Calimera (piccola e nera) va alla guerra.

Calimera (piccola e nera) va alla guerra.

Se esiste una verità storica incontrovertibile, essa risiede nel fatto che i fascisti – di ieri e di oggi – dimostrano una totale inettitudine proprio nell'arte della guerra, che si fanno vanto di rappresentare. A riprova di tale assunto, si ergono come monito indelebile i risultati catastrofici del secondo conflitto mondiale, esiti che non lasciano spazio a revisionismi. Ebbene, l'essenza intimamente cialtronesca di questa attuale compagine governativa si manifesta, in tutta la sua gravità, nell'uso puramente retorico e strumentale che essa fa delle Forze Armate, ridotte a mero fondale scenografico. Non meno evidente è l'assoluta mancanza di senso logico che caratterizza le loro sedicenti politiche di "riarmo", iniziative dettate più dall'ansia di apparire marziali che da reali esigenze strategiche.


Partiamo dalla farsesca vicenda della facoltà di Filosofia, cartina di tornasole della malafede governativa. Chiariamo subito un dettaglio che smonta l'intera narrazione: l'Accademia Militare ha sede a Modena, città dotata di un'università con una magistrale in filosofia (LM-78) perfettamente identica a quella bolognese. Perché, dunque, la Meloni pretende l'esodo forzato dei cadetti verso Bologna, ignorando la logica soluzione a chilometro zero? Semplice: perché a Giorgia "Calimera" Meloni piace frignare, evocando il complotto cosmico come il pulcino del cartone animato: "È un'ingiustizia! Ce l'hanno con me perché sono piccola e nera!".

La logica dietro questa mossa è trasparente quanto meschina. La facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna è storicamente un polveriera politica, una roccaforte studentesca antifascista; paracadutarci dentro i cadetti – notoriamente non proprio alfieri del marxismo – è il metodo scientifico per innescare lo scontro. Non c'è alcuna esigenza didattica, siamo di fronte a una pura provocazione, un calcolo cinico per servire quella solita brodaglia rancida di zizzania e vittimismo che costituisce l'unico nutrimento politico dei "Piccoli & Neri" del terzo millennio.


In questi giorni si consuma l'ennesima farsa della leva militare, uno spettacolo pietoso dove tutti strepitano sulla carenza di soldati. La ragione è sempre la stessa: la mente angusta del fascista è ossessionata dalle dimensioni, convinta che un esercito debba essere elefantiaco per incutere timore. E così, anche se non avremo più gli "otto milioni di baionette" pronti a immolarsi sul mitico bagnasciuga, si torna a blaterare di giovani petti da offrire alla Patria. Risparmiamoci la retorica da ventennio e andiamo al sodo (o direttamente a Piazzale Loreto, per chiudere il cerchio).

Entra in scena Guido Crosetto, il Serio – o almeno, questa è la maschera che indossa – per annunciarci trionfante l'istituzione di una leva ausiliaria. I numeri? Ridicoli: si parla di 10.000, forse 15.000 riservisti al massimo. Una cifra che fa tenerezza se si considera la realtà della guerra moderna: l'Ucraina, nel tritacarne del conflitto attuale, quel numero di uomini lo brucia in meno di un mese di combattimenti.​

E non si creda che altrove vada meglio. La Germania, dipinta dalla stampa cortigiana nostrana come il faro della serietà teutonica, sta mettendo in piedi un teatrino simile. Berlino non sta arruolando masse di soldati, si sta limitando a fare le visite mediche obbligatorie per schedare i diciottenni. Una mossa squisitamente burocratica: in caso di guerra vera, avranno già i certificati pronti e risparmieranno tempo sulla carta bollata. Ecco il grande riarmo europeo: un misto di moduli compilati e soldatini di piombo immaginari.


Anche volendo assecondare l'allucinazione strategica dei soliti incompetenti "Piccoli & Neri" – secondo i quali la pericolosità di un esercito sarebbe direttamente proporzionale alla sua massa critica – ci scontriamo con un muro di realtà che rende questi piani semplicemente ridicoli. La demografia, scienza esatta e spietata, sbugiarda la propaganda: vent'anni fa, nel 2005, nascevano circa 554.000 bambini. Un dato già misero rispetto ai fasti del passato, ma comunque superiore ai drammatici 370.000 odierni. Tuttavia, di quella coorte, solo la metà è di sesso maschile. E sia chiaro: non sia mai che si disturbino i sacri dogmi del femminismo moderno imponendo una reale parità nei doveri verso la Patria; la parità invocata, si sa, è quella a senso unico, valida solo quando garantisce privilegi e mai quando richiede sacrifici in trincea.​

Dunque, da quel mezzo milione teorico scendiamo a circa 270.000 maschi. Sottraiamo poi un buon 25% di giovani che, saggiamente, hanno già scelto la via dell'emigrazione per sfuggire al declino nazionale, e ci ritroviamo con una platea reale di poco superiore alle 200.000 unità arruolabili. A questo punto la domanda diventa macabra: quanti ne vogliamo sacrificare sull'altare della gloria? Ipotizziamo pure di mandarli tutti al macello? Ebbene, in un conflitto ad alta intensità come quello ucraino, dove le perdite si contano a centinaia di migliaia, questa "grande armata" basterebbe a malapena per un anno di combattimenti. E dopo? Si passa a rastrellare la generazione successiva o i pensionati?

La verità è che i "Piccoli & Neri" non hanno fatto i conti con l'oste: con la demografia attuale NON esiste la materia prima per un esercito "GRANDE".


La domanda che ne consegue è lapidaria: esiste, nell'attuale scenario di risorse umane limitate, la reale possibilità di dotarsi di un esercito efficace, ovvero – per chiamare le cose con il loro nome – un esercito pericoloso? La risposta, brutale, è no. È tempo di accettare che la potenza di una forza armata non si misura più un tanto al chilo, contando le teste come si faceva con la fanteria napoleonica. Certo, osservando il carnaio del fronte russo-ucraino, si potrebbe erroneamente dedurre che il problema risieda nel numero di poveracci da spedire al macello. Ma questa è un'illusione ottica: sebbene si utilizzino tecnologie sofisticate come i droni, entrambe le nazioni stanno conducendo una guerra con la mentalità del 1914. Peccato che il calendario segni inesorabilmente l'anno 2025.

Per garantire la difesa nazionale non serve un esercito enorme; serve un esercito letale, capace di rappresentare una minaccia esistenziale per chiunque osi varcare i confini. E il paradosso, che i nostri contabili in uniforme ignorano, è che questo obiettivo si può raggiungere con una frazione della spesa prevista per i faraonici e inconcludenti piani di riarmo convenzionale. È possibile rendere temibile una forza armata composta da pochi uomini? Assolutamente sì. Nel 1945, l'umanità ha inventato l'arma nucleare esattamente per questo scopo: massimizzare il danno minimizzando l'impiego di truppe.​

Cosa sto suggerendo? Semplice: che il problema di rendere l'Italia militarmente intoccabile, al pari di potenze ben più serie, si risolve con un investimento mirato e tecnologicamente superiore: la costruzione di un arsenale nucleare autonomo e dei relativi vettori missilistici. Costerebbe probabilmente meno dei miliardi buttati per rincorrere quote NATO irraggiungibili e ci risparmierebbe la pietosa commedia di queste "potentissime" leve da 15.000 riservisti della domenica.​

Le Forze Armate diverrebbero istantaneamente un fattore geopolitico determinante, a patto di adottare una dottrina d'impiego ferrea, basata su tre pilastri non negoziabili:

  1. Automatismo della risposta: qualsiasi attacco militare convenzionale al suolo patrio innescherebbe una rappresaglia nucleare immediata, dal "Giorno Uno", senza eccezioni né esitazioni diplomatiche.
  2. Versatilità tattica: l'arsenale non deve limitarsi all'apocalisse strategica, ma spaziare dalle mine atomiche di interdizione ai siluri a testata nucleare, fino ai missili aria-aria, rendendo ogni singolo assetto un potenziale vettore di distruzione totale.
  3. Soglia di ingaggio abbassata: chiarire al mondo che anche azioni di "guerra ibrida" o cyber-attacchi massicci potrebbero legittimare l'uso di testate tattiche.​

Con queste tre mosse, il mito dell'esercito di massa evapora. Non serve essere in tanti per fare paura; basta avere il dito sul bottone giusto e la follia necessaria per premerlo.

Certo, mantenere un deterrente nucleare e missilistico autonomo ha un costo non indifferente, ma il conto finale sarebbe infinitamente più leggero rispetto all'emorragia di denaro pubblico necessaria per gonfiare artificialmente l'esercito convenzionale come previsto dai piani attuali. E allora, perché i "Piccoli & Neri" di tutta Europa si ostinano su questa strada fallimentare? La risposta non è strategica, ma psichiatrica: insistono perché il loro immaginario onirico è ancora incatenato a quella estetica.​

Sognano a occhi aperti le masse sterminate in divisa, le geometrie perfette delle parate oceaniche, il passo dell'oca che fa tremare l'asfalto. Poco importa che quell'esercito, quello delle sfilate coreografiche che tanto li eccita, abbia PERSO la guerra in modo rovinoso, trascinando il continente nel baratro. Per il fascista medio, il risultato bellico è secondario rispetto all'effetto scenico. Quello che cercano non è la sicurezza, ma l'appagamento dell'ego. Grazie a queste sfilate mastodontiche, il Paese si sentiva invincibile, rasserenato, cullato in una sicurezza illusoria mentre marciava verso il disastro. Ed è esattamente questa la droga che vogliono somministrarvi di nuovo: un placebo marziale per curare la loro inadeguatezza storica.


Il guaio – o meglio, la tragedia farsesca – è che questa volta il remake storico è tecnicamente impossibile. La demografia non perdona e non si lascia incantare dalla retorica. Quella celebre immagine che popola i sogni bagnati dei nostri governanti, l'adunata oceanica di Norimberga con i suoi 700.000 uomini tra reparti militari e formazioni paramilitari, è oggi un'utopia matematica.​

Facciamo due conti, calcolatrice alla mano, per misurare l'abisso tra le loro ambizioni e la realtà. Con i tassi di natalità attuali, per mettere insieme una folla maschile di quella portata, dovremmo rastrellare tutti i maschi nati in Italia in tre anni consecutivi. Tutti. Dal primo all'ultimo, senza scarti, senza esoneri, svuotando scuole, università e fabbriche per tre annate di fila.

Capite la follia? Stanno progettando il ritorno alla potenza imperiale in un Paese che non ha nemmeno più i figuranti per riempire la piazza. Vorrebbero la Wehrmacht ma si ritrovano con una bocciofila armata. E non c'è propaganda al mondo che possa nascondere il vuoto desolante di quella piazza immaginaria.

E con questo quadro, direi che la Cialtroneide di Giorgia "Calimera" Piccola & Nera e del suo sodale con l'elmetto è ormai cristallina. Hanno scelto la via dell'impotenza mascherata da grandeur. L'unica mossa sensata, l'unica che renderebbe questo Paese un soggetto geopolitico e non un mero oggetto di contesa, è esattamente quella che NON faranno mai: costruire un arsenale nucleare sovrano.

Attenzione, non parlo delle testate americane B61-12 che ospitiamo servilmente a Ghedi e Aviano. Quelle sono armi "a doppia chiave", un gentile eufemismo per dire che il grilletto ce l'hanno in mano a Washington e i comandi italiani sono solo i custodi del magazzino. Se gli USA decidono di non intervenire, quelle bombe sono utili quanto un fermacarte radioattivo.​

La vera indipendenza strategica richiede il possesso esclusivo della chiave di lancio, senza dover chiedere il permesso a nessuno. Costruire ordigni propri, vettori propri, codici propri. Solo così la deterrenza è credibile. Ma figuriamoci se quei patrioti da operetta avranno mai il coraggio di tagliare il cordone ombelicale.

Preferiscono continuare a sognare parate impossibili mentre il mondo reale, quello armato per davvero, ride di loro.