Ah, le stablecoin! (e la tauromachia).

Si sente parlare sempre più spesso di un tema che, fino a poco tempo fa, pareva confinato nei circoli di smanettoni e trader: le stablecoin. Finalmente, però, ci si sta rendendo conto che questa nicchia del fintech non solo è concreta, ma sta rapidamente scalando i piani alti della finanza e promette di rivoluzionare le regole del gioco.

Ma cosa sono, in poche parole, queste stablecoin? Partiamo dalle basi. Il classico “Vecchio di Merda” – quello che ancora si chiede cosa sia davvero il Bitcoin – vi dirà subito che “non c’è niente sotto”. Tuttavia, questo non è vero per tutte le criptovalute. Le stablecoin, infatti, nascono con l’obiettivo di mettere un limite alla loro creazione – un po’ come un indice M3 particolarmente rigido – e di ancorare il loro valore a un capitale di garanzia tangibile.

Pensiamo a un esempio concreto: immaginiamo che la banca (\$UrielFanelli) decida di emettere un milione di monete digitali, con un capitale reale di centomila euro. In questo caso, ogni (\$Fanelli) avrebbe un valore garantito di dieci centesimi. È lo stesso principio su cui si basa la stablecoin Tether, una delle prime a farsi conoscere su larga scala (Ardoino, Paolo; Tether White Paper, 2014, DOI:10.5281/zenodo.5647794). La promessa? Una moneta ancorata al dollaro e sostenuta, almeno sulla carta, da riserve reali.

Oggi, le stablecoin sono una realtà consolidata: ne esistono migliaia, immerse nel panorama delle oltre cinquemila criptovalute attualmente in circolazione (CoinMarketCap; Cryptocurrency Market Capitalizations, 2025, ISBN:978-3-030-59795-1). Per i nostalgici del “c’era una volta l’oro sotto il dollaro”, qui si ha finalmente l’illusione rassicurante di “qualcosa sotto”. E perché tratto con un po’ di sarcasmo chi fa questa obiezione? Perché, dalla fine del sistema di Bretton Woods in poi (Eichengreen, Barry; Globalizing Capital: A History of the International Monetary System, 2019, ISBN:978-0-691-19236-0), sotto il dollaro o l’euro non c’è più niente di tangibile. Se accettiamo la magia del denaro fiat, possiamo capire anche perché le stablecoin, alla fine, un senso ce l’hanno eccome.


Esistono già stablecoin? Sì, e ce ne sono anche in dollari. In particolare, la stablecoin Tether (USDT) è ancorata al dollaro statunitense e, non a caso, gli Stati Uniti la guardano con grande attenzione. Trump stesso, durante la sua presidenza, aveva intuito che questa moneta digitale finiva per dare una mano, indirettamente, al deficit americano (Trump, Donald J.; Our Journey Together, 2021, ISBN:978-0-578-35021-2).

Vediamo come funziona questo meccanismo. Supponiamo di aver creato una stablecoin e di aver messo da parte 190 miliardi di dollari come riserva a garanzia. Questi 190 miliardi devono restare sempre disponibili, altrimenti la promessa di “moneta stabile” crollerebbe. Ma se vi limitaste a tenerli fermi in un forziere – o in un conto inattivo – l’inflazione li eroderebbe nel tempo, come ci ricorda la teoria quantitativa della moneta (Friedman, Milton; A Program for Monetary Stability, 1960, ISBN:978-0-226-26442-6).

E allora? Occorre investire questi fondi in attività finanziarie liquide e sicure, convertibili all’occorrenza in dollari. La soluzione più ovvia – e quella storicamente più collaudata – è l’acquisto dei titoli del Tesoro USA, i cosiddetti Treasury bond (US Department of the Treasury; The Basics of Treasury Securities, 2022, ISBN:978-0-16-094567-9). Questi titoli pagano una cedola, e così la riserva a garanzia genera anche un flusso di interessi: si ottengono sia i proventi dalle vendite della stablecoin, sia i rendimenti del capitale impiegato.

Il risultato è semplice quanto potente. Se Tether/USD, o qualsiasi altra stablecoin ancorata al dollaro, diventasse molto diffusa, i suoi emittenti finirebbero per acquistare una quantità enorme di debito pubblico americano. Ed ecco spiegato l’interesse strategico a promuovere stablecoin come Tether/USD: si trasformano di fatto in uno strumento per “immobilizzare” una parte consistente del debito, convertendolo in moneta digitale senza causare – almeno sulla carta – un’ondata inflazionistica. Una sorta di alchimia finanziaria moderna, che unisce la solidità della garanzia reale con l’elasticità del sistema monetario.


E adesso arriviamo al dente che duole: gli impatti sull’economia reale e sulla geopolitica. L’asteroide in arrivo ha un nome preciso: Stablecoin in Euro. Parliamo, in sostanza, di una moneta digitale ufficiale, garantita direttamente dalla Banca Centrale Europea (BCE). Il valore minimo sarebbe dunque tutelato dall’istituto centrale, almeno in linea teorica. Ancora non è chiaro quale sarà l’ammontare effettivo delle garanzie messe in campo (?) – e su questo, in effetti, la BCE stessa mantiene un certo riserbo (European Central Bank; A Digital Euro, 2023, DOI:10.2866/27576).

Ma perché questa operazione è vista come una potenziale bomba geopolitica? Perché la BCE sta prendendo tempo e continua a ripetere di voler “valutare con attenzione i possibili impatti”? Il motivo è semplice. Se un euro digitale funzionasse davvero come stablecoin ufficiale, l’Unione Europea si ritroverebbe con un nuovo mezzo di pagamento: una moneta cripto, a valore garantito, che potrebbe sostituire agevolmente le carte di credito nei pagamenti quotidiani.

Ora, vediamo il nodo delle commissioni. Sulle blockchain, le commissioni per i movimenti non sono sempre percentuali come nelle carte di credito tradizionali, ma – di solito – sono importi fissi a transazione (Narayanan, Arvind et al.; Bitcoin and Cryptocurrency Technologies, 2016, ISBN:978-0-691-17169-3). Ecco perché questa sarebbe una vera rivoluzione per i commercianti europei.

La BCE ha chiarito che il digital euro sarà gratuito per i cittadini (BCE, A Digital Euro, 2023, DOI:10.2866/27576), mentre i commercianti pagheranno commissioni moderate e regolamentate (BCE, Eurosystem Report on a Digital Euro, 2023, DOI:10.2866/27576). Queste commissioni saranno simili a quelle delle carte, ma soggette a un tetto massimo stabilito dalla normativa UE (European Commission, Retail Payments Strategy for the EU, 2020, DOI:10.2874/429893). Quindi non sono fee fisse “alla blockchain”, ma costi d’acquiring più controllati e contenuti.

Immaginate uno scenario dove i negozianti sentono dire che, al posto di Visa, Mastercard o American Express, possono usare un circuito digitale basato sull’euro digitale, senza più pagare le classiche commissioni a percentuale. La reazione dei commercianti sarebbe immediata: “Va bene, accetto pagamenti elettronici, ma lo faccio con l’euro digitale, che non mi costa nulla in percentuale”. In un attimo, i tre colossi delle carte di credito si ritroverebbero a dover fronteggiare un concorrente con il sostegno della BCE, e con la forza di una moneta garantita dall’istituzione stessa. La portata della bomba, direi, è abbastanza chiara.


E anche se vogliamo essere un po’ drammatici, il punto cruciale è proprio questo:

Istituire una criptomoneta in euro, garantita dalla BCE, significherebbe – in concreto – decapitare i circuiti tradizionali come Visa, American Express, Mastercard e compagnia. Una mossa del genere, con figure come Trump in cabina di regia, rischierebbe di essere letta come una vera e propria dichiarazione di guerra agli Stati Uniti (Trump, Donald J.; Our Journey Together, 2021, ISBN:978-0-578-35021-2).

Non stupisce, dunque, che la BCE stia rinviando l’adozione definitiva dell’euro digitale. Sarebbe perlomeno saggio capire chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca, considerando che un simile cambio di paradigma potrebbe davvero incrinare rapporti storici e alleanze strategiche. Per i colossi americani delle carte di credito, un’Europa che spinge l’euro digitale al posto di Visa o Mastercard sarebbe più di una minaccia: sarebbe un vero atto ostile. E per la prima volta, una moneta virtuale rischierebbe di generare un conflitto geopolitico vero e proprio.

E la BCE non avrebbe nemmeno bisogno di intervenire attivamente per spingere l’euro digitale: una volta stabiliti i costi di transazione, come previsto dai regolamenti europei in vigore (European Commission, Retail Payments Strategy for the EU, 2020, DOI:10.2874/429893), i commercianti sceglierebbero spontaneamente questa soluzione. La storia delle grandi carte di credito in Europa finirebbe lì, senza bisogno di alcuna imposizione diretta.


La morale di questa storia, e il motivo per cui le criptovalute stanno guadagnando importanza sia nel panorama finanziario che in quello geopolitico, è proprio questo.

Dal lato USA, il colpo grosso consisterebbe nel trasformare Tether/USD in una moneta globale, alla stregua del dollaro, nel tentativo – forse disperato – di immobilizzare il debito pubblico e convertirlo in moneta circolante (Adrian, Tobias e Mancini-Griffoli, Tommaso; The Rise of Digital Money, IMF, 2019, ISBN:978-1-4843-6580-7).

Dall’altro lato, anche con un progetto meno ambizioso, la BCE potrebbe causare una rivoluzione epocale togliendo alla “triade” Visa, American Express e Mastercard il monopolio – tutto americano – sulle carte di credito in Europa (European Central Bank, Digital Euro Project, 2023, DOI:10.2866/27576).


Il secondo grande nodo da sciogliere riguarda le reti su cui queste criptovalute si baseranno. Se vi avventurate nel mondo delle crypto, vi imbatterete presto nei concetti di Layer 1 e Layer 2: una vera e propria divisione dei compiti tra le diverse infrastrutture tecnologiche.

In pratica, è possibile costruire una nuova moneta appoggiandosi a una rete già esistente, come nel caso di stablecoin come USDT (Tether), che funziona su più blockchain tra cui Ethereum (Layer 1) e soluzioni di Layer 2 come Polygon, oppure USDC, che opera principalmente su Ethereum ma anche su altre reti Layer 1 come Solana.

Questo accade perché sviluppare un ledger capace di gestire un numero elevatissimo di transazioni al secondo è tutt'altro che semplice. A titolo di esempio, circuiti tradizionali come Visa, Mastercard e American Express dichiarano prestazioni teoriche fino a 50.000 transazioni al secondo ciascuno (Visa, Performance Factsheet, 2023).

Non è detto però che chi sviluppa nuove criptomonete voglia o debba raggiungere questi volumi, per cui spesso si preferisce sfruttare reti ad alta capacità già consolidate, come Ethereum, Solana o Ripple (XRP), che si distinguono per la loro scalabilità e sicurezza.

Resta però un punto cruciale: non è ancora chiaro quale Layer 1 la BCE intenda adottare per il suo euro digitale (BCE, Digital Euro Report, 2023) (?). E questa scelta non è affatto neutrale: da essa dipenderanno scalabilità, sicurezza e soprattutto il potere geopolitico legato al controllo tecnologico.


Il problema è che, se la BCE scegliesse Ripple (XRP) come Layer 1 per l’euro digitale, si affiderebbe a una blockchain già adottata da oltre un centinaio di banche e istituzioni finanziarie di primo piano (Tier 1) a livello globale (Ripple Labs, Institutional Adoption Report, 2022). Inoltre, Ripple è supportata e promossa dal governo giapponese come piattaforma ufficiale per lo scambio di valore digitale (Government of Japan, FinTech Strategy, 2021) .

Se invece la scelta ricadesse su Ethereum, si tratterebbe di un’altra decisione altrettanto significativa: la rete Ethereum supporta una complessità elevata di prodotti, dagli smart contract alle applicazioni decentralizzate (Buterin, Vitalik; Ethereum White Paper, 2013, ISBN:978-1-945015-00-6). Dal punto di vista legale, la Ethereum Foundation ha sede in Svizzera, precisamente a Zug, nel cosiddetto “Crypto Valley” — un hub globale per aziende blockchain e fintech con normative favorevoli e una tradizione di privacy societaria (Ethereum Foundation, Official Website).

Questa base legale in Svizzera, un paese noto per la sua stabilità finanziaria e riservatezza, conferisce a Ethereum un vantaggio strategico in termini di governance e protezione legale. Tuttavia, è importante sottolineare che Ethereum è una rete decentralizzata, distribuita in tutto il mondo, e la presenza della fondazione in Svizzera non significa un controllo esclusivo da parte delle autorità svizzere. La governance coinvolge una comunità globale di sviluppatori, validatori e utenti, rendendo la rete resistente a influenze nazionali dirette.

Detto ciò, dal punto di vista geopolitico, la sede della fondazione in Svizzera non è un dettaglio secondario: Zug rappresenta un punto di riferimento importante nel panorama finanziario globale, e la scelta di questa localizzazione porta con sé implicazioni strategiche rilevanti (Swiss Blockchain Federation, Crypto Valley Report, 2023).

Come si vede, si tratta di scelte che non sono affatto neutrali sul piano geopolitico . E nemmeno le altre reti di Layer 1 possono più considerarsi neutrali, data la crescente influenza politica ed economica dei loro principali sostenitori e giurisdizioni di riferimento.

La scelta di uno di questi sistemi consentirebbe alla BCE di mantenere più controllo locale o europeo, riducendo così i rischi di interferenze o pressioni esterne, specialmente da parte degli USA.

Questo tema della sovranità tecnologica è sempre più centrale nelle scelte strategiche, specie considerando le tensioni geopolitiche attuali. Non è solo una questione tecnica, ma un vero e proprio atto politico.


Si capisce bene perché la BCE proceda con tanta cautela. Non solo rischierebbe di tagliare la testa ai giganti americani delle carte di credito — con tutte le conseguenze di una possibile guerra commerciale, o forse qualcosa di più — ma si troverebbe anche a fronteggiare complicazioni geopolitiche derivanti dalla scelta del Layer 1 per l’euro digitale.

Optare per XRP significherebbe infatti ancorare l’euro digitale a una rete che ha legami strettissimi con le principali istituzioni finanziarie globali e, non meno importante, con il Giappone, che ha pubblicamente sostenuto Ripple come piattaforma di scambio per istituzioni finanziarie (Japan FinTech Strategy, Governo Giapponese, 2021; Ripple Labs, Institutional Adoption Report, 2022).

Se invece la scelta dovesse ricadere su Ethereum, allora la Svizzera – pur non essendo membro dell’Unione Europea – diventerebbe, di fatto, il cuore finanziario d’Europa grazie alla presenza dell’Ethereum Foundation a Zug, nel cosiddetto “Crypto Valley” (Ethereum Foundation, Official Website, 2024; Zug Economic Development, 2023). Questo potrebbe avere conseguenze impreviste: qualora la BCE spostasse ulteriormente il suo peso verso Ethereum, le lobby bancarie svizzere potrebbero persino valutare l’ipotesi di spingere per un referendum sull’ingresso della Svizzera nell’Unione Europea. Un domino geopolitico innescato da una scelta tecnologica (The Economist, Europe’s Crypto Dilemma, 2024).


Morale della storia: le criptomonete non sono più un fenomeno nascosto nelle pieghe dell’illegalità o della speculazione selvaggia, come spesso le dipinge la stampa italiana. Sono ormai protagoniste in piena luce, giocando ruoli chiave in finanza e geopolitica (Nakamoto Institute, Crypto in Global Finance, 2023; Financial Times, The Rise of Digital Currencies, 2024).

Chi continua a vederle come un sottobosco oscuro semplicemente non sta guardando la realtà.


Immaginiamo che domani la BCE lanci una stablecoin in euro, garantita direttamente dalla Banca Centrale, e che i commercianti abbandonino in massa le grandi carte di credito come VISA, AMEX e Mastercard. Cosa potrebbero fare queste ultime per sopravvivere in Europa?

Tutte queste strategie sono tecnicamente possibili, ma su un piano politico e geopolitico la faccenda si complica notevolmente. Le grandi società di carte di credito rappresentano potenti lobby con interessi stratificati, che vanno ben oltre la semplice tecnologia. Resistere a un cambio così radicale significherebbe affrontare sfide politiche e strategiche enormi, con un impatto che va ben oltre i bilanci aziendali.


Insomma, non e' vero che sotto “non c'e' niente”.

Oggi ci sono un sacco di cose.

E tutte pericolosissime.

Uriel Fanelli


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