perfino un’esternazione furente — insulti inclusi — può rientrare nei confini della comprensione umana.

Finché ti limiti a dire: “Questa gente mi manca di rispetto, mi danneggia, sono stanco”, hai tutta la mia solidarietà. E se li chiami “bastardi”, non ho nulla da dire. Avrei detto di peggio.

Il problema nasce quando la rabbia si trasforma in teatrino, in sfogo pubblico che pretende di essere epico ma finisce solo per essere tragicamente pittoresco. Perché, vedi, c’è una sottile differenza tra chi lotta contro un’ingiustizia e chi cerca attenzione travestendo il proprio fallimento da crociata morale.

E no, non è solo il bon ton: è proprio il rispetto per l’intelligenza altrui. D'altronde, il pubblico adora le vittime — purché teatrali, purché in costume.


Ma poi, ecco la perla. Il momento in cui il siparietto si trasforma in dottrina morale.

Lui, l’eroe stanco, l’imprenditore da battaglia, ci informa che no, non è lui a essere danneggiato da questi furbetti del conto saltato. Sono — attenzione — i camerieri. Già. Perché, a suo dire, in alcune grandi realtà sarebbero proprio loro a risarcire quando un cliente se ne va senza pagare.

E qui entra in scena il capolavoro comunicativo: il tono cambia. Verso i clienti disonesti è durissimo, li sbrana, li espone alla gogna pubblica. Ma quando tocca ai colleghi — quegli stessi colleghi che, secondo lui, fanno pagare il conto ai camerieri — improvvisamente il tono si addolcisce. Non li condanna. Non li nomina. Non li accusa. Fa, invece, una sorta di pubblicità progresso in stile spot sociale: “Colleghi, dobbiamo capire che non è il ragazzo il colpevole.”

Come se il punto fosse culturale. Come se si trattasse di una sfumatura etica da interiorizzare, non di un illecito. Perché, a scanso di equivoci, lo diciamo noi: quella pratica è illegale. Non è una consuetudine sbagliata, non è una cattiva abitudine. È un reato.

Ma nel video tutto questo viene evitato con eleganza pelosa. Nessuna denuncia vera, nessuna presa di posizione netta. Solo una carezza paternalistica verso “i ragazzi” e una pacca leggera sulla spalla dei colleghi sfruttatori. Un modo perfetto per segnalare il problema senza disturbare davvero nessuno.

Così, invece di denunciare, normalizza. Invece di condannare, attenua. E mentre lancia strali sui truffatori del tavolo tre, risparmia quelli che tolgono soldi dallo stipendio dei camerieri con la stessa naturalezza con cui si cambia una tovaglia.

È il solito trucco: raccontarsi come voce della coscienza collettiva, mentre si mette in scena una rimozione sistematica del problema. Con lo sfogo calibrato al grammo e la morale a geometria variabile.


Caro portavoce della dignità offesa, se il tuo intento era sollevare indignazione contro chi mangia e scappa, congratulazioni: ce l’hai fatta.

Hai toccato un nervo scoperto, e sicuramente parlato a nome di tanti ristoratori onesti che non usano i loro dipendenti come parafulmine.

Peccato che, nel frattempo, tu sia riuscito anche in un altro piccolo capolavoro: provocare una nausea profonda in chiunque abbia ancora un minimo di rispetto per la logica, la decenza e il concetto di responsabilità.

Perché vedi, non riesci a sembrare una vittima. Non trasmetti empatia. Non susciti rispetto. Sembri piuttosto uno che chiede rispetto sventolando degli ostaggi, uno che accusa i truffatori di colpire i camerieri, mentre risparmia con cura quelli che li tolgono direttamente lo stipendio.

Per tua fortuna, ora lo faccio io, quel lavoro.

È legale far pagare al cameriere un cliente che scappa senza saldare il conto?

In una parola: no. In quattro parole: è un abuso bello e buono. Vediamo perché, con riferimenti precisi alla normativa e alla giurisprudenza.


🔀 1. Responsabilità oggettiva del dipendente? Giuridicamente inesistente.

Il cameriere non può essere automaticamente ritenuto responsabile per un danno economico avvenuto durante il proprio turno, salvo il caso eccezionale di dolo o colpa grave. È l’imprenditore che, per definizione, assume il rischio d’impresa, come stabilito dall’art. 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica e morale dei lavoratori, e implicitamente esclude il trasferimento del rischio aziendale su di essi.

Cass. Civ., sez. lav., 8 maggio 1995, n. 5034: “La responsabilità del lavoratore per danni arrecati nell’esercizio delle sue mansioni può sussistere solo in presenza di dolo o colpa grave, da accertarsi con rigore.”


🔀 2. Trattenute dallo stipendio? Solo in casi eccezionali.

Il datore di lavoro non può decurtare lo stipendio del dipendente per danni subiti dall’azienda, se non:

E anche in quei casi, non è il datore a decidere, ma un giudice o un accordo contrattuale specifico. Dire “eri di turno” o “non hai controllato” non basta.

Art. 5, Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori): “Non possono essere effettuate trattenute sul salario se non nei casi previsti dalla legge o dal contratto collettivo.”


🔀 3. Farsi rimborsare “fuori busta”? Illecito grave.

Se il datore pretende che il cameriere “metta di tasca sua” una somma per coprire il danno di un cliente fuggito, siamo nel campo dell’illegalità piena. Si configura un illecito civile e, in alcuni casi, può degenerare in estorsione, coercizione o mobbing, soprattutto se avviene in modo sistematico o sotto minaccia implicita di licenziamento.


🔀 4. La giurisprudenza è chiarissima: il rischio è del datore, non del dipendente.

L’orientamento della Corte di Cassazione è consolidato: non si può far pagare al dipendente il rischio d’impresa. Un cliente che scappa è un evento imprevedibile, e non è compito del cameriere arrestarlo o impedirlo.

Cass. Civ., sez. lav., 16 gennaio 1990, n. 172: “Il datore di lavoro non può trasferire sul lavoratore le conseguenze economiche di eventi imprevisti propri dell’attività imprenditoriale.”


🔀 In sintesi:

Se il tuo cameriere non placca un ladro in fuga, non è colpa sua.

È colpa tua se pensi che debba fare anche il vigilante, con lo stipendio da mille euro al mese e le scarpe bucate.

O se pensi che farglielo fare, in fondo, sia una cosa da punire con una bella campagna di pubblicita' progresso, contro certe grandi catene , grandi pizzerie , grandi ristoranti , di cui sembri sapere, ma che non denunci.

Uriel Fanelli


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