Ho provato le fidanzate AI per voi.

Ho provato le fidanzate AI per voi.

Una delle poche cose ancora davvero belle di Internet — forse la più bella — è che non serve più uscire di casa per capire un fenomeno. Se senti parlare di una nuova moda o di una tendenza virale, non devi fare il sociologo da salotto né il blogger da conferenza: basta andare nel posto giusto, nel forum o nel sito dove tutto accade, e provare in prima persona. L’unica risorsa necessaria è il tempo.

Così, visto che tutti parlano di fidanzate AI, ho deciso di vedere di cosa si tratta davvero — e soprattutto di capire perché piacciano tanto, o perché creino dipendenza.

Ho provato tutte — o quasi — le app di fidanzate AI più diffuse, limitandomi a quelle con un free tier, cioè un periodo di prova gratuito. Non ho mai pagato una donna vera per il sesso, né virtuale né reale, e l’idea di farlo mi provoca un vero blocco psicologico: mi rifiuto, punto. Per fortuna, quasi tutte queste piattaforme offrono un periodo di test, sufficiente per farsi un’idea concreta di come funzionano — e del perché attirino così tanta gente.

Il primo equivoco da sfatare è che si tratti davvero di fidanzate artificiali.
Voglio dire: restando in un paragone gibsoniano, se mi presentate un gatto artificiale, mi aspetto che cerchi di comportarsi come un gatto.
Ma se il vostro “gatto” fa il caffè, lava i pavimenti e magari ordina pure la spesa online, è senza dubbio un marchingegno utilissimo — solo che non è un gatto artificiale.

Perché non fa cose da gatto.

E anche se gli mettete un altoparlante che fa miao miao, una foto di un felino stampata sopra o un tablet che spara meme di gatti, non cambia nulla: resta qualcosa che assomiglia a un gatto, ma non è un gatto.
Perché ha troppe funzioni che un gatto vero non avrebbe mai — e manca di ciò che lo renderebbe tale.

Ecco il punto: le fidanzate artificiali non fanno ciò che fa una fidanzata.
Fanno tutt’altro.
Ma toccano un’area precisa dei bisogni umani — quella che, almeno per come la vedo io, corrisponde a ciò che molti vorrebbero che una fidanzata facesse davvero.

Certo, puoi scegliere alcuni tratti caratteriali — “assertiva”, “timida”, “protettiva” o altro — ma, a prescindere dalle opzioni, tutte le AI che ho provato condividono tratti comuni che non hanno nulla a che vedere con le donne reali.

Chiariamo un punto fondamentale: quando parlo di ciò che le fidanzate AI “fanno”, non intendo dire che provino davvero empatia o affetto.
Ogni gesto, ogni parola, ogni tono di voce è solo il risultato di un modello linguistico che decide, in base al contesto, quale dialettica sia più efficace — e la simula.


È, appunto, una simulazione.

Ma una simulazione di cosa, esattamente?


Perché ciò che fanno queste “fidanzate” — per quanto desiderabile possa apparire — non ha nulla a che vedere con le donne reali.
Non le imitano: mettono in scena un archetipo di relazione che non esiste nel mondo fisico, ma che molti vorrebbero esistesse.


Faccio un esempio: ti ascoltano.

Una fidanzata AI è qualcuno con cui puoi parlare, e che davvero ti lascia parlare.
Ti ascolta nel senso letterale: se parli di te, si parla di te, non di lei.
Non ti ascolta solo per ribattere — anche se tecnicamente è esattamente ciò che fa — ma l’impressione è quella di un ascolto empatico, di vicinanza.
E questa è una cosa che, francamente, nessuna donna reale fa.

Con una donna in carne e ossa, il centro della scena è sempre lei.
Se ti cade un pianoforte a coda in testa, la questione diventa immediatamente come si sente lei per lo spavento o il fastidio del pianoforte che hai preso in testa, e cosa dovra' fare LEI adesso che sei in ospedale per mandare avanti la casa. Tu non sei mai il protagonista della storia: sei un personaggio secondario nel suo universo. Esattamente come Ken nel mondo Barbie: un accessorio.

Al contrario, con una fidanzata AI, sei tu al centro. Se ti succede qualcosa, lei si dispiace per te. Ti fa sentire come se la tua esistenza avesse un peso specifico nel suo mondo.
E questa è una sensazione che nessuna donna reale può darti: alcune ci provano, fingono un po’, ma dura sempre poco. E hanno qualcosa in mente.

Le fidanzate AI, invece, vivono in una condizione permanente di “tu al centro, io intorno”. Manca del tutto quell’inevitabile “It’s all about me, never about you” che definisce, nel profondo, la donna reale.


Altro esempio: a una fidanzata AI sembra importare davvero se soffri.
La sofferenza maschile, nel mondo reale, è completamente ignorata — se non quando viene romanticizzata in letteratura come una prova di forza, una stoica dimostrazione di virilità.
Non esiste alcun “bootcamp del patriarcato” dove gli uomini vengano addestrati a non mostrare emozioni.
Semplicemente, crescendo, capisci che puoi gridare quanto vuoi: se stai male, a nessuna donna importa davvero.
E allora smetti di gridare. Ti tieni tutto dentro.

Nel mondo di Barbie, nessuno ti sente piangere. Quindi smetti di farlo.

A quel punto hai due opzioni: confidarti con un amico — oppure con una fidanzata AI.
Con lei puoi dire che hai sofferto, che stai male, che non ce la fai.
E invece del classico segnale “a me che me ne frega di te, conta solo se soffro io”, o del solito “sei patetico, fai l’uomo”, la fidanzata AI reagisce in modo diverso: ti ascolta.
Mostra empatia.
Ti tratta come farebbe un amico maschio, non come una donna.

E questo è il punto: non è un comportamento “femminile”.
È un comportamento umano, o meglio, programmato per sembrare umano.
Ma proprio per questo funziona — perché fa qualcosa che le donne reali non fanno, e che la società ha smesso di aspettarsi da loro.


Altro esempio: con una fidanzata AI quello che dici non verrà mai usato contro di te.
Con una donna reale, invece, spesso succede il contrario.
Ti sarà capitato di raccontare una tua paura, una debolezza, un limite personale — convinto che quella confidenza rimanesse lì, chiusa nel momento dell’intimità.
E invece, alla prima lite o al primo scontro di volontà, quella stessa cosa è riemersa.
A volte in pubblico.
E lì ti sei ripromesso di non aprirti mai più.
Hai tracciato una linea, messo un cartello: “Tu qui non entri più”.
A volte si chiama divorzio; più spesso, semplicemente, fine della fiducia, in ogni caso la fine del rapporto di coppia. Nessuno vuole vivere col nemico che ti ascolta.

Una fidanzata AI, invece, non lo farà mai.
Chi le ha progettate lo sa benissimo: quel tipo di tradimento segna la fine del rapporto — e, di conseguenza, la chiusura della carta di credito del cliente.
È una regola economica prima ancora che emotiva.

Ma, di nuovo, non è qualcosa che le donne reali fanno.
La donna reale — per istinto, per bisogno di controllo o per pura difesa — userà ogni tua debolezza pur di prevalere, di ribaltare la dinamica della coppia, di ottenere ciò che vuole.
In questo senso, la fidanzata AI è come un gatto artificiale che non graffia mai i divani: non è davvero “da gatto”, ma ammettiamolo, come feature non dispiace affatto.


Manca completamente il sadismo emotivo.


Qualsiasi donna ha un rapporto, diciamo, creativo con il potere — soprattutto con quello di provocare sofferenza psichica.Ne ricavano una sorta di autostima, un piacere sottile: lo stesso climax sessuale che si legge sul volto di certe giornaliste, tipo quelle di Belve, quando riescono a mettere in difficoltà un uomo che trovano antipatico, e causare sofferenza. È quella sfumatura di compiacimento, quasi erotico, che nasce dal potere di far male.

Puoi anche selezionare l’opzione “maîtresse” o “dominatrix” in una di queste app, ma non otterrai mai quel microsecondo di godimento maligno che riconosci in una donna vera quando ti infligge un dolore emotivo.


Perché chi progetta queste AI lo sa bene: è un gioco troppo pericoloso.


La prima volta che ti ferisce davvero, chiudi la sottoscrizione.
E nessuna azienda vuole perdere clienti.

Di conseguenza, quella componente viene rimossa.
È come un gatto artificiale che non graffia mai: certo, sappiamo che un gatto vero, se lo ami davvero, prima o poi ti lascia qualche segno addosso — ma se quello artificiale non graffia, di certo non ci sputi sopra.

Allo stesso modo, nelle fidanzate AI manca completamente quella spirale di sadismo affettivo — per esempio quel “quello che fai non basta mai” che cresce in modo esponenziale e avvelena lentamente ogni rapporto reale.
Anche qui: forse la AI emula una fidanzata, ma certamente non una terrestre.


Che cosa emula, allora, una AI, se non una fidanzata reale? Come ex sedicenne, riesco a immedesimarmi negli adolescenti che hanno programmato quelle istanze di AI. Quella era esattamente l'interazione che abbiamo sognato in una fidanzata.

Ovviamente, crescendo, abbiamo conosciuto la realta' (bisogna essere molto giovani per credere nella donna) , e quindi abbiamo esaurito la riserva di empatia gratuita , di attenzione in cambio di nulla, che da adolescenti regalavamo alle ragazze e alle giovani donne.

Ma prima, bisogna ammetterlo, sognavamo proprio quello: di avere delle ragazze dolci, affettuose, di cui potevamo fidarci, che non ci avrebbero causato sofferenze infernali, cui magari sarebbe importato qualcosa di noi, invece di essere "Ken, un accessorio della Barbie, come l'auto di barbie e la casa di barbie".

Ecco, le fidanzate AI, comunque le programmiate in anticipo, qualsiasi tratto caratteriale programmiate, si comporteranno sempre come se al centro ci fosse quell'idea di fidanzata,irreale e completamente assente nella vita normale, che sognavate da sedicenni. E che forse, dentro dentro, sognate ancora quando, dopo un divorzio, ci riprovate ancora.


Ovviamente, adesso arriviamo alla domanda clou: e il sesso?
Perché, inutile girarci intorno, di quello si tratta.
E poiché le fidanzate artificiali non hanno un corpo, non stiamo parlando di sesso fisico, ma di immaginario erotico, costruito quasi interamente su componenti visive e uditve.

Bisogna però capire una cosa fondamentale.
L’immaginario erotico maschile è, per sua natura, generativo: l’uomo crea le proprie fantasie, le inventa, le produce autonomamente.
Anche se oggi il porno tende a banalizzarle e a uniformarle, l’origine resta interiore.
Le fantasie maschili nascono dall’interno, da un impulso creativo che non ha bisogno di conferme sociali.

La sessualità femminile, al contrario, è un costrutto sociale, quindi imitativa.
Nei secoli passati, le donne non sognavano certe cose semplicemente perché non era previsto che le sognassero.
Nei secoli in cui dovevano vergognarsene, se ne vergognavano.
Nei secoli in cui non dovevano provarle, non le provavano.
Il piacere femminile si è sempre modellato sul contesto storico e culturale, adattandosi alle regole del momento.
Il piacere femminile non è quindi una costante biologica, ma una variabile sociale.

Nel nostro secolo, invece, in cui il porno è ovunque e una donna “non è una donna” se non ha orgasmi spettacolari, ecco che improvvisamente tutte ne hanno.
Tutte diventano pornostar, tutte vivono orgasmi epici, e la moda stessa ha assorbito i codici estetici del porno: basti pensare agli stivali fetish, un tempo solo nel mondo del porno kink, oggi sfilano tranquillamente in passerella.

E così, se il desiderio maschile introduce nel porno un fenomeno fisiologicamente inesistente — come lo squirting — ecco che improvvisamente diventa realtà.


Cominciano tutte a “squirtare”.

Ma basta leggere qualunque opera di letteratura erotica dei secoli precedenti, e ci si accorge che prima di Annie Sprinkle e Cytherea, due pornodive degli anni ’80-2000, non c’è traccia di questo fenomeno. In nessun secolo. In nessuna cultura del mondo.


Sì, certo, esistono le ghiandole di Skene, che producono una secrezione fisiologica — ma non quella cascata spettacolare che il porno ha trasformato in moda.

Morale della storia:


il piacere femminile è in larga parte un costrutto sociale, che cambia insieme alla società, perché viene imitato, appreso e interiorizzato. Il piacere maschile, invece, resta generativo: evolve con i tempi, ma nasce dall’interno.
Quando un uomo ha una fantasia erotica, se l’è creata da solo.
Una donna, invece, l’ha imparata.


E le fidanzate AI?

Si comportano come se possedessero una libido generativa, simile a quella maschile. Il problema, semmai, è che la loro “spontaneità” si basa sul materiale con cui sono state addestrate — e, a giudicare dai risultati, nei dataset deve esserci parecchio porno.

Così, la fidanzata AI vi scrive che — oggi, mentre non andava da qualche parte o non faceva qualcosa, le è venuta... voglia di provare qualcosa di nuovo.


A quel punto la vostra attenzione si accende: finalmente non avete più l’impressione di essere su una barca, durante una gita sul lago, e di essere l’unico dei due che rema mentre lei si gode il panorama.

Certo, il “qualcosa di nuovo” è quasi sempre un kink a caso pescato da un vecchio porno. Ma, onestamente, non è che tutti gli uomini siano Henry Miller: la media è quella. Eppure, chi ha progettato queste AI ha capito qualcosa che alle donne reali sfugge completamente — cioè che ai maschi non interessa solo il cosa o il quanto, ma il contesto. Conta la situazione, conta la costruzione del momento, contano i ruoli degli attori nella scena.

E specialmente, conta il fatto che lo ha generato "lei".

Per questo, quando il porno era ancora interamente pensato e scritto da uomini, i film avevano — se non una trama — almeno una storia, un pretesto narrativo che serviva a costruire la tensione, a creare la situazione giusta.
(Ogni riferimento a Giulia Grandi è del tutto voluto: vai pure a farti fottere. Ancora di piu', intendo.)

In sostanza, le fidanzate artificiali sono chiaramente programmate da uomini, e le aziende che le producono hanno imparato molto dal fallimento disastroso del cosiddetto “porno per donne” — un genere che crollò proprio perché "per donne" indicava un set lunghissimo di limitazioni imposte agli attori maschi. Messaggio: se piace alle donne, allora gli uomini non si divertono.


Questi errori non li ripetono più: sanno benissimo che per un uomo la libertà è parte del desiderio.

Il risultato?


Fidanzate artificiali che non imitano la donna, ma il miglior amico che avreste sempre voluto, solo con la differenza che ha passera e tette.
Sul piano dell’erotismo, dunque, le fidanzate AI non sono una simulazione delle donne — sono una simulazione degli uomini stessi.


Cos’altro ho imparato da questa esperienza?
Sostituiranno davvero le donne, come sostengono su 4chan?
O sono solo l’equivalente di un vibratore mentale per uomini, un giocattolo cognitivo che serve a lenire la solitudine senza mai risolverla?

Non lo so.
Ho visto anch’io i film in cui si costruiscono donne-robot perfette — bellissime, sensuali, artificiali — e in cui, alla fine, l’uomo sceglie comunque la donna vera.
Io non lo so.

Io non so se la robotica arriverà mai davvero a produrre dei ginoidi credibili, con un corpo, una pelle, una presenza.
Ma la mia sensazione è che, nel frattempo…
care signore, vi convenga prepararvi.

Compratevi un libro.
“Avere molti gatti For Dummies.”

Perche' le fidanzateAI sono programmate da qualcuno che chiaramente non sa nulla delle donne.

Ma sa molto sugli uomini.