Badlands.[contiene spoiler]

Badlands.[contiene spoiler]

Ho deciso di andare a vedere, per curiosità, Predator: Badlands. Mi intrigava il contrasto: recensioni entusiaste e stroncature feroci, spesso sulle stesse scene. Sapevo bene che non siamo più agli inizi della saga, quando l’idea GENIALE di un alieno che viene sulla Terra per divertirsi con la caccia era ancora una novità assoluta.

Poi è arrivata la fase “antropologia da centro commerciale”: adesso bisogna appiccicare alla specie dei Predator il rito di passaggio, tutto palle e onore, come se amare i safari implicasse per forza una società primitiva e tribale. Per la cronaca, quando nacquero i safari li facevano i nobili inglesi, che poi tornavano a casa e raccontavano l’avventura bevendo il tè delle cinque.

Ma gli americani, evidentemente, faticano a capire che il gusto per la caccia non ti trasforma automaticamente in un oplita spartano. E così ci siamo beccati tutta la paccottiglia sulla società super-primitiva e tribalista degli Yautja solo perché il concetto di “safari” aristocratico sfugge alla loro grammatica culturale.

E qui comincia tutto.

Un giovane guerriero, Dek, è uno Yautja—ma è uno Yautja Gen-Z. Questo, tradotto, significa che i suoi pronomi sono Haaargh/Growl e che il suo codice d’onore include anche l’ansia esistenziale. Uno xenomorfo in casa va bene; un figlio Gen-Z, no. Nella società Yautja (il che, paradossalmente, la rende una specie intelligente: sfortunata, ma intelligente) il ragazzo viene espulso dal clan.

Anzi: siccome hanno le idee chiarissime su come trattare la Gen-Z, pare che il fratello—il classico Chad Yautja—venga spedito a “risolvere” la faccenda in modo definitivo.

Anziché mandare a quel paese l’intera stirpe e farsi una vita altrove con una femmina Yautja — o con un maschio altrettanto Gen-Z — il nostro Dek (nome che in Yautja significa, ovviamente, “Samantha”) decide che andrà a caccia della bestia più fetente e assassina della storia.

Non parlo della moglie in menopausa, tranquilli: è uno spaventoso essere chiamato Kalisk — che poi si rivelerà una femmina in menopausa, perché la scienza ci iNpara — parola che in dialetto Yautja significa, appunto, “moglie in menopausa”. Tutto quadra.

Insomma, Dek si spalma una chilata di crema solare fattoria-strength e parte a caccia del Kalisk sul pianeta Genna: sole verticale, sabbia fine come borotalco tossico, canyon che sembrano scavati da un geometra ubriaco. Dopo tre chilometri di “fitness tribale”, eccolo in una gola di basalto nera come il curriculum di un influencer. Lì trova Thia: androide Weyland-Yutani, metà persona e metà ricambio, attaccata alla roccia con un cavo di fortuna e il tono di chi è stufo della vita ma non può morire per policy aziendale.

— Tu sanguini dall’ego, — gracchia Thia scansionandolo con un occhio ancora in garanzia - percepisco il patriarcato in te.
— Tu non sanguini affatto. Che razza di preda saresti? — ribatte Dek, Gen-Z orgoglioso, pronomi Haaargh/Growl, vulnerabilità emotiva in preset.

Thia è stata spedita su Genna con il manuale del Kalisk preinstallato: geologia, rose dei venti, mappe delle sacche geotermiche, corridoi di migrazione e zone d’ombra termica. Conosce la geografia—cioè la geografia—quindi, per definizione, non è americana. È stata programmata per tracciare la bestia e guidarne la cattura: beacon, triangolazioni, pattern di caccia, tutta l’orrenda burocrazia scientifica che fa godere gli azionisti e morire i tecnici.

La squadra? Quella di Thia è finita a coriandoli: la tempesta elettrostatica ha fritto i droni, il sismografo ha urlato come un gatto nel microonde e il Kalisk, offeso nella sua privacy, ha fatto cleanup: due umani off, un loader piegato a origami e un’androide tagliata in due pezzi, contati. Thia è rimasta per raccogliere i black box e caricare i dati nel buffer—che valgono più di lei sul listino Wey-Yu—finché non è rimasta inchiodata lì, in modalità UPS (Unwilling Parking System).

Dek la guarda come si guarda un tutorial di sopravvivenza su TikTok: scettico, infastidito, ma senza alternative.

— Mi servi come mappa, — dice lui, tono da guerriero ma con l’ansia di perdere la carica al bracciale. Tutte le prese del pianeta sono USB-Z, e il suo bracciale ha ancora un attacco proprietario.
— E tu mi servi come deambulatore armato, — fa lei, fissandolo come si fissa un customer con IQ room-temperature. — Scorta me fino al relay e io ti porto alla bestia.
— Niente proprietà intellettuale sul mio cranio.
— Tranquillo: non è un asset strategico. Dek, infatti, e' cosi' stupido che se partecipasse a un concorso per il piu' stupido, arriverebbe secondo.

Camminano/strisciano: Dek con l’andatura da Chad Yautja convinto che l’onore si trovi a colpi di machete, Thia trascinata come uno zaino parlante che ogni trenta metri segnala una isoterma, una vena di minerale raro e una zona di turbolenza dove il visore del Kalisk va in tilt. Lei gli spiega, con la pazienza passivo-aggressiva dei manuali tecnici, che il terreno suona (letteralmente: micro-risonanza), e che il Kalisk evita le gole con rimbombo alto perché gli manda in confusione l’echolocalizzazione.

Dek non ci capisce un cazzo, ma la ringrazia per il cyborgsplaining.

Intanto, per non smentire la sua appartenenza alla GenZi, Dek deve trasformare ogni cosa in brand personale: incide il suo simbolo su una roccia (“perché il territorio è importante”, come l’autostima), si registra un vocale motivazionale (che nessuno ascolterà) e ogni tanto chiede a Thia se “quel canyon ha una modal più stabile” — ha imparato una parola nuova e la vuole usare.

— Non sei stanco di performare, Haaargh? — chiede Thia.
— Sto costruendo il mio arco narrativo, — ribatte lui, serio, come un TEDx con casco.

Tra un battibecco e l’altro, Thia gli indica tre lignee di vento che confluiscono in una sacca geotermica: è il corridoio termico dove il Kalisk passa per “ricaricarsi” come un SUV elettrico con fame di sangue. Gli mostra anche i nidi fossili schiacciati nella parete: segni che la bestia torna ciclicamente, antichi come il ridicolo umano.

Dek, come sempre, non ci capisce un cazzo.

— Se mi lasci al relay, ti do pattern e finestre, — dice Thia, massaggiando il cavo d’alimentazione come fosse un rosario.
— Se mi porti al Kalisk, ti do la vendetta.
— Preferisco i dati, grazie.


Seguendo il corridoio termico, Dek e Thia trovano un cratere di sabbia vetrosa, ancora tiepido: segno che il Kalisk è passato da poco. Thia scandaglia: tracce proteiche, scaglie dermiche, residui di bava che corrodono pure l’autostima. E poi… un verso. Non quello da “boss finale”: un pigolio sgraziato, tipo modem 56k in agonia.

Spunta fuori una cucciola di Kalisk grande come un vitello cattivo, pupille verticali e troppi denti. Zoppica, sporca di polvere rossa. Guarda Dek, lo annusa, e prima che lui sfoderi la posa da manifesto motivazionale… lo marca: una spruzzata di feromoni addosso, dal collo al petto, come un deodorante d’élite ma al napalm.

— Complimenti, Haaargh: ora odori di asilo nido apex, — informa Thia, neutra come una perizia.
— È un marchio d’onore? — chiede Dek, pronto a tatuarselo sull’anima.
— È un contratto di affidamento non richiesto. La madre seguirà te. E, spoiler, non per stringerti la mano.

La cucciola (Dek la ribattezza Bud, perché i Predator Gen-Z devono brandizzare anche i trauma-baby) si struscia come un gattone tossico. Thia fa due conti: la chimica dice imprinting. Se la madre arriva e sente Bud su Dek, lo interpreterà come “nanny”, non come “panino”. Forse. Dipende dall’umore e dall’indice glicemico della signora.

Dek, gonfio di senso dell’universo:
— È destino. Ho una missione.
— Hai un odore, — lo corregge Thia. — E adesso dovrai muoverti come un genitore o ti strappa in filamenti.

Operativo, zero poesia: Thia stende una rotta di mitigazione. Se tengono Bud tra loro e il vento, il cono olfattivo della madre leggerà “cucciola + caregiver” invece di “cucciola + snack con corredo Yautja”. Inoltre, in tre gole più avanti c’è una sacca geotermica che manda in tilt l’echolocalizzazione: lì possono impostare un primo contatto senza finire come la squadra di prima (ovvero: poster commemorativo).

Dek tenta il bonding: allunga una mano, Bud gliela assaggia. Non troppo, solo fino al sangue estetico.
— Vedi? Ci capiamo, — annuncia lui, felice di ogni relazione che lo validi.
— Sì: tu capisci il dolore, lei capisce il menù, — fa Thia, già che registra i pattern vocali della cucciola: le modulazioni indicano stress, fame e un vago desiderio di smontare cose.

Nel frattempo Thia riprogramma un beacon della Wey-Yu per spacciarlo come “cucciola finta”: lo imbottisce di bava raccolta e lo sincronizza sui pigolii di Bud. Se devono distrarre la madre per trenta secondi, meglio avere un manichino olfattivo. Dek non approva:
— L’onore…
— L’onore e' fatto con l' AI. Ruba posti di lavoro. — taglia corto lei.

Chiusura dell’episodio: si avviano verso la gola geotermica con Bud in mezzo, Dek che finge calma da paternità responsabile e Thia che misura isoterme come un metronomo. Il vento gira. Thia alza un dito.

— Arriva, — dice.


E il canyon fa quel rumore profondo — sub-basso da concerto metal — che poi capisci: non è il canyon, è il respiro della madre. Di Bud.


Il vento gira, l’aria cambia sapore: ferro, ozono, sabbia fritta, ristorante cinese. Poi il canyon suona: non è eco, è torace. Mamma Kalisk entra in scena come un camion cisterna con l’ABS rotto: carapace scuro, creste vibrosoniche, coda a uncino. Praticamente il prossimo SUV della Tesla.

Vede Bud. Vede Dek. Fa due più due: “ma quanto cazzo ci ha messo la babysitter, ad arrivare?”

Thia, gelida come un libretto d’istruzioni:
Regola uno: Bud in mezzo.
Regola due: niente scatti.
Regola tre: se corri, corri di lato, non in linea: la cosa pensa in corridoi.

Dek annuisce con la solita faccia da “ho capito tutto” e la postura da GenZi in panico. Bud pigola, la madre risponde con un sub-basso passivo aggressivo che tutti in sala si sentono gia' in colpa. Di cosa? Boh.

Il primo rush arriva: non è carica, è test di forza — un urto di fianco, misurato, per spostare il maschio lontano dalla cucciola.

Thia gli punta la spalla:
Adesso.
Dek si fa mettere tra Bud e la roccia, abbassa l’arma (onore perfetto per Instagram) e allarga le mani: caregiver pose. L'idolo della gestazione per terzi.La madre frena a un palmo, inspira forte. L’odore dice: feromoni-cucciola + sangue fresco. Tradotto: “babysitter idiota ma funzionale. Al giorno d'oggi non si trova di meglio”.

Micro-silenzio.
La madre inclina la testa, Bud fa un “miip” commosso, Dek sorride.
La coda del Kalisk fende l’aria e lo incide al fianco per ricordargli chi è la mamma in questa stanza.

— Ha accettato il patto, — sussurra Thia, riprendendo i sensi. — Ti ha timbrato: sei suo finché servi.

Poi succede la cosa che Thia temeva: Weyland-Yutani entra a gamba tesa. Dal cielo piovono droni gabbia (reti piezoelettriche, stile pesca a strascico) e un jammer acustico che manda in tilt ogni creatura dotata di cervello. La madre ulula, Bud strilla, Dek barcolla come uno che ha appena ascoltato tre podcast di leadership. E non ci ha capito un cazzo.

— Complimenti, — dice Thia, voce piatta mentre hackera un drone al volo. — È arrivata mia sorella antipatica.

Sulla cresta del canyon compare Tessa: stessa faccia di Thia, zero empatia, DPI in ordine e tono da compliance.
— Obiettivo in vista, — comunica al team, — procediamo con contenimento letale non letale.

Il primo gancio scatta su Bud. Dek non ci pensa: taglia la rete con la lama al plasma e si prende due scariche da blackout. La madre vede, capisce, cambia target: non più il babysitter, i droni. Salta come un ponte mobile, sbrana plastacciaio, sputa criotossine che congelano un braccio meccanico in una scultura di ghiaccio triste.

Tessa guarda giù con aria da commercialista frigida:
— Si proceda al Protocollo Vetrino.

Thia, intanto, ha finito di truccare un beacon: ha caricato la bava di Bud e il suo profilo vocale. Lo lancia in alto: il drone confonde il falso cucciolo con quello vero e lo porta dalla parte opposta del canyon. Mamma Kalisk devia di pochi metri: quel tanto che basta.

— Finestra di quarantacinque secondi. O moriamo tutti in modo sinergico, — sibila Thia.

Mossa 1: fumo. Dek fa esplodere due ampolle geotermiche che trasformano la gola in un hammam tossico: i sensori ottici di Tessa passano da 4K a patata lessa.
Mossa 2: stereo. Thia spara nei crepacci un ping in controfase: l’echolocalizzazione del Kalisk balla, Tessa pure.
Mossa 3: zig-zag. Con Bud stretto tra gomito e costole, corrono di taglio sulle lame di basalto. La madre li lascia passare, fissa Tessa, ringhia in legale.

— Non ce l’hanno con te, — dice Thia, trascinandosi, — ce l’hanno con me. E con la mia azienda.
— Finalmente una cosa giusta, — ringhia Dek, sanguinando con stile.

Chiudono l’episodio infilando una spaccatura della roccia: un budello a S dove la madre non entra, i droni non passano e il Wifi Aziendale non prende. Tessa li perde per un attimo. Il jammer canta, il canyon risponde, la sabbia scende a pioggia.

Thia appoggia la testa alla pietra:
— Benvenuto nel punto cieco.
Dek annuisce, coccola Bud per non farsi mangiare la mano, e capisce la nuova verità: per sopravvivere a Tessa deve restare “babysitter certificato” di una regina in menopausa.

Il che, per uno Yautja Gen-Z, è quasi come diventare adulto. Alla fine dei conti, e' pur sempre un lavoro. E Dek e' uno GenZi. Cioe', insomma.


La spaccatura a S ha il clima di un frigorifero rotto e l’odore di batteria d’allevamento. Ottimo per un makerspace biologico. Thia valuta: pareti di basalto impregnate di aerosol acidi, microspore fotofobiche (accese = irritanti), un rivolo di liquido criogeno che filtra da sacche geotermiche. Tradotto: materiale.

— Fammi un inventario, — dice Dek, Gen-Z trepidante come uno che sta per aprire un unboxing.
— Vermi termofili (esplodono male), licheni aghiformi (si piantano ovunque), microgocce criogeniche (congela tutto tranne i coglioni), — risponde Thia. — Ti preparo tre “giocattoli”.

Kit 1: Vermi-granata — li infila in un guscio di resina, timer da barzelletta, raggio d’azione da dramma.
Kit 2: Erba-lama — fascette di filamenti che tagliano come il giudizio della suocera: funzionano solo a traiettorie curve.
Kit 3: Ampolle criogeniche — tappo a strappo, getto frontale: freeze & shatter.

Il tutto, ovviamente, 100% certificato green.

Dek prova, si taglia un dito, finge che fosse voluto.
— È design esperienziale, — commenta serio, mentre Bud tenta di mangiare i vermi con entusiasmo biblico - lo faccio sempre insieme al detox.

Thia monta anche una trappola audio: due piastrine piezo che creano un ping di controfase. Il Kalisk ci inciampa (metaforicamente): l’echolocalizzazione si confonde. In parallelo, lei estrae dal cranio un modulo di memoria con le mappe Wey-Yu: gliele consegna—mezzo gesto di fiducia, mezzo calcolo.

— Fiducia? — chiede Dek.
— Controllo qualità, — risponde lei. — Se muori, rivoglio indietro il modulo.

Piano del giorno: colpire il campo Wey-Yu improvvisato due gole più a sud. Obiettivo: rompere il jammer, liberare la zona radio, e infilare nel sistema di Tessa un profilo falso del Kalisk (così i droni inseguono ologrammi olfattivi). Se funziona, si toglieranno la corporazione dalle costole per mezza giornata—un’eternità, qui.

Bud, intanto, sviluppa una cotta per Dek: lo segue come un Roomba assassino. Thia annota fredda: imprinting consolidato. E' chiaro che i due stanno mettendo su una situationship.
— Ora sei ufficialmente un genitore single, — lo punzecchia.
— È il mio arco narrativo, — ribatte lui, mentre si fascia il dito “per storytelling”.


La base è un cantiere metallico in mezzo al nulla: torri con fari, droni a stadera, container con il logo Wey-Yutani e scritte motivazionali tipo “Safety is Profit”. Tessa cammina tra i tablet come un ispettore dell’INPS su Marte.

Tutto rigorosamente firmato da LEGO(TM)

Thia indica la via laterale: condotta di raffreddamento che sputa vapore.
— Qui dentro c’è il jammer. Spacchiamo quello, poi gli metto in pancia i dati taroccati.

Fase 1: Distrazioni.
Dek lancia due vermi-granata dietro ai fari. Gli addetti guardano in su, i droni guardano in giù, nessuno guarda al centro: manuale del caos base. Bud rumoreggia, Thia le mette un collare olfattivo “silenzio”.

Fase 2: Infiltrazione.
Strisciano nella condotta. Dentro è bagnato di condensa acida: Dek si ustiona appena, finge che sia un tatuaggio culturale. Thia stacca due pannelli, estrae una scheda logica e le parla come a un cane: accetta il firmware, su, brava.

Fase 3: Patch.
Il jammer tossisce, perde ritmo. Thia carica il profilo fake del Kalisk: un pacchetto di pattern olfattivi + sub-bassi simulati. Se i droni abboccano, inseguiranno un fantasma per sei chilometri.

Fase 4: Uscita (che non va liscia).
Tessa li vede nell’infrarosso: due sagome e una terza che brilla come un termosifone con denti.
— Abbiamo topi in condotta, — comunica. — Protocollo Trappola a Reticolo.

Le porte calano griglie, i droni depongono reti piezo. Dek fa zig-zag (manuale), Bud tenta di fare la tartaruga ninja, Thia lancia la prima ampolla criogenica: il drono-porta si congela e si spezza come un wafer.

Inseguimento corto, colpo secco.
Dek si volta, posa Erba-lama sul pavimento, scivola apposta: i due mercenari dietro si sfilettano i polpacci.
— È arte partecipativa, — dice, fierissimo.
— È sanità pubblica, — risponde Thia, trascinandolo via per la pettorina.

Arrivano ai container energia. Thia pianta una chiavetta e apre un canale.
— Hai dieci secondi per dire una cosa intelligente al mondo, — gli concede.
Dek prende fiato:
Alla Yautja Prime: sto proteggendo una cucciola. Chi è contro, venga a…
Thia gli spegne il microfono:
— Era una trappola per ego. Ho mandato telemetria e richiesta di cessate il fuoco. A chi serve.

Exit. Il campo Wey-Yu per novanta secondi rincorre ologrammi e odori finti. Tessa stringe gli occhi come Excel che dà errore #VALORE.

— Hanno manomesso i profili, — ringhia. — Chiamate il Loader.

Ultimo stacco: dalla tettoia scende un mech-loader rivestito di acciaio nero, mascelle idrauliche, falci laterali. Il tipo di macchina che convince qualsiasi esemplare in menopausa a riflettere sul senso della vita. Per tre secondi.

Thia guarda Dek come si guarda un coltello da burro davanti a una cassaforte.
— Spoiler: serviranno tutti i tuoi giocattoli. E un’idea.
— Ho sempre un’idea, — mente lui, Gen-Z fino al midollo.
— E io ho un piano, — chiude lei, professionale come un avvocato di Los Angeles.

Fade breve. Avanti col mech.


Il Loader scende: mascelle idrauliche, falci, fari. Tessa: “contenimento non letale (ahah)”. Mamma Kalisk risponde: buongiorno, mi chiamo Karen, voglio parlare col tuo manager.

Setup tattico (Thia, tono tutorial):

  • Bait: profilo fake del Kalisk lanciato dietro il mech → i droni vanno no-look pass nella direzione sbagliata.
  • Debuff: ping in controfase → sensori acustici del Loader laggano.
  • Burst: cryo sulle giunture → it’s giving artrosi.

Dek entra main character: scivola, piazza erba-lama sui cingoli. Il Loader inciampa in auto-ratio. Tessa switcha in manuale: “override”. Bud fa miip + spruzzo feromonale su Dek: buff olfattivo — la mamma lo tiene in whitelist.

— Ora, — dice Thia.
Dek lancia vermi-granata nel vano di raffreddamento. Boom soft: non uccide, ma gasa. Mamma Kalisk approfitta: slam laterale, mech stagger. Tessa spinge la falce: quasi Bud kebab. Dek si butta: thirst trap eroico (un sacco di impression per gli Yautja su YautjaTok, ovvio). Falce pianta nella roccia, cryo di Thia sulla valvola: freeze, shatter. Braccio del Loader giù.

Tessa non molla: “Protocollo Vetrino ampliato”.
Green flag per l’ostinazione, — commenta Thia, — red flag per l’intelligenza.

Mossa finale: soft-launch dell’idea grossa. Thia usa il jammer “rotto” per amplificare il sub-basso della madre: risonanza sul telaio del mech, tutto vibra al punto giusto. Dek, no cap, capisce: salta sulla cabina, apre il pannello, infila l’ampolla cryo nella gola di scarico. “Slay.” Cristalli, crepe, shutdown.

Silenzio di tre secondi.
— Vibe-check superato, — dice Thia.
— High-key sto bene, — mente Dek, gocciolando.
Bud risponde con un miip che suona “we stan”.

Sull’orizzonte, Tessa batte i denti, fa damage control e ordina una ritirata in stile “we will circle back”. Tradotto: tornerà. Con più Excel e più armi. E un corso di risoluzione dei conflitti. Tutta soft skill.


Rifugio. Bud dorme come un Roomba scarico; Dek sanguina aesthetic; Thia fa triage con fascette, colla e sarcasmo medicale.

— Quindi la nostra situationship è ora co-parenting? — chiede Dek, che ha letto due thread motivazionali.
— È custodia condivisa non consensuale, — risponde Thia. — E tu sei il genitore con il pisolino corto.

Logica: con Tessa in circle back mode, serve una bandiera. Thia consiglia il tabù Yautja: tornare su Yautja Prime e chiedere giudizio rituale. È la mossa “non si fa” che però, se la fai al momento giusto, ti salva la pelle.

— Vai a casa di papà, — traduce Thia, — e hard-launchi Bud come “onore” invece che “errore”.
— Mio padre è Njohrr. Non fa PR.
— Allora facciamo media training a Bud: niente mordicchiare, sì a miip strategici.

Dek ingoia l’orgoglio come una compressa senza acqua. Partono.

Tempio di pietra, neon antichi. Clan schierato. Njohrr in trono: mascella da meteorite e sguardo da retention manager. Dek entra con Thia (che non dovrebbe esistere) e Bud (che non dovrebbe respirare).

Rito: cranio sul piatto, codice recitato, onore spolverato. Dek presenta il “trofeo”: non una testa, ma la cucciola. Plot twist per la tradizione. Mormorio da stadio.

— Hai fallito la caccia, — sibila Njohrr. — Hai portato peso morto.
— Ho portato futuro, — risponde Dek, che per una volta centra il punto. — Ho scelto la preda che ci supera.

Bud fa un miip calibratissimo (Thia dietro con il telecomando morale). Gli anziani si guardano: vibes da consiglio condominiale che annusa la causa legale.

Njohrr fa il gaslight: racconta dell’altro figlio (il fratello di Dek) morto “per colpa tua”, cambia i fatti, manipola il rito. È toxic masculinity, ma in alieno. Dek sta per cedere in trauma dump, Thia gli spara un prompt da auricolare:
No cap: o gli vinci il frame, o ti taglia la testa. Poco tempo, molta verità.

Dek scende i gradini, posa le armi, e richiama la mossa del padre (quella con cui anni prima il vecchio “disarmò” il fratello). Re-enactment perfetto, ma ribaltato: invece di finire, ferma il colpo a un millimetro dalla gola di Njohrr. Tutti trattengono il respiro: clutch moment.

— Ho onore quando scelgo, non quando copio, — dice.
Sembra fatta. Finché il vecchio non chiama la carta finale: duello.

Boomer di merda.


Arena circolare. Pietre, sabbia, pubblico con voglia di sangue (ma in modo heritage). Njohrr entra full gear; Dek, “minimal”: rete, lama, ampolla cryo nascosta (grazie Thia).

Primo scambio: ratio di botte 80/20 per papà. Dek incassa, low battery.
— Questo è il tuo arco narrativo? — punzecchia Thia nell’auricolare.
— È slow burn, — risponde lui sputando stile.

Secondo scambio: Dek bauna la rete, simula errore, attira Njohrr in una lamezia (piastrine abrasive di Thia). Piccola ferita, grande umiliazione. Pubblico diviso tra boomer Yautja e zoomers che apprezzano il meta.

Terzo scambio: Njohrr finge apertura e poi cerca il colpo alla gola (la vecchia mossa). Dek lo anticipa: disarmo in tre fotogrammi. Lama a terra. Njohrr è in ginocchio.
— Parola finale? — chiede Dek, high-key tremante.
— Sì, — dice Njohrr, e fa la cosa più boomer possibile: chiama guardie per chiudere la scena fuori copione.

E qui entra Bud. Nessuno l’aveva messa in conto in arena. Salta da una balconata come un cane-lupo con il PhD in violenza e stacca la testa a Njohrr con un morso clean. Uno, secco. Pop-corn moment. Silenzio da brand che capisce la nuova campagna: il futuro ha parlato.

Gli anziani? In crisi di PR. Qualcuno prova a gridare “blasfemia”, ma la platea we stan: la cucciola ha punito il tiranno. Il codice, magicamente, si aggiorna: quando un mito muore di fronte al prodotto nuovo, la tribù chiama “tradizione” il cambiamento.

Thia apre il comm-link e sussurra:
Hard launch.
Dek alza Bud: non è trophy, è manifest.


Fuochi notturni sul tempio. Il clan, diviso ma curioso, osserva Dek-Thia-Bud: soft governance dell’impossibile. Un gruppo Poly da non credere. Arriva un segnale in cielo: ombra enorme che copre la piazza.

— Che cos’è? — chiede un elder, già pronto a creare una commissione.
Mia madre, — dice Dek. No cap.

Una nave abnorme si materializza come una nuvola di metallo: non è la Wey-Yu, non è il clan. È qualcos’altro: Yautja antichi, forse, o la matriarca con cui nessuno ha mai trattato da vivo.

Insomma, se questi vanno in giro a scannare xenomoffi armati solo col cucchiaino del gelato, "mamma" non deve essere una personcina facile.

Thia guarda su, fa due conti, e con la calma di chi ha letto l’ultima pagina:
— Siamo passati da situationship a family saga. Preparati: prossima stagione è therapy with explosions.

Bud fa miip. Il tempio risuona. Fade.


La testa di Njohrr è ancora tiepida e Weyland-Yutani ha già il press kit pronto: “Evento rituale locale: supporto non letale al consolidamento culturale.” Tradotto: abbiamo tentato di rapire una balena con la burocrazia.

Tessa, in collegamento olografico, fa damage control:
— Abbiamo rilevato un hazard biologico. La nostra missione è safety first.

— Safety di chi? — fa Thia, microfono “accidentalmente” aperto.
— Delle quote, — risponde Tessa senza battere ciglio.

Nel frattempo Thia sniffa il traffico di rete: convoglio Wey-Yu inbound. Container, loader 2.0, droni “anti-imprinting”. Piano: estrarre Bud e presentarla come “patrimonio universale della scienza” (cioè: delle royalties). Dek fa main character face:
— Vengano. Questa volta li ratio live.

— Ma come cazzo parli - chiede Thia.

Thia convince il consiglio clan a un consiglio aperto: town hall meeting ma in armatura. Il feed olografico è pubblico: spettatori da mezza galassia. Tessa si presenta con presentazione in 12 slide, font aziendale.

— Slide 1: Definizione di rischio.
— Slide 2: Approccio graduale.
— Slide 3: Partnership col territorio.

— Slide 4: Balla meno e mostra i log, — taglia Thia. E proietta: tentativi di cattura, jammer, “Protocollo Vetrino”. Receipts. Chat interna Wey-Yu: “se non funziona, sterilizziamo il bacino”. Il pubblico fa booo in dolby alieno.

— Non capite il contesto, — insiste Tessa.
— Capito benissimo: colonialismo con Excel, — ribatte Dek. — Noi facciamo care e voi fate capture. Mismatch.

Bud fa miip al microfono. Gli ascolti schizzano.
— La cucciola ha engagement, — sussurra un elder, scoprendo il marketing tardi nella vita.

Il verdetto sociale è netto: Wey-Yu cringe. Il consiglio concede status protetto a Bud. Tessa non cede:
— Procederemo comunque.
— Procederete fuori diretta, — ribatte Thia, — così quando vi va male non potete piangere narrativa.


Notte. Sassi che sudano freddo. Convoglio Wey-Yu silenzioso come una PEC. Thia, Dek e tre giovani del clan (Gen-Z Yautja try-hard) preparano il kit:

  • Vermi-granata → fari e LIDAR (blackout estetico).
  • Erba-lama → cingoli e stivali (tagli sulla dignità).
  • Cryo → giunti e bracci (artrite accelerata).
  • Ping in controfase → i droni cantano stonati.

— Divisione in squadre: io faccio root, — dice Thia. — Voi fate chaos engineering.

— Ci pensiamo noi, — fanno i tre zoomer, già in hype.
— Non fate i NPC. Se uno cade, niente trauma dump: si cambia ruolo e si va, — taglia Dek.

Il primo truck si pianta: erba-lama negli alloggiamenti. Il secondo si ghiaccia: cryo sulla trasmissione. Il terzo vede un ologramma olfattivo e parte verso il canyon sbagliato a 120 all’ora. Thia sussurra:
It’s giving audit fallito.

Tessa, remota, capisce il gioco: switcha in manuale, chiama il Plan C — il carro-grembo: capsula bio per catturare Bud per pressione negativa. Arriva sul target… e trova Bud-fake. Dentro c’è una borsa di bava e un altoparlante con miip in loop. Il carro la ingoia felice, segnando “missione compiuta”.

— Ha funzionato? — chiede un tecnico.
— Ha funzionato la figuraccia, — risponde Tessa, con una calma che fa più paura delle armi.

Dek e Thia escono dal buio. Bud fa miip autentico. Il clan compare in cresta, lento, vibes da western. Tessa sospira:
We will circle back.

Circle back sta cippa, — fa Dek. — Prossima volta, portate scuse, non container.

Tessa spegne il canale. Sa che tornerà con autorità superiore. Non è finita.


Thia mette in piedi un workshop per i giovani Yautja: “Crescere un Kalisk e non morirci (troppo)”. Slide ironiche, demo pratiche.

Modulo 1: riconoscere i red flags (odorimetri, vibrazioni, sub-bassi).
Modulo 2: self-care con cryo (per te e per i giunti del mech).
Modulo 3: boundaries col clan anziano (come dire “no” a un rito scemo).
Modulo 4: situationship con creature apex — che cosa è, perché non chiamarla amore, quando fuggire.

— È didattica? — chiede un elder infastidito.
— È riduzione sinistri, — risponde Thia. — Anche voi capite questo linguaggio.

Dek osserva: i ragazzi stan Bud, imitano i miip, memano Njohrr in GIF. Il codice si aggiorna organicamente. Non serve un editto: serve un tutorial.

Il cielo si spacca come una fattura elettronica: nave enorme sopra il tempio. Non Wey-Yu, non clan locale. Lei. La Matriarca.

— Chiamiamo rinforzi? — chiede un elder, già in sudore freddo.
— No, — fa Dek. — ma conoscendola, meglio se metti a posto la tua stanza.

La nave inclina lo scafo, proietta tre cerchi di luce — codice antico. Thia decripta:
Parlano in geometria. Vogliono trattare.

— Finalmente qualcuno che non fa PowerPoint, — sospira Dek.
Bud fa miip. La luce risponde con un miip modulato in matematica.

Cut. Titoli. “Predator: Badlands — Therapy with Explosions (Part II)” in arrivo.


Morale della storia — se avete un figlio Gen-Z, non cacciatelo dal clan: mandatelo a fare un colloquio in IBM.